Separazione o divorzio?

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Come molte delle grandi storie d’amore della Storia, anche quella fra gli Stati Uniti d’America e l’Europa sta conoscendo il suo declino e, con l’elezione di Trump, probabilmente, la sua fine. Ma si tratta di una semplice separazione o di un divorzio definitivo? Per citare un abusato slogan, “ai posteri l’ardua sentenza”.

L’America, che in effetti allo stato pratico sono solo gli Stati Uniti, anche se comprende molti altri Stati, come il Canada, il Messico e tutta l’America latino americana, nel nostro immaginario collettivo è sempre stata il Paese del bengodi, nel quale, a milioni, gli europei si sono riversati per “farvi fortuna”. Essa in effetti è un crogiolo di etnie, di lingue, di culture, di tradizioni, quasi tutte provenienti dal continente europeo. Anche se fu “scoperta” da un italiano, Cristoforo Colombo, il genovese, essa ha preso il nome di un altro grande navigatore, Amerigo Vespucci, ma l’impronta europea più decisa, l’imprinting più duraturo, è senza dubbio quello inglese, tanto è vero che è l’inglese – anche se fortemente “americanizzato” – la lingua che si parla dai confini con il Messico a quelli canadesi.

Noi italiani abbiamo da sempre avuto un debole per quel Paese, in particolare da quando, il 10 luglio 1943, sulle coste della Sicilia sbarcarono gli americani e gli inglesi con l’operazione denominata “Husky”, e da quell’evento cominciò la liberazione dal giogo nazifascista, mentre quasi esattamente un anno dopo, il 6 giugno 1944, ebbe luogo il secondo sbarco, quello in Normandia che accerchiò in una tenaglia l’esercito del Führer; quel giorno è stato ricordato come il D-Day o “il giorno più lungo” dal titolo di un celebre film del 1962. Gli americani, quindi, nel nostro immaginario collettivo, sono sempre stati considerati i nostri “liberatori”; e come dimenticare il tripudio delle popolazioni italiane, manifestato con esplosioni di giubilo, man mano che le truppe angloamericane avanzavano liberando il paese?

Per decenni gli americani hanno esportato in Europa i loro miti, i loro modi di fare, la loro “cultura”. La musica americana, i cantanti americani, gli attori e i film americani hanno plasmato il nostro modo di vedere “il grande paese”. È un po’ triste, però, che gli europei si siano così facilmente dimenticati che, già con lo sbarco della Mayflower, nel 1620, fu l’Europa che inondò il Nuovo Continente con la sua storia, le sue tradizioni, con i nomi dei grandi pensatori, dei filosofi, in gran parte provenienti dalla Grecia – sempre negletta – e da tutto il resto del Vecchio Continente. Fare i nomi dei grandi europei che nel corso dei millenni hanno scritto pagine indimenticabili di storia, sarebbe un esercizio troppo defatigante, ma sappiamo tutti che è così. L’Europa ha esportato in America anche la sua religione, cattolicesimo, protestantesimo, presbiterianesimo, evangelismo, anche se, poi, l’America, paese giovane e irruento, si è creata le proprie, per la maggior parte sette oscurantiste, basate su miti e strafalcioni storici, come i Mormoni, i Testimoni di Geova e la miriade di gruppuscoli pseudoreligiosi che infestano quel paese. Dio, in America, è un alleato politico. Difatti ogni presidente attribuisce a lui la sua vittoria, i suoi successi. Ancora una volta, tutti i giornali del mondo occidentale riferiscono che alla convention di Milwaukee Trump ha dichiarato: “Dio è con me, riunificherò l’America”. Forse gli Stati Uniti sono l’unico paese al mondo che sulle sue banconote ha il motto “Egli [Dio] favorisce le nostre imprese”, graficamente rappresentato da una piramide occhiuta con la scritta “Annuit Cœptis” e “Novus Ordo Seclorum”, chiari riferimenti religiosi al “destino manifesto” del paese sotto la protezione di Dio. Manifest Destiny è una frase che esprime la convinzione che gli Stati Uniti d’America abbiano la missione di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e democrazia. Missione affidatagli direttamente da Dio, come disse colui che coniò quest’espressione, il giornalista John L. O’Sullivan nel 1845. In Europa, e particolarmente in Italia, abbiamo guardato agli Stati Uniti con quelli che potremmo definire gli “occhiali rosa”, e la nostra amicizia con quel popolo, in particolare dopo la costituzione della NATO, con la quale la super potenza allargò il suo ombrello protettivo nucleare a tutto l’occidente europeo, per tenerlo al riparo dalla minaccia sovietica, che da decenni rappresenta “l’Est” dal quale guardarsi. Tutto questo non è stato gratis. In cambio gli europei hanno assecondato l’espansionismo americano, le loro numerose guerre in tempo di pace per l’Europa, che hanno insanguinato l’Oriente e l’Estremo Oriente. Basta elencarne alcune, come la guerra di Corea (1950-1953), la guerra del Vietnam che durò ben vent’anni dal 1955 al 1975, la guerra in Afghanistan, anch’essa ventennale (2001-2021), la guerra in Iraq (2003-2011). Ultimo, ma non per importanza, lo sgancio della bomba atomica su due città giapponesi. È stata l’unica potenza nucleare al mondo che ha avuto la disumanità di usare quell’ordigno su popolazioni civili che, ancor oggi, continuano a risentirne i tremendi effetti.

