Il 2020 è nato sotto il segno della guerra. Mentre nei nostri opulenti paesi i botti e le fiammate in cielo sono solo giochi colorati che spaventano solo i più intelligenti, come gli animali domestici e quelli selvatici che ancora si aggirano in luoghi abitati dagli umani, sull’altra sponda del Mediterraneo i cieli si sono illuminati di lampi assassini e distruttivi. Il dispotismo, si sa, si nutre di terrore, di paura e di morte.
La Libia, che i governi occidentali si vantano di aver liberato dal dittatore Gheddafi, per anni è stata lasciata in balia di fazioni contrapposte, tutte in qualche modo favorite, appoggiate e finanziate dai governi dei Paesi europei e dagli Usa. Ogni stato ha scelto il suo amico ideale in grado di difendere i propri interessi economici e strategici in quel paese. Il Governo Gentiloni, in Italia, è giunto al punto di stipulare accordi con alcune di quelle fazioni pur di evitare il flusso di migranti verso l’Italia. Un accordo, mai ratificato dal Parlamento, che ha garantito alla guardia costiera libica – che è stato ampiamente dimostrato essere infiltrata da veri e propri banditi, ricattatori e torturatori di migranti – un flusso di denaro e di mezzi militari, oltre che una formazione “tecnica”. Il Governo Conte 1, la cui politica estera era stata dominata dal Ministro degli interni, quell’accordo non lo ha mai messo in discussione. Il Conte 2, nonostante i tanti proclami, nulla ha fatto per rinegoziarlo e, continuando nella stessa pratica elusiva, non ha coinvolto il Parlamento in una discussione ampia e seria sulla politica estera del Paese. Non meno pavido è stato il comportamento dell’Unione Europea, che ha finanziato il turco Erdogan, sospettato di indicibili crimini, pur di garantirsi il suo appoggio nella “impresa” di arrestare fuori dai confini europei i flussi dei migranti. Il duplice fallimentare pasticcio è stato tale che nessun politico o governo europeo ha la forza e l’autorevolezza per protestare prima contro i massacri operati contro i curdi e ora contro lo straripamento turco in territorio libico, annunciato direttamente dallo stesso Erdogan che sta inviando truppe in nord Africa per difendere una delle due fazioni in lotta in Libia.
In questo quadro inquietante e destabilizzante il Presidente americano fa la sua parte ordinando l’uccisione del leder iraniano Soleimani, accendendo per l’ennesima volta una miccia in una regione del mondo la cui instabilità politica e militare condiziona la stabilità globale.
Noi siamo e resteremo radicali: non c’è atto di guerra giustificabile politicamente e moralmente. Se i leader politici del mondo si mostrano irresponsabilmente indecisi o, peggio, guerrafondai è ora che i cittadini del mondo facciano sentire la propria voce.
È sempre tardi mobilitarsi per la pace, ma non è mai inutile.
È ora che le piazze del mondo ricomincino a riempirsi al grido di “No war”, No alla guerra. Quando parlano le armi, la ragione, la speranza di un mondo migliore per tutti diventa un’utopia.
Non possono esserci diplomatismi e tatticismi che ci impediscano di mobilitarci. Ogni nuovo conflitto in un’era ipertecnologica non può che portarci a devastanti e irreversibili conseguenze. Pace, no alla guerra! Una essenziale priorità.
Oggi milioni di persone comuni sono in grado di diffondere i propri messaggi tramite internet e i tanti social. Per una volta usiamo queste nostre capacità e potenzialità non per mostrare pietanze e tavole imbandite, brindisi solitari o in compagnia. Per un giorno intero inviamo a tutti un solo messaggio: No alla guerra.
Scriviamolo in tutte le lingue che conosciamo.
Diffondiamo l’unico messaggio globale e universale.
“No war” sia la premessa ad ogni intervento pubblico o privato.
Agiamo, urliamo, scendiamo in piazza.
“No war”, No alla guerra, sì alla vita e alla speranza.