L’indifferenza dei don Abbondio

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Cardinale Federico Borromeo e don Abbondio, illustrazione di Gogin all’edizione del 1840 de I Promessi Sposi (Fonte: Wikipedia)

Il 27 gennaio 1945, poi divenuto “giorno della memoria”, è un giorno tremendo. È il giorno in cui si aprirono le porte dell’inferno che vomitò fuori le sue anime dannate, larve di esseri umani condannati – innocenti – alle pene più atroci e non per colpa del solo mostro nazista ma, anche, ad opera di un mostro altrettanto abietto, che cammina da sempre, anche oggi, fra di noi. Il suo nome è indifferenza, e adesso cercheremo di capire cosa si annidi dietro di esso.

Può sembrare un paragone ardito, eppure può individuarsi un’analogia fra ciò che accadde ad Auschwitz, Treblinka, Dachau …, con ciò che le recenti cronache riferiscono di un episodio molto minore, ma ugualmente inqualificabile, avvenuto in un quartiere di Napoli, dove un branco di ragazzini ha aggredito e deriso – per il momento impuniti – le forze dell’ordine. Uno spettacolo che suscita sgomento e interrogativi. La domanda potrebbe essere: perché queste cose accadono, come possono accadere? È la stessa che ci si pose quando sulla Shoah si tolse finalmente il velo d’ipocrisia che l’aveva ammantata e occultata. L’elemento in comune che hanno questi due fatti – di cui il secondo di un assoluto secondo piano rispetto al primo e assunto solo come paradigma di ciò che si vuol dimostrare – è l’indifferenza, cioè quel tipo di atteggiamento, purtroppo enormemente diffuso, per cui, se una cosa non capita direttamente a me, è più prudente volgere la testa e far finta di nulla. Mentre dei vandali in erba agivano alla luce del sole e si permettevano ciò che la civiltà, il buon senso, la buona educazione, il comune sentire, a parole condannano, la “gente”, i bravi cittadini, i laboriosi e industriosi abitanti della zona, stavano a guardare; mentre, se avessero reagito, magari con una buona dose di scappellotti a quei piccoli teppisti, avrebbero immediatamente ristabilito l’ordine delle cose: questo non si fa! Tornatevene a casa!

Il male comincia così, con l’indifferenza, stretta parente della pavidità. Come non ricordare a questo punto il colloquio di don Abbondio con il cardinal Borromeo al quale, dopo essere stato redarguito per il suo comportamento imbelle, il buon parroco candidamente rispose: “Se uno non ce l’ha, il coraggio non se lo può dare”. Ed è così che comincia la tragedia. È umano aver paura, e la paura è anche un meccanismo di difesa, come il dolore; se non ci fosse la paura, non scapperemmo di fronte al pericolo; e se non si sentisse il dolore, non se ne potrebbe rimuovere la causa; in entrambi i casi, la nostra inerzia comporterebbe un risultato fatale. L’assenza di dolore, per esempio, è il sintomo di una grave malattia, chiamata CIPA (insensibilità congenita al dolore), che può avere conseguenze gravissime. Il dolore ci protegge; quando esso è assente, e qui adesso ci riferiamo al dolore morale, ne scaturisce l’indifferenza, ovvero l’insensibilità verso il dolore altrui. Quando in Italia durante il fascismo fu imposto l’obbligo di fedeltà al regime, soltanto 13 professori universitari su 1.300 si rifiutarono di piegarsi. Gli altri 1.287, privi della stessa qualità che mancava a don Abbondio, girarono la testa dall’altra parte, e così facendo si schierarono con il don Rodrigo di turno, abbandonando quei tredici al loro destino.