Si può senza tema dire che gli Stati Uniti sono il paese più guerrafondaio del mondo, perché nessuna delle guerre da loro combattute aveva lo scopo di proteggere il paese dall’invasione del nemico, che non ha mai toccato le sue sponde, ma avevano, piuttosto, lo scopo di proteggere e tutelare la propria economia e i gradi Trust del Paese. Sono innumerevoli gli americani morti per difendere gli affaristi di Wall Street; e se c’è una morte che niente ha di eroico è quella fatta per difendere gli interessi economici dei grandi gruppi di potere.

Adesso siamo nel 2024, e lo scenario del mondo è profondamente cambiato. Sono apparsi altri protagonisti sullo scenario mondiale. Grandi nazioni come l’India e la Cina, ed insieme ad esse il Medio Oriente, dominato dall’intransigenza religiosa che fa molti dei suoi grandi paesi delle teocrazie, con tutte le conseguenze che ne derivano. Ecco quindi che sembrava giunto il tempo per definire i rapporti tra il “Vecchio” e il “Nuovo” continente. Per dirla in termini accessibili a tutti, gli Stati Uniti si sono scocciati di dover tenere a balia l’Europa, di continuare a proteggerla dall’acerrimo nemico della democrazia che è Vladimir Putin, che sta cercando con sempre più violenza di incunearsi in essa, cominciando con l’Ucraina, per finire ancora non si sa dove. “Siete maggiorenni, sbrigatevela da soli”, si potrebbe riassumere il messaggio che il candidato repubblicano alla presidenza sta chiaramente consegnando agli europei, affiancato fortemente dal nuovo “outsider” J.D. Vance, le cui idee in politica fanno ritornare alla mente – per chi l’ha letto – alcune pagine del “Mein Kampf” (Libro famosissimo, ma quanti l’hanno veramente letto? Credo che non siano molti, a parte gli studiosi e i ricercatori).

Insomma, la “luna di miele” con gli Stati Uniti è agli sgoccioli, in particolare perché il sogno di molti cittadini europei di un’Europa forte, unita, protagonista della scena mondiale, non si è realizzato, anche se abbiamo una moneta unica, un Parlamento Europeo, un governo europeo. Non abbiamo, però, un esercito europeo, una strategia comune europea, un’economia europea e, in più, riversiamo sull’Unione Europea tutte le diatribe, le contese, le ambizioni, che caratterizzano la politica interna dei singoli Stati, e l’esempio più recente è quello delle ultime elezioni del Parlamento Europeo, dove l’Italia, come sempre, si è presentata disunita e spaccata in due, collocandosi, per così dire, nella “serie B” delle grandi nazioni. Come abbiamo già detto in altre occasioni, e lo ripetiamo, “Se una casa è divisa in sé stessa, quella casa non potrà sussistere” (Marco 3:25). Il che vuol dire che, continuando su questa strada, l’Europa non sarà altro che un fantoccio senza potere, ed assisteremo al tramonto di un’idea caldeggiata e sognata da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi, e anche da Winston Churchill, che nel 1946, sulle macerie di un’Europa distrutta dalla guerra, in un suo celebre discorