Lo scorso 18 febbraio hanno annunciato la loro adesione a Italia Viva il senatore Tommaso Cerno, transfuga dal PD, e la deputata Michela Rostan, che abbandona addirittura Liberi e Uguali (LEU). Esultano i sostenitori di Renzi perché Italia Viva porta a 18 il numero dei senatori ed a 30 quello dei deputati, in barba a chi ne profetizzava la diaspora.
Difficile cogliere il senso di questi trasferimenti: si potrebbero, con molta buona volontà, comprendere sia l’abbandono del PD, oggi accusato di troppa arrendevolezza nei confronti del M5S, sia quello di LEU, la cui sopravvivenza è incerta. Non si comprende invece perché queste giustificabili defezioni vadano a rafforzare il partito più irrequieto della coalizione di governo.
Ci fosse una qualche ideologia, che so, ambientalista o pacifista, si potrebbe concepire una forma di folgorazione sulla via di Damasco, ma Italia Viva sembra distante da qualunque ideologia. Che la cosa sia potuta avvenire per valutazioni di opportunità politica rimane arduo da decifrare: possibile che siano stati indotti all’adesione dalla posizione oltranzista di Italia Viva sulla riforma della prescrizione? Sembra improbabile: oltretutto sia Cerno che Rostan pare non abbiano alcun interesse personale in fatti giudiziari. Altri obbiettivi o progetti politici capaci di suscitare repentine adesioni non ne vediamo.
D’altra parte non si spiegano neppure le precedenti conversioni di parlamentari provenienti, per esempio, da Forza Italia perché un partito che oggi sfiora nei sondaggi appena il 4% non può rappresentare un’àncora di salvezza nemmeno per i deputati più sprovveduti, figuriamoci poi per chi si è fatto le ossa nel partito di Berlusconi: costoro, che ingenui non sono, avranno certamente considerato che alle prossime elezioni, anche se volessimo accreditare Italia Viva di un generoso 4% (sempre che non si approvi lo sbarramento al 5% e alla luce della probabile riduzione del numero dei parlamentari), il partito di Renzi porterebbe in Parlamento solo 8 senatori e 16 deputati, lasciando a casa ben 10 senatori e 14 deputati. Non riuscendo ad intravedere ragioni specifiche per dare un senso a queste né alle adesioni guadagnate all’atto della fondazione del nuovo partito, non ci resta che pensare a motivazioni di tipo tattico, cioè alla previsione di alleanze, unificazioni, scioglimenti, al momento puramente ipotetici, che permetterebbero a Renzi di tornare sulla scena politica in una veste più consona ai suoi sogni di gloria. Ma questo scopo può mai apparire realizzabile a personaggi politici raziocinanti? Ragionevolmente no. E allora dobbiamo ritenere che le adesioni a Italia Viva non siano un fatto razionale, ma si collochino nella sfera della fede: fede incondizionata nelle capacità demiurgiche di Renzi. E infatti il renzismo altro non è che una “religione”, con la sua liturgia ed i suoi riti (la Leopolda!) celebrati da quel “gran sacerdote” che è Matteo Renzi. Una “religione” che contempla anche reincarnazioni e resurrezioni: quella di Renzi si incarnerebbe volentieri in una monarchia assoluta o, bontà sua, costituzionale. Qualcosa di molto simile ai “pieni poteri” rivendicati dal Salvini sovranista. Non a caso Eugenio Scalfari, intervistato da Floris su La7 la sera del 18 febbraio circa il progetto politico di Renzi, ha proclamato semplicemente: “Renzi vuole fare il re.” E con ciò il decano del giornalismo italiano ha dimostrato come a novantasei anni si possa essere ancora così lucidi da cambiare idea su un leader politico al quale aveva accordato, sia pure in via provvisoria, una incauta apertura di credito. La sera successiva, sempre su La7, Bersani ha ribadito il concetto alla Gruber chiarendo che “il programma politico di Renzi è Renzi”: prospettiva che evidentemente ha un suo inesplicabile fascino.