Philip Zimbardo in L’effetto Lucifero ci ricorda che “saper dire di no, saper disobbedire, conservare «eroicamente» questa capacità, l’unica che ci consenta di decidere e scegliere: questo ci serve, per sfuggire all’effetto Lucifero”. Tutto comincia con la sottovalutazione. Quando si tace vedendo adolescenti che vandalizzano i luoghi dove viviamo. Quando assistiamo inerti nel vedere il nostro ex ministro dell’interno che, come uno smargiasso di periferia, si arroga la potestà di dileggiare una famiglia di cittadini, bussando alla loro porta per chiedergli offensivamente e arbitrariamente se spacciano, nell’indifferenza di chi avrebbe dovuto fargli notare che stava compiendo un gesto ignobile, mentre la sua becera tifoseria al seguito lo applaudiva, ebbene, quando derubrichiamo tutto questo a folklore, campagna elettorale, ragazzate, allora stiamo aprendo l’uscio ad Auschwitz.

In Europa e in America molti erano al corrente di ciò che stava accadendo – la moderna indagine storica tristemente lo conferma con certezza – ma per convenienza politica, per ignavia, per calcolo, finsero di non sapere fino a quando non furono spalancate le porte dell’inferno e allora non fu più possibile chiudere gli occhi. “Indifferenza” è la parola incisa a caratteri cubitali lungo il binario 21 della stazione centrale di Milano, da dove venivano fatti partire gli ebrei che non avrebbero mai più fatto ritorno a casa. Tutti sapevano che non andavano in villeggiatura! L’indifferenza raggiunge il suo culmine quando è persino Dio a mostrarla. Un teologo ebreo, André Neher, la definì “il silenzio di Dio” mentre, più realisticamente, Primo Levi affermò che: “Se c’è Auschwitz non c’è Dio”. Che Dio ci sia o non ci sia è questione che attiene al dibattito teologico e alla teodicea, ma ciò che conta è che noi ci siamo e dobbiamo tener conto, volenti o nolenti, delle imperiture parole di John Donne che, nel ‘600, in un suo poema scrisse: “Nessun uomo è un’isola … La morte di ciascun uomo mi sminuisce perché faccio parte del genere umano. E perciò non chiederti per chi suona la campana. Suona per te”.

Ciò vuol dire che l’indifferenza quando vediamo il male inflitto ad altri senza prendere partito, è indifferenza verso noi stessi, e prima o poi ne pagheremo lo scotto. Il male è stupido, come dice Ermanno Bencivenga in La stupidità del male. Ma è anche rivelatore in quanto mostra ciò che siamo in realtà, ovvero, come scrive sempre Bencivenga, “che la realtà portata alla luce dal male sia più vera di quello che si manifesta in altre circostanze: che il male smascheri l’ipocrisia e svergogni i sepolcri imbiancati facendo emergere quel che veramente noi tutti siamo (o per meglio dire, saremmo, se le convenzioni sociali non reprimessero i nostri impulsi)”.

Il male, oltre che banale, quindi, è anche stupido e perciò siamo inclini a sottovalutarlo. Il gesto di Salvini, di cui abbiamo già parlato, potrebbe essere definito una “goliardata”, ma non è così. In esso vi è l’arroganza del potere, la convinzione che se un atto malvagio lo fa un potente come lui, rimane impunito; vi è il disprezzo per un ragazzo tunisino di 16 anni, che non ha le protezioni sociali del “senatore”. Vi è l’irrisione delle regole del vivere civile, che dovrebbe stigmatizzare gesti come quelli del capo della Lega bollandoli come vergognosi e riprovevoli. È un piccolo gesto, gravido di grandi conseguenze. Oggi è un campanello, e domani? Domani saremo in grado di sentire per tempo il suono di qualcosa di più inquietante? Scrive Liliana Segre in La memoria rende liberi: “Orrori come quelli del nazismo e del fascismo non sono accaduti perché un esercito ha imposto con la forza bruta le sue regole a una popolazione recalcitrante. Se Hitler e Mussolini sono riusciti a tenere in pugno i rispettivi Paesi è perché hanno potuto contare sul sostegno e sulla complicità di una vastissima percentuale di tedeschi e italiani … Da anni, ogni volta che mi sento chiedere: ‘Come è potuto accadere tutto questo?’, rispondo con una sola parola, sempre la stessa. Indifferenza.”

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