La festa appena cominciata è già finita, cantava il triste Sergio Endrigo nel 1968. Eppure nella memoria di tanti quelli erano anni straordinari, di piazze piene, scuole e università occupate, quando in molti credevano che i tempi dell’introspezione e della solitudine fossero finiti e che tutto era pubblico e politico, condiviso e condivisibile. Il 2020 è iniziato da due settimane, botti esplosi, cibo in abbondanza consumato e molto sprecato, la strage di capitoni e anguille, di capponi e maiali si è consumata. I negozi si sono riempiti per qualche giorno per i tradizionali saldi di fine stagione, ma la ressa è già finita e si torna nei negozi più per cambiare gli acquisti già effettuati che per farne di nuovi. Qualche addobbo, in compagnia di alberi di Natale malconci, è stato abbandonato nell’immondizia, alcune luminarie continuano a lampeggiare, confermando la sciatteria anche nelle ritualità e la disattenzione di molti alla cura delle cose. La tanto esaltata ressa dei turisti nelle città italiane, compresa Napoli, è già un ricordo.
Il periodo di festa da poco concluso non ha portato particolari novità, nessun avvenimento esaltante ma riedizione di cose già viste, per certi versi scontate. Le piazze in musica dominate da vegliardi protagonisti, da Orietta Berti a Romina e Albano. È mancata anche l’esilarante battaglia della Meloni in difesa del presepe, con tutte le ridicole polemiche dell’anno precedente. Dopo Natale, Capodanno ed Epifania tutte le feste vanno viae a Napoli che cosa è rimasto? Cumuli di immondizia e questa volta non solo quella legata al ciclo degli inceneritori, l’indifferenziata, ma anche quella che dovrebbe avere un ciclo protetto ed efficiente – vetro plastica e carta – oltre quella dei rifiuti ingombranti. Quel che sconcerta è la diffusa e rassegnata indifferenza mostrata dai cittadini, sofferta da quei pochi che ancora amano passeggiare: vivere tra i rifiuti sembra ormai per i napoletani una condizione rinnovata nei secoli, il loro naturale habitat. E che nessuno si offenda. Già perché vedere per strada, anche nei quartieri residenziali e non solo nelle periferie estreme e degradate, oggetti abbandonati, magari con tanto di numero e codice ASIA per il ritiro programmato, fermi per settimane senza che nessuno intervenga, lascia basiti. Perché le campane per la raccolta differenziata non vengono svuotate? Cosa sta accadendo, perché nessuno reagisce alle poche denunce?
E ancora com’è possibile che, nonostante i tanti allarmi meteo e la consapevolezza che qualcosa sta cambiando nelle condizioni climatiche, si continuano a mettere solo delle reti di protezione temporanea intorno ai cornicioni e agli intonaci pericolanti? Perché la città non diventa un cantiere di restauro? Non siamo convinti che il problema sia l’assenza di disponibilità economiche, su questo punto si palesa un radicale cambio di percezione della propria ricchezza e della propria povertà che si riflette nella confusione dei modelli di consumo che si seguono. L’incuria degli spazi privati e comuni è la punta di un iceberg che nasconde l’accumulo di provvisorietà, imputabile all’esasperante assenza di un’amministrazione cittadina coraggiosa e capace di imporre regole condivise che costituiscono e fondano la cultura del vivere in comunità. Napoli, che si lascia con sofferenza e difficoltà, forse è tra le grandi città europee quella dove la strada e le tante piazze e piazzette del centro storico, e non solo, sono il vero luogo di ritrovo per giovani e meno giovani, con il caldo e con il freddo. A volte anche con la pioggia battente. Dal venerdì alla domenica, e con una minore intensità anche negli altri giorni della settimana, in tarda serata, in prossimità della notte, la città si popola di giovani e meno giovani; ragazze e signore, imbellettate e profumate, girovagano altezzose e superbe, alcune con tracotante imperizia anche a cavallo di mezzi motorizzati, frequentemente senza casco, o alla guida delle loro auto, pronte a scorrazzare per la città ignorando anche la più semplice regola del codice stradale. Si mischiano a loro ragazzotti incolti o brillanti studenti universitari, con aria da uomini di mondo, con l’onnipresente bottiglia di birra in una mano mentre con l’altra rollano sigarette. Anche a Napoli a prima mattina “gli svegli si dividono in due categorie: gli ancora e i già”, come scriveva Italo Calvino in una delle novelle raccolte nel libro “Gli amori difficili”. Una città che si presenta moderna e sguaiata, sporca e dismessa agli occhi di chi si avvia al lavoro. È questa la grande Napoli? La Napoli turistica, capitale culturale? Nelle notti bianche chi lavora nei bar viene pagato con le mance, se va bene, visto che a volte i padroni, che invadono le strade con tavoli, sedie e vetrine, fanno la cresta anche su quelle. E nessuno pare accorgersene. La nostra è una visione parziale, certamente limitata. Per questo chiediamo a chi ci legge: c’è una spiegazione a tutto questo? C’è qualcosa di nuovo, di buono, di interessante che popola la notte e il giorno di questa città? Siamo diventati tutti protagonisti in un film post catastrofe, o noi che scriviamo queste righe abbiamo gravi difetti alla vista? Aspettiamo, con sincera curiosità, testimonianze che raccontino un brulicare e un fermento positivo, che eroicamente viene agito per il bene di questa città e dei suoi abitanti e che sfugge al nostro sguardo impietoso e sommerso da una sfacciata confusione.