Divagazioni sulle Olimpiadi 2024

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Bandiera olimpica (fonte: Wikimedia Commons)

Chiariamo subito: non siamo tra quelli che attendono impazienti le prossime Olimpiadi. Abitualmente seguiamo un po’ quelle gare nelle quali l’Italia ha una tradizione più o meno gloriosa che autorizza a sperare in qualche successo: scherma, nuoto, palla a nuoto, palla a volo, boxe, canottaggio, atletica leggera e poco altro. Una fruizione dunque a sfondo nazionalistico con le dovute eccezioni per qualche mostro sacro straniero. Quest’anno la temperatura estiva micidiale ci ha tenuti in casa più del consueto e le Olimpiadi sono diventate un appuntamento quotidiano.

Come giudichiamo, a bocce ormai ferme, questa manifestazione planetaria? La cerimonia di apertura è stato un tentativo, poi miseramente fallito, di osannare la storia e la cultura francese. Macron voleva evidentemente dimostrare ai suoi connazionali antieuropei che si può essere europeisti senza nulla cedere della “grandeur” francese. Non ci è riuscito non solo a causa della Senna ma anche della pessima ricezione alberghiera riservata alle migliaia di atleti ospiti. Messa da parte questa notazione politica ci ha sorpreso, quasi infastidito, la quantità di discipline sportive messe in gara.

Da Wikipedia, alla voce “Giochi olimpici antichi”, leggiamo: “Le gare si aprivano nell’Ippodromo con le gare di corsa dei cavalli con cinque carri, seguiva il pugilato, mentre la terza era una “lotta dolorosa”, poi veniva la corsa nei campi, la quinta era una disfida in armi (che terminava alla prima ferita inferta all’avversario), a seguire il lancio di un oggetto pesante (il solos, attrezzo in ferro rappresentante anche il premio), il tiro con l’arco al bersaglio, infine il giavellotto. Anche nell’Odissea sono descritte gare sportive che si svolgono nella mitica isola dei Feaci; si svolgono durante un banchetto e sono praticamente le stesse dell’Iliade, con l’unica differenza che il solos è divenuto un lancio del disco. La novità è invece costituita dall’halma (salto in lungo). Il primo documento scritto che può riferirsi alla nascita delle Olimpiadi parla di una festa con una sola gara: lo stadion (gara di corsa). Da quel momento in poi tutti i Giochi divennero sempre più importanti in tutta la Grecia antica. Successivamente altri sport si aggiunsero alla corsa con il numero delle gare che crebbe fino a venti, per durare sette giorni”.

Poca cosa, giustamente adeguata alla disponibilità di strutture e di tecnologie che poteva offrire una “polis” ellenica. Con le Olimpiadi moderne, concepite dal Barone De Coubertin nel 1892 e realizzate poi nel 1896 ad Atene, fu mantenuta una certa continuità: non a caso il motto olimpico ufficiale ideato nel 1924 è stato fino al 19 luglio 2021 “Citius, Altius, Fortius”, un’espressione latina che significa “più veloce, più alto, più forte”.

Ma quadriennio dopo quadriennio, salvo le sospensioni belliche del 1916 del 1940 e del 1944, ci si è piano piano allontanati dal senso profondo e, tutto sommato, umano del motto originario. Sono state inserite sempre nuove discipline, individuali o a squadre, che rispondevano certamente alle richieste di inclusione da parte dei paesi proponenti ma anche, e forse non meno, alla volontà di allargare i giochi olimpici fino a renderli un enorme show business. Abbiamo visto nel tempo entrare strane specialità, evidente frutto della fantasia di chissà quale mente “espansionista”: il triathlon, poi il pentathlon ed oggi anche il biathlon. Alcune di queste nuove discipline hanno comportato la messa in piedi di installazioni, piste, percorsi al limite dell’immaginabile (come per lo skateboard, ultimo arrivato). Alle Olimpiadi di Parigi noi inesperti spettatori abbiamo seguito, senza capirci molto, forsennate gare di Madison (corsa a squadre di ciclisti e di cicliste che percorrono come criceti in gabbia una pista circolare per centosessanta volte fino a coprire una distanza di ben 30 km: una bella strada lunga e larga – a Parigi ce ne sono – non avrebbe permesso di vendere un bel po’ di biglietti a spettatori entusiasti comodamente seduti sugli spalti appositamente costruiti?). Per non dire del kitesurf, del kajak slalom, del clymbing (noiosissima ed inutile arrampicata lungo una parete verticale di plastica che simula un autentico dirupo roccioso), tutti sport che sembra abbiano un loro seguito speciale, a meno che la molla non sia il banale nazionalismo che anima anche la partecipazione emotiva di tanti ignari tifosi come noi. Tra queste discipline strane non si può, anzi non si “deve”, tacere del curling: benché inquadrata nelle Olimpiadi invernali, questa disciplina, che consiste nel lisciare accuratamente con degli spazzoloni il pavimento facendo avanzare cautamente uno strano e pesante oggetto lentamente adagiato sul pavimento medesimo. Dovessero finire le immagini di una gara di curling nelle mani di alieni costoro si domanderebbero invano lo scopo di tanto impegno. In conclusione le Olimpiadi slittano sempre più verso un megaspettacolo universalista che raccoglie dalla diffusione televisiva planetaria enormi risorse che saranno destinate ad incrementare ulteriormente il numero delle discipline ammesse. Buona parte del fenomeno espansivo è certamente dovuto al clima di esaltazione che una serie sconfinata di cronisti enfatici e magniloquenti, ma non sempre padroni della materia, crea anche intorno al più minuscolo dei successi sportivi (altro che l’importante è partecipare). Quando le Olimpiadi si svolgeranno a Napoli, non dovremo avere remore a fare inserire tra le specialità il nostro “strummolo” e, perché no, “’a mazza e ‘o pivezo”, nobile antenato del baseball.

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