Diario di un “sorvegliato speciale”: 28 maggio

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Apprendiamo con soddisfazione che il Covid-19 viaggia qui a Napoli con particolare lentezza rispetto ad altre grandi città. La cosa non ci sorprende: con i mezzi pubblici che ci ritroviamo non potrebbe essere diversamente. Il Covid-19 è stato visto mentre aspettava inutilmente l’R4; dovesse decidere di prendere la Cumana, lo troveremmo boccheggiante alla stazione di Montesanto e potremmo essere certi che non mette più piede qui da noi.

I dati positivi sull’epidemia mi rendono quasi euforico e quindi incline alla burla goliardica nei confronti, naturalmente, di mia moglie, non essendoci altri a portata di mano. E così, senza farmi scoprire, manometto i cruciverba che sta completando inserendo parole sbagliate e facendola quindi “sbariare” (italiano: svariare) prima che si accorga dell’intrusione. L’altro giorno mi sono superato. La definizione era “tegame basso”, sei lettere: ho scritto “tiella”. Andando avanti nella compilazione è venuto il momento in cui le cose non si incrociavano a dovere e allora mia moglie mi ha lanciato uno di quegli sguardi né orizzontali né verticali ma obliqui, come si conviene nei confronti di un mentecatto. La parola giusta era “teglia”, ma io ho protestato perché poteva andar bene anche la mia “tiella” visto che il Dizionario Treccani la ammette tra i sinonimi dialettali del famigerato “tegame”. Con aria di commiserazione mia moglie mi ha detto: “Io ho quattro figli”, con ciò retrocedendomi alla posizione dei tre effettivi, che però sono persone serie. La cosa mi ha moderatamente infastidito e allora, richiamando qualche vecchio episodio di segno opposto, ho puntualizzato: “Anch’io ho quattro figli” e lei, con distacco regale, ha detto: “Ma non ne hai uno semideficiente!” L’ho perdonata subito perché rispetto, anzi adoro, l’ironia, chiunque ne sia l’autore e a chiunque sia rivolta. La sua reazione mi è così piaciuta che qualche giorno dopo ho alterato un altro cruciverba, inserendo la mia versione della definizione: “Serpente sudamericano di grandi dimensioni”. Qualche minuto dopo aver ripreso il cruciverba mia moglie guardandomi con aria di massima commiserazione ha detto. “Epaconda eh!?” Ho ghignato per un po’ e anche lei perché apprezza a sua volta chi le movimenta la vita magari con iniziative minime.

Riaffiora però di tanto in tanto il terrore di un possibile ritorno all’isolamento più rigido perché non tutte le notizie convergono verso un effettivo controllo dell’epidemia. E allora la mente di un giocherellone come me va immancabilmente a scomodare la follia omicida che si impadronisce del protagonista del film di Stanley Kubrick “Shining”, che mia moglie ed io abbiamo visto più volte restandone sempre affascinati.

Comincio quindi a rivolgermi a lei con tono subdolamente accattivante chiamandola più volte “Wendy?”, come se la stessi cercando con in pugno la famosa ascia acuminata che brandiva Jack Nicholson nel film. E se insisto facendo la faccia feroce, rischio di beccarmi una padellata di quelle che risuonano nel cranio. Sempre in linea col capolavoro di Kubrick, l’altra mattina ho invitato la vittima delle mie genialate a dare un’occhiata allo schermo del pc, dove avevo scritto per tredici o quattordici volte di seguito “Il mattino ha l’oro in bocca”, riproducendo in tal modo la scena in cui il regista ci fa capire che il protagonista è ormai preda dell’alienazione. Questa volta però mia moglie ha apprezzato e mi ha risparmiato gesti di insofferenza. Ci sono rimasto male, ma se riprende l’isolamento non mancheranno le occasioni per riscattarmi.

Ma proprio mentre da noi si scherzava con la follia virtuale che anima molti film, è entrato in gioco Gallera, assessore lombardo al welfare, per scherzare con la follia vera, quella che talvolta supera la finzione. E lui ci è riuscito raccontandoci in sostanza quanto segue: se un lombardo infetto vuole infettare un lombardo indenne dal Covid-19, deve contattare un altro lombardo infetto se no è inutile che perda tempo. Il teorema Gallura ha gettato nello sconforto gli infetti delle altre regioni. In Campania occorre che si organizzino in tre per contagiare un campano indenne. Non parliamo delle difficoltà che può incontrare un infetto lucano o calabrese, che dovrà forse accordarsi con soggetti infetti di altre regioni.

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