Ciò che ammorba la politica italiana, al di là della corruzione diffusa e della mediocrità della classe dirigente, è l’elettoralismo. Possiamo definirlo come la mentalità che privilegia il risultato elettorale rispetto a tutte le altre finalità della politica (capacità di sintesi a tutela dell’interesse generale, programmi di sviluppo dell’economia, di ampliamento dei diritti civili e, perché no, anche soluzione dei problemi legati all’immigrazione, alla concorrenza internazionale, alla politica europea ecc.). Ciò avviene perché le elezioni si susseguono a tambur battente: le elezioni regionali non sono raccolte in un’unica tornata nazionale, ma cadono in date diverse perché il Titolo quinto della Costituzione riconosce alle regioni stesse il potere di deciderne la cadenza ed anche perché non sono rari i casi di scioglimento anticipato dei consigli regionali. I partiti vivono quindi una campagna elettorale ininterrotta, spesso caricata impropriamente di valenza nazionale anche quando si tratta di elezioni locali.
Lo scontro tra i partiti si nutre preferibilmente di polemiche rancorose, di invettive e accuse contro gli avversari, debitamente amplificate dai media. In questo approccio eccellono le formazioni politiche di destra le cui proposte, che chiamiamo giustamente elettorali, sono eclatanti e quasi sempre sconsiderate, se non manichee, come quelle riguardanti l’immigrazione e la sicurezza. Eppure bisognerebbe gioire per la frequenza con cui il popolo sovrano viene chiamato a designare i propri rappresentanti o viene consultato sull’abrogazione di norme in discussione. Un popolo che venisse chiamato a decidere poco o nulla somiglierebbe a un popolo di sudditi.
Il problema che pone l’elettoralismo, nel nostro Paese e forse in altri, è che rende sconsigliabile ai partiti proporre agli elettori programmi a lungo e, ahimè, anche a medio termine. Le campagne elettorali si consumano nel “tutto e subito”, espressione che ci spiega in sintesi come la maggior parte dei partiti voglia raggiungere la “pancia” degli elettori promettendo di placarne la fame, vera o solo percepita che sia. Chi osa proporre un progetto, magari anche fondamentale per la vita e lo sviluppo del Paese, ma realizzabile solo entro un certo numero di anni, è condannato a perdere le elezioni.
Quando guardiamo ammirati le grandi opere del passato, a partire dalle piramidi, non possiamo ignorare che sono il frutto di progetti, a volte addirittura dinastici, realizzati, sì, sulla pelle di un popolo di schiavi, ma comunque realizzati. Lo stesso si può dire di altre meraviglie architettoniche, come la Reggia di Caserta o Versailles, che nacquero all’ombra della protezione di monarchi più o meno illuminati. Anche l’Italia unita e finanche il detestato fascismo, grazie alla stabilità dell’indirizzo politico, realizzarono opere importanti tuttora apprezzabili nella loro oggettiva grandezza.
L’Italia repubblicana può vantare un buon ventennio in cui sono stati realizzati grandi progetti, non solo in campo strutturale (sistema autostradale, industrializzazione) ma anche sociale (case popolari, assistenza sanitaria universale). Poi il vuoto, a parte le corbellerie tipo il ponte di Messina la cui realizzazione intriga solo faccendieri, imprenditori e politici pronti ad accordarsi con le organizzazioni criminali di entrambi i versanti, nonché quei cittadini che si lasciano convincere dalla propaganda mendace di tutti questi soggetti dell’utilità di questo progetto. La quantità di grandi opere rimaste incompiute sta a testimoniare come negli ultimi trent’anni la politica sia stata incapace di progettare in maniera concludente: il MOSE ne rappresenta oggi l’esempio più fallimentare, in attesa di sapere se, come e quando si completerà il tratto italiano del TAV transalpino. Oggi bisogna accontentarsi di programmi “mordi e fuggi” che promettono immediati vantaggi a questa o quell’altra categoria e che permettono ai professionisti della politica (primo tra tutti Berlusconi, che almeno iniziò con la sparata di un milione di posti di lavoro) di raccattare un po’ di voti. Le promesse mirabolanti non vengono quasi mai mantenute ma, quando lo sono, la cosa avviene con spese esorbitanti, come nel caso di “quota 100”, o con complicazioni operative che si rivelano insormontabili: oggi vagano per l’Italia alcune migliaia di “navigator”, discretamente retribuiti, nella vana ricerca di posti di lavoro da proporre ai disoccupati, mentre altrettante migliaia di “riders” portano le pizze per pochi euro. Ormai la politica e le sorti della democrazia sono in mano a questi arringatori buoni ad illudere le piazze e le platee televisive ma incapaci di governare. Ed alla fine l’elettoralismo che viviamo da troppo tempo ucciderà non solo la democrazia ma anche il Paese e forse gli stessi politici che, dotati di una resistenza fisica invidiabile ma non per questo inesauribile, fanno uno o più comizi al giorno lungo tutto lo Stivale, le isole maggiori e anche le minori.