In questi giorni di vigenza delle misure di contenimento del contagio da coronavirus è esperienza alquanto comune ricevere sui social media messaggi di invito a recitare una specifica preghiera per la cessazione della pandemia, o di raccogliersi in preghiera in un determinato giorno e a una data ora, o di collegarsi a specifiche emittenti radiotelevisive per assistere a funzioni religiose invocanti la rapida fine di questo problematico periodo. Questo fenomeno di particolare “ritorno del religioso” è così evidente da non passare inosservato specialmente in un contesto sociale come quello attuale nel quale, a detta di diversi sociologi, viviamo un periodo di evidente secolarizzazione nel senso che la religione, pur continuando a interessare molte persone, non è determinante nelle scelte sociali, politiche e culturali. Infatti, se ci si prende il tempo di riflettere sulla personalità dei divulgatori dei citati messaggi online, almeno di quelli che conosciamo personalmente, accade di osservare che, in non pochi casi, si tratta di persone che credono in una potenza superiore che non sanno identificare, oppure sono “credenti fai da te”, o “cristiani a modo loro”. Quindi, pare che stiamo assistendo a una particolare manifestazione del “credere senza appartenere”, nel senso che non pochi concittadini dichiarano di “credere”, ma in pratica – col loro agire quotidiano – danno prova di non “appartenere” a una specifica comunità religiosa nel pieno senso di ciò che implica tale concetto.
In questo periodo di limitazione degli spostamenti fisici, proviamo a distrarci “muovendoci” molto sul web: si tratta di un valido succedaneo alle sacrosante restrizioni imposte dalle autorità nel nostro esclusivo interesse. Ebbene, per restare in tema di fede, la navigazione in internet offre conferma anche di un altro dato non irrilevante: si è intensificata la propaganda di quei “profeti di sventura”, che vedono nell’attuale pandemia una “prova” dell’adempimento delle profezie bibliche riguardanti gli “ultimi giorni”, o “fine dei tempi”; per costoro, infatti, pestilenze ed epidemie sono caratteristiche premonitrici di una “imminente” catastrofe mondiale: Armaghedon! Eppure, proprio sul fronte “epidemie”, i dati registrano, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, un forte decremento nel numero delle vittime, significativo se lo si confronta con la grande incidenza che quei fenomeni ebbero nei secoli scorsi. Va da sé che l’unico criterio di valutazione appropriato è quello di prendere in esame la percentuale delle persone coinvolte; infatti, esaminando la situazione demografica mondiale, è evidente il dato dell’enorme crescita della popolazione planetaria, sicché è logico aspettarsi che le calamità coinvolgano in assoluto un numero di persone più elevato rispetto ad altre epoche storiche. Come hanno scritto due acuti studiosi, Carl O. Jonsson e Wolfgang Herbst, di fronte alla Storia, gli scrittori “apocalittici” si dividono in due categorie: quelli che, semplicemente, la escludono dall’orizzonte argomentativo e critico, favoriti dalla scarsa sensibilità storica dei loro lettori, incapaci, nella maggior parte dei casi, di fare paragoni fondati; quelli che, soprattutto la Società Torre di Guardia dei Testimoni di Geova, affrontano il dibattito storico impegnandosi a contestare, con una certa dose di velleitarismo, o a negare significato a quelle che pure si presentano come evidenze storiche. Forse proprio l’ignoranza e l’estraneità al passato rendono alcuni così improvvidi e così ansiosi di leggere negli eventi del presente una improbabile unicità.