A che serve la cultura?

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Italiano, latino, greco, filosofia, chimica, fisica e tante altre sono le materie che molti di noi hanno studiato frequentando le scuole superiori, il ginnasio e il liceo. E, se dobbiamo essere sinceri fino in fondo, possiamo affermare che per la maggior parte degli studenti erano una vera e propria “rottura”. E, se non ricordo male, ci fu anche qualcuno che definì la filosofia “Quella cosa con la quale e senza la quale il mondo rimane tale e quale”.

Perché questa “ostilità” degli studenti in generale (certo, non tutti) nei confronti di materie di studio che sono essenziali per capire il mondo in cui viviamo, e che ci aiuteranno a farci strada nella vita? Probabilmente si tratta di come esse sono considerate, cioè dal punto di vista. Se riuscissimo a vedere la chimica non come un libro pieno di formule da imparare per poi sostenere un esame, ma come essa realmente è, cioè la materia grazie alla quale oggi la nostra vita è resa più facile e meno pericolosa di una volta, quando i farmaci, le cure e tanto altro di indispensabile nel mondo in cui viviamo ancora non esistevano, forse essa diverrebbe meno ostica, se ne coglierebbero le applicazioni pratiche – e utili – e così diverrebbe un diletto studiarla.

Lo stesso discorso vale per tutte le altre discipline. Prendiamo ad esempio la più ostica: la filosofia, per la quale è stato appunto coniato il motto che abbiamo appena citato. Alcuni possono pensare che i pensieri di uomini vissuti millenni o secoli fa, messi per iscritto in lingue per noi oggi incomprensibili, dall’antico accadico, al sumero, al greco, al latino, oggi non sono più di alcuna utilità in un mondo che ci permette di raggiungere la luna, che ha scisso l’atomo, che ha imbrigliato l’energia atomica, che ci ha consentito di stabilire l’età dell’universo e di raggiungere con gli strumenti moderni la realtà di galassie distanti da noi miliardi di anni luce. Eppure non è così. Nell’opinione comune la parola “filosofia” evoca talora qualcosa di astruso e di lontano dalla vita. In realtà, secondo un’antica tradizione, essa è strettamente intrecciata con l’esistenza umana al punto che, come affermava Platone, non si può essere uomini senza essere in qualche modo filosofi. «Non ci sarebbe la filosofia dei filosofi – scriveva Nicola Abbagnano – se l’uomo non fosse condotto a filosofare dalla sua vita stessa di uomo». Tant’è che la filosofia, da questo punto di vista, potrebbe essere definita come la vita pensata e problematizzata. Ma che cosa studia la filosofia? A che cosa serve? È inevitabile porsi tali interrogativi, così com’è proficuo cercare di fornire un abbozzo di risposta ad essi. È vero che si può comprendere che cosa sia davvero una disciplina soltanto entrando in contatto con essa, cioè studiandola. Per usare una celebre immagine di Hegel, si può imparare a nuotare solo entrando in acqua, ovvero comprendendo cosa è veramente la filosofia che, dal greco, in italiano si può tradurre con “amore (philìa) del sapere (sophìa)”. Ciò indica che essa più che possesso è ricerca del sapere, ed è quindi una disciplina che trova nel gusto della domanda il suo spazio vitale. Le domande di cui parliamo non sono quelle che riguardano direttamente il nostro fare quotidiano o la nostra utilità immediata. Le domande della filosofia sono, piuttosto, domande “di fondo”, che possono concernere qualsiasi aspetto della nostra esperienza. Ad esempio, in relazione alla realtà in cui viviamo, le domande di fondo della filosofia hanno storicamente assunto la forma di interrogativi quali: che cos’è l’essere? che cos’è il tempo? esiste Dio? In relazione alla nostra conoscenza, si sono concretizzate in questioni come: da dove derivano i nostri concetti? in che rapporto stanno la mente e le cose? quali sono le garanzie di validità del nostro sapere? In relazione al nostro agire, hanno assunto la forma di interrogativi quali: che cos’è il bene? che cos’è il male? che cos’è la libertà? che cos’è la giustizia? che cos’è la felicità? Tutte domande che nel corso del tempo in queste pagine hanno avuto adeguata considerazione. Le domande della filosofia sono quindi domande che vanno “alla radice”, ossia mettono radicalmente in discussione l’ambito considerato, qualunque esso sia (anche esperienze esistenziali come l’amicizia, l’amore o la sessualità possono divenire oggetto di riflessione filosofica). Mentre comunemente, come avviene ad esempio nella religione e nel diritto, si parla di bene e di male, di giusto e di ingiusto, la filosofia problematizza “alle radici” le nozioni stesse di bene-male, giusto-ingiusto. Pertanto, alla luce di quanto esposto, ritenere di vivere senza filosofia è un’ingenuità, poiché la filosofia è qualcosa di inevitabile, che coinvolge tutti. Da ciò quella che potremmo chiamare la sua “inaggirabilità”.

