Chi ha corrotto il testo biblico?

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Bibbia di Gutenberg della New York Public Library (Fonte: Wikipedia)

In recenti articoli ci siamo occupati di un “palestinese” di altri tempi, conosciutissimo e nel contempo completamente sconosciuto. Come mai questa apparente discrasìa? Il perché è in fondo semplice. Ci sono due Gesù, uno è un uomo del suo tempo che ha vissuto e fatto tutte le cose che normalmente fanno gli esseri umani: mangiare, bere, dormire, lavorare, coltivare sogni, desideri, illusioni. Di quest’uomo sappiamo solo con ragionevole certezza che è esistito veramente, ma questo è un aspetto del tutto secondario rispetto al ruolo che gli è stato assegnato dalla Storia, o meglio dagli storici, dai teologi, dagli esegeti, dai biblisti e, infine, dalle grandi e piccole religioni comprese le sette. Il Gesù del Cristianesimo non è un uomo del quale si può tracciare con ragionevole certezza il percorso terreno, anche perché duemila anni sono un periodo sufficientemente lungo perché le memorie tramandate e i libri che sono stati scritti su di lui dicessero tutto e il contrario di tutto.

Il Gesù noto alla massa dei fedeli è quello che adesso risiede “nell’alto dei cieli”, il Gesù che istituì l’Ultima Cena, che la chiesa cattolica ha trasformato in un prodigio assolutamente incredibile: quello che un’ostia di farina e un bicchiere di vino, nel momento della cosiddetta “eucarestia”, diventano miracolosamente – direi più appropriatamente: magicamente – vera carne e vero sangue di Gesù. Niente di diverso, in effetti, da tanti altri “prodigi” compiuti nel suo nome, come il sangue di San Gennaro che ogni anno, a data stabilita, si liquefà, come un quadretto di poco valore di Maria madre di Gesù, che all’improvviso si mise a lacrimare e adesso in suo onore le è stato eretto un santuario degno delle piramidi, e potremmo continuare per pagine e pagine ad elencare gli innumerevoli “miracoli” o episodi prodigiosi che hanno caratterizzato e caratterizzano ancora questi venti secoli di Cristianesimo, e più segnatamente di cattolicesimo; anche se, va detto, non sono solo i cristiani che ne hanno l’esclusività. Millenni prima di Cristo, e per duemila anni dopo, non c’è una religione che non abbia rivendicato la potenza del suo dio espressa tramite opere straordinarie. I miracoli esistono nell’Ebraismo, nel Buddismo, nell’Induismo, nell’Islamismo. Praticamente ovunque. Comunque lo si chiami, ci troviamo di fronte a un dio veramente prodigioso.

Ci sembrerebbe di lasciare questo discorso incompleto, se non facessimo una digressione, parlando un po’ più estesamente dell’Eucarestia, e questo allo scopo di rendere con solare chiarezza quanto si sia potuta allontanare dalla semplicità della predicazione di Cristo, la principale chiesa che ancora gli sopravvive, la chiesa cattolica. L’Eucarestia è, in sostanza, la ripetizione di un miracolo impossibile per milioni di volte al giorno, mediante il fenomeno che la Chiesa ha definito ufficialmente transustanziazione nel XIII secolo (ha dovuto aspettare 1.300 anni prima di decidersi a inventarla!). Essa «è la via per la quale si attua la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nell’Eucarestia, ossia la mirabile e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo e di tutta la sostanza del vino nel Sangue di Gesù Cristo, rimanendo immutate solo le apparenze del pane e del vino» (Concilio di Trento, sessione XIII, canone 2). Quella dell’Eucarestia è una dottrina fondamentale della Chiesa, rigettando la quale si è addirittura scomunicati. Ecco come essa venne definita nel corso del Concilio di Trento: «Prima di tutto il S. Concilio insegna che in questo almo sacramento della Santissima Eucarestia, dopo la Consacrazione del pane e del vino, sotto le specie di queste cose sensibili, si contiene veramente e sostanzialmente N.S. Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo … Se qualcuno negherà che nel Santissimo Sacramento dell’Eucarestia si contenga vere, realiter, substantialiter, il Corpo e il Sangue insieme con l’anima e la divinità di N.S. Gesù Cristo e perciò tutto Gesù Cristo, ma dirà che in questo Sacramento vi è soltanto in segno, o in figura, o in potenza, sia scomunicato» (Enciclopedia Cattolica, Vol. V, Città del Vaticano, 1959). Per cui nel momento in cui l’officiante, cioè il sacerdote, pronuncia ufficialmente la formula “Corpus Christi”, levando in alto l’ostia e il calice, in quell’esatto momento avviene il miracolo. Ovvero, ogni giorno, in ogni parte del mondo, tonnellate di carne e sangue di Cristo vengono letteralmente ingeriti da milioni di fedeli, che però non se ne accorgono, ma devono crederci perché lo dice loro la Chiesa!

