Proprio in questi mesi di emergenza sanitaria impazza in rete un celebre discorso di Fidel Castro tenuto a Buenos Aires: “Médicos y no bombas, médicos y no armas…” (medici non bombe, medici e non armi), questionava nel suo proverbiale stile all’Università di Buenos Aires nel 2003.
In questi due mesi, la pandemia ha messo in ginocchio i sistemi sanitari di mezzo mondo. L’emergenza sanitaria ha evidenziato le inadeguatezze dei diversi sistemi che hanno mostrato di assomigliarsi per due aspetti: l’incapacità di pensare in termini di prevenzione, la diffusa riduzione della spesa pubblica con il determinarsi di un progressivo sbilanciamento verso sistemi privati. La cura delle persone, l’attenzione al loro benessere sanitario è diventato uno dei tanti settori dove si investe con l’unico scopo di ricavarne enormi profitti. Cuba è un esempio diverso e originale. Anche in questa circostanza sta mostrando i suoi punti di forza, tanto da essere stata in grado di inviare centinaia di medici e infermieri in giro per il mondo, per far fronte all’emergenza Covid-19 (559 collaboratori sanitari sono stati inviati nei vari paesi dei Caraibi, 31 in America Latina sparsi tra Venezuela, Messico, Nicaragua e Honduras, 250 medici in Africa e 358 in Europa di cui 90 in Italia, nelle regioni di Lombardia e Piemonte), con poco più di 11 milioni di abitanti, su un territorio con una superficie di 109.884 kmq, due grandi città: L’Avana con poco più di 2 milioni di abitanti e Santiago con 500 mila, poste alle due estremità dell’isola. Nel resto del paese, le forme di “urbanizzazione” si sono fermate a piccole cittadine rurali, dove il tempo pare essersi fermato agli anni Sessanta. Attraversando l’isola si incontrano villaggi dall’aspetto dimesso, sgarrupati che con un linguaggio tutto occidentale definiremmo vintage, che dona fascino ai pueblitos cubani. L’isola posta tra il mar dei Caraibi, il golfo del Messico e l’Oceano Atlantico gode dei tanti benefici della sua particolare posizione geografica che ne hanno fatto un riferimento anche da un punto di vista naturalistico. Il governo cubano, dall’avvento di Fidel Castro, ha sempre realizzato una politica di salvaguardia dell’ambiente tanto che la barriera corallina dell’arcipelago è perfettamente conservata. Insomma, per un paese che vive di stenti a causa dell’embargo, è sicuramente un orgoglio riuscire a raccogliere elogi sui principali quotidiani occidentali.
Ma perché Cuba è riconosciuta a livello mondiale per la sua alta preparazione medico-sanitaria?
Nella costruzione del sistema sanitario Fidel Castro e i suoi governi rivoluzionari si sono impegnati a tener fede a quanto promesso nella battaglia contro il dittatore Batista. Durante gli anni della dittatura di Batista, il sistema sanitario cubano era pressoché inesistente, con una sola facoltà di medicina e la sanità era nelle mani di enti privati. Tra i primi atti del governo rivoluzionario nel 1959, oltre a nazionalizzare quasi tutti i settori produttivi della società cubana, ci fu quello di avviare la costruzione di un sistema sanitario nazionale in grado di assistere in maniera pubblica e gratuita tutti i cittadini dell’isola. Un risultato raggiunto: tra gli anni ‘60 e ‘80, Cuba è riuscita a triplicare il numero di ospedali, cliniche e facoltà di medicina e garantisce l’assistenza primaria a tutte le famiglie cubane. Uno dei pilastri del sistema della prevenzione è seguire la popolazione sin dall’infanzia. Basti pensare che il tasso di mortalità infantile cubano è più basso rispetto a quello degli USA. Integrato al sistema sanitario c’è il sistema scolastico con l’attività sportiva garantita a tutti. Da quando la revolución ha sancito che “lo sport è un diritto del popolo”, Cuba gioca le sfide olimpiche come se fossero delle “battaglie”. Ecco giustificate le tante medaglie vinte in differenti discipline. Inoltre ha un alto tasso di scolarizzazione che fa invidia a tanti paesi ricchi. Fa riflettere che il tasso di analfabetismo funzionale degli adulti cubani è circa il 10%, in Italia è poco meno del 50%.
Nonostante il crollo del muro di Berlino, lo scioglimento dell’URSS e l’embargo, Cuba è riuscita a tenersi stretta i suoi primati in ambito medico. Certamente l’isola non è esente da problemi: l’alimentazione è costantemente in difficoltà, in quanto i prodotti scarseggiano e anche i ricchi turisti che approdano sull’isola a volte rischiano di non mangiare altri alimenti all’infuori di riso, fagioli e pollo. Nonostante la scarsità di rifornimenti sanitari che arriva nel paese, i progressi in termini medici sono dovuti più che da grandi investimenti in farmaci costosi, a un costante screening di controllo sulla popolazione, effettuato quartiere per quartiere, insieme alla scelta di prevenzione delle malattie.
Ritornando ai nostri giorni, Cuba attualmente conta 1.369 positivi e 54 decessi per coronavirus. Già dalla fine di marzo, il presidente Miguel-Diaz Canel aveva decretato la chiusura di aeroporti, scuole e università. Nelle ultime settimane si è deciso di ridurre i servizi di trasporto non essenziali. Cuba oggi non difetta di personale sanitario; i dati dimostrano che nell’isola sono presenti circa 76.000 medici e 89.000 infermieri. Nell’isola ci sono 9 medici ogni 1.000 abitanti, per intenderci due volte in più della Svezia e tre volte superiore alla Francia. Non è un caso che in molteplici occasioni l’OMS ha elogiato il sistema cubano. Queste le parole dell’ex direttrice generale Margaret Chan: «Cuba è l’unico paese che dispone di un sistema sanitario basato sulla ricerca e sullo sviluppo. Questa è la strada da percorrere perché solo attraverso l’innovazione si può pensare di migliorare la sanità».
Intanto è recente la notizia che proprio a Cuba si sta sviluppando un farmaco antivirale per il trattamento del Covid-19. Nonostante sia presto per esprimere un giudizio, gli scienziati di tutto il mondo affermano che i risultati preliminari sono soddisfacenti. L’isola socialista sta sviluppando così la propria versione dell’antivirale Kaletra che, qualora dovesse produrre gli effetti sperati, potrebbe essere esportato in larga scala. Ovviamente però l’isola fa i conti con le restrizioni statunitensi, in quanto a Cuba manca il macchinario termico necessario per mettere a punto l’antivirale. Cosa accadrebbe se il mondo decidesse di porre fine all’embargo ai danni di Cuba, permettendo di condividere i propri successi in campo medico-scientifico e aiutandola a risolvere le attuali difficoltà?
La vera domanda è perché non accade?