Quindi la filosofia, insieme alle altre discipline prima menzionate, costituisce quella che possiamo genericamente definire “cultura”, cioè quel bagaglio di informazioni che fanno di un uomo un essere “sapiente”, nel senso che sa, che capisce, e non un essere “ignorante”, cioè che ignora, che non sa perché le cose accadono o stanno così. Il nostro grande filosofo Nicola Abbagnano, già citato, fu sempre uno strenuo sostenitore del valore e della necessità della filosofia. Da ciò l’impegno costante ad argomentare con chiarezza (e in modo accessibile anche al lettore comune) questa tesi, mediante una proposta la cui peculiarità consiste nel ritenere che, prima di chiedersi se la filosofia sia “utile” o meno, è bene chiedersi se da essa si possa prescindere o meno, ossia se sia davvero possibile, per l’uomo, vivere senza filosofia. E sembra proprio che non lo sia, anche se non ce ne rendiamo conto.

È opinione diffusa, anche, che la cultura non serva agli scopi pratici dell’esistenza, tanto è vero che ad un nostro ministro dell’economia di alcuni anni fa fu attribuita l’espressione “con la cultura non si mangia”, che fece molto scalpore, tanto da spingere un altro ministro, Dario Franceschini, a scrivere un libro intitolato, per l’appunto “Con la cultura non si mangia?” (La nave di Teseo, 2006). Ma è vero quello che asseriva (anche se poi sembra averlo smentito) il ministro Tremonti nel 2010? Assolutamente no, e a confermarcelo interviene l’autrice di un libro che smentisce decisamente questa assurdità. La sua autrice è Paola Dubini, professoressa di Management all’Università Bocconi di Milano, e il libro è il suo saggio «Con la cultura non si mangia» Falso! edito da Laterza. E la studiosa lo sostiene con una ponderosa elencazione di dati e di fatti a comprova della sua perentoria affermazione. Intanto essa spiega che “Il patrimonio culturale è reale perché è visibile, riconosciuto, specifico: raccoglie i capolavori del genio creativo umano, attesta un cambiamento culturale importante, è testimonianza unica ed eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà … è un patrimonio composto di elementi materiali ma anche immateriali, perché la dimensione intangibile della cultura, fatta di tradizioni, di conoscenze tramandate, di prassi è strettamente collegato al patrimonio tangibile ed altrettanto importante”. Inoltre, la Dubini riporta anche alcuni tra i dati più significativi, che ci fanno comprendere come la cultura sia “portatrice sana di ricchezza”: i settori culturali e creativi contribuiscono al 4,2% del PIL europeo. In Italia l’ultima indagine Symbola – Unioncamere stima che nel 2018 il perimetro del sistema produttivo culturale e creativo è stato di oltre 92 miliardi di euro di valore aggiunto così ripartiti: oltre 13 miliardi provenienti da settori creativi (architettura, comunicazione, design), circa 34 miliardi provenienti dai settori culturali (cinema, radio, tv, videogiochi, digitale, musica, stampa, editoria), 3 miliardi dal patrimonio storico-artistico, quasi 8 miliardi dalle arti performative.

Secondo questa indagine, la cultura ha sul resto dell’economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8: in altri termini per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori.

Ergo, con la cultura non solo si mangia, ma, principalmente, ci si arricchisce di dentro e si migliora la nostra vita. Sicché, quando qualcuno dovesse – e purtroppo sono in molti – sottovalutare il prezioso dono della cultura che grandi menti di grandi uomini ci hanno trasmesso, sapremo come rispondergli e zittirlo!

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