Ma questi argomenti esulano dallo scopo che ci siamo prefissi in quest’articolo, ovvero: tutto ciò che sappiamo di Gesù, come lo sappiamo? Chi ce lo ha raccontato? In quali testi si trova scritto? E qui si apre un territorio vastissimo, dove vi è ancora molto da esplorare, e che riguarda la formazione del cosiddetto “Canone” del Nuovo Testamento. È da questo “Canone” che noi apprendiamo ciò che Gesù disse e fece, compreso il fatto che egli dopo la sua morte, contrariamente alla dottrina dei Sadducei che non credevano nella resurrezione, ascese al cielo in spirito, secondo quella degli odiati Farisei e della filosofia greca. È comprensibile e del tutto umano che lo sparuto gruppo dei suoi discepoli e degli altri seguaci rimanessero sconvolti dall’accaduto: il loro Signore, che di lì a poco avrebbe dovuto resuscitare corporalmente tutti i morti, che avrebbe dovuto instaurare su tutta la Terra un nuovo ordine di pace e giustizia – il Regno di Dio – era finito così, miseramente, come un criminale della peggiore risma. Bisognava correre ai ripari, anche perché insieme con la sua morte scompariva anche la promessa della sua Parusia: «Anch’essa fu delusa, e gli studiosi moderni hanno volentieri individuato nel “ritardo della parusia” il motivo di una profonda trasformazione del messaggio di Gesù, la quale sostituì la tensione verso il regno di Dio imminente con l’adattamento al mondo per un tempo indeterminato e creò le istituzioni ad esso necessarie. Certamente possiamo seguire nei più antichi documenti cristiani l’attesa del ritorno imminente di Cristo e le varie strategie messe in atto perché i gruppi di credenti in lui non fossero distrutti dalla constatazione che esso non si era verificato» (Enrico Norelli, La nascita del cristianesimo, Il Mulino, 2014).

Una volta scomparso il Messia, il suo vuoto fu colmato con la narrazione e la ripetizione, oltre che con la trasmissione orale, degli episodi più salienti della sua vita, delle sue opere, dei suoi insegnamenti. Tutto ciò, e per decenni, fu fatto senza che nessuno scritto apparisse a documentarlo, e quindi dopo la scomparsa della generazione dei discepoli di Gesù si trasmisero per lungo tempo oralmente quelli che si ritenevano essere i contenuti della sua predicazione, ma ci si applicò anche a raccogliere i loro scritti (autentiche sono solo le sette lettere di Paolo) o a redigere quei contenuti per iscritto, sotto il loro nome o quello di altri, in vangeli o in lettere pseudoepigrafe (cioè attribuite ad un nome di convenienza, che non ne era in realtà l’autore, per renderli maggiormente degni di fede). Possiamo quindi affermare – con il supporto di una vastissima produzione specialistica al riguardo – che i primi gruppi di seguaci, dopo la morte di Gesù e fino alla seconda metà del II secolo, diciamo gli anni 150, 160, 170 dell’era volgare, hanno vissuto senza il Nuovo Testamento, e che gli scritti loro attribuiti sono stati redatti da persone che non avevano mai conosciuto di persona Gesù o ascoltato le sue parole.

A questo punto è corretto che tentiamo di dare una risposta alla domanda su chi ha (avrebbe) “corrotto” la Bibbia, e perché. Premettiamo con il dire che nessuno dei vangeli è stato scritto realmente dai quattro evangelisti ai quali essi sono attribuiti: Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Inizialmente essi erano del tutto anonimi: solo in una fase successiva vennero chiamati con i nomi dei loro padri putativi. Ma nello stesso periodo entrarono in circolazione altri Vangeli, testi sacri che venivano letti e venerati da diversi gruppi di cristiani in ogni parte del mondo. Ad un certo punto qualcuno decise che soltanto quattro di questi antichi Vangeli sarebbero stati accettati come parte del canone, la raccolta di libri sacri delle Scritture. Ma come fece a decidere? E quando? Come possiamo essere sicuri che aveva ragione? E che cosa accadde agli altri libri? Possiamo ben dire, con Bart Ehrman, che in quei primi secoli ebbe luogo “una vera e propria battaglia, nella quale ci sarebbero stati «vincitori e vinti»”. Chi furono i vincitori? Per scoprirlo è bene essere informati della scienza che si occupa dei manoscritti antichi (migliaia) che riportano tutta la letteratura cristiana dei primi secoli, e che si chiama “critica testuale” ovvero il tentativo di definire quale sia stato il testo originale e il perché delle modifiche. In linea generale gli studiosi sono in larga parte convinti che, fin dai primi anni dopo la morte di Gesù, i suoi seguaci non solo abbiano alterato le tradizioni relative alla sua vita e ai suoi insegnamenti, ma ne abbiano anche inventate di nuove. Spiega Bart Ehrman in Prima dei vangeli: «Le prove del fatto che i ricordi di Gesù abbiano incominciato a subire alterazioni subito dopo la sua morte (e perfino durante la sua vita) si possono trovare nei resoconti scritti comparsi una quarantina d’anni più tardi: i vangeli canonici. Spesso questi sono in disaccordo tra loro e, ogni qualvolta due o più versioni di un racconto risultano inconciliabili, dobbiamo convenire che non sono storicamente corrette e che qualcuno ha modificato o inventato qualcosa … Oggi, tra gli esperti del Nuovo Testamento nessuno pensa che gli autori dei vangeli abbiano inventato i loro racconti di sana pianta. Dunque, da dove li hanno tratti? Per la maggior parte dalla tradizione orale dei seguaci di Gesù. Costoro hanno raccontato più e più volte le storie sul loro maestro, a partire da quando era ancora in vita e per molto tempo ancora dopo la sua morte. Queste tradizioni rimasero in circolazione per anni, anzi decenni prima che gli autori dei vangeli se ne appropriassero … Chiunque intenda studiare il Gesù storico o il ricordo che di lui avevano le comunità cristiane delle origini deve prendere in seria considerazione questo dato fondamentale: i resoconti sulla vita di Gesù di cui siamo in possesso contengono ricostruzioni che sono state trasmesse in forma orale per tutti quegli anni». Perché ciò accadde e, domanda ancor più vitale per i credenti: perché Dio l’ha consentito? Sul perché ciò accade la risposta è relativamente semplice: già al tempo in cui Gesù era ancora in vita vi erano dispute fra i suoi seguaci su chi egli fosse. Dopo la sua morte i resoconti degli avvenimenti trasmessi oralmente cominciarono ad essere messi per iscritto dai seguaci più eruditi, e poi dagli scribi di professione (ma secoli dopo), ed è del tutto naturale che ogni gruppo di seguaci procedette a modifiche del testo ricevuto oralmente per motivi di ordine teologico. Ciò avvenne ogni volta che i copisti si preoccuparono di garantire che i libri dicessero quello che essi volevano (verba volant, scripta manent). Qualche volta questo si verificò a causa delle dispute teologiche che infuriavano all’epoca. Per comprendere questo tipo di modifica è necessario sapere qualcosa delle controversie teologiche dei primi secoli del cristianesimo, i secoli in cui nelle Sacre Scritture fu introdotta la maggior parte delle alterazioni, prima che gli scribi «professionisti» diventassero una presenza diffusa e costante. Così come oggi, con le varie correnti religiose come il cattolicesimo, il protestantesimo, il presbiterianesimo, il calvinismo e le centinaia di sette “cristiane”, anche in quei primi secoli avvenne la stessa cosa, e la nuova religione nascente. C’era l’adozionismo, il docetismo, il separatismo, il patripassianesimo. Sembra pertanto che gli scribi del tempo a volte alterassero le parole dei testi sacri per renderli più palesemente ortodossi e prevenire idee aberranti. Fino al terzo secolo vi furono accese dispute teologiche da parte di gruppi che asserivano, ciascuno, di essere il depositario del testo autentico fra i tanti in circolazione, e di conseguenza gli scribi “corruppero” i loro testi per ragioni teologiche. Pertanto si può affermare che gli scribi proto-ortodossi del secondo e terzo secolo modificarono i loro testi scritturali per renderli conformi il più che fosse possibile alle loro credenze cristologiche, effettuando così “la corruzione ortodossa delle Scritture”. (vedi B. Ehrman, The Orthodox Corruption of Scripture, Oxford University Press, 2011) Poiché a tutti dovrebbe essere ormai chiaro che l’aver fatto della Bibbia una sorta di “feticcio”, contenente con assoluta inerranza la “Parola di Dio”, è una pia illusione e un grave errore – la storia ce lo ha abbondantemente dimostrato – non dobbiamo dolercene più di tanto se ci rendiamo conto che nessun dio ha “ispirato” nessuna Bibbia, e che essa, di grandissimo valore storico, non è che uno dei tanti capolavori della storia, come l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide e tante altre opere simili, al tempo delle quali i popoli dell’epoca adoravano i loro dei, come gli ebrei adoravano il proprio. La Bibbia, l’Antico Testamento, non è che una saga, la storia di un popolo che si creò un dio, un dio esclusivo perché chiunque lo ha letto sa bene che il dio d’Israele era solo d’Israele e di nessun altro popolo. E il Cristo del Nuovo Testamento era solo il Cristo del popolo ebraico, che limitava la sua predicazione solo a Israele. Ci volle Paolo perché la nuova fede uscisse da quegli ambiti ristretti e diventasse universale. Ma di questo speriamo di poterne parlare un’altra volta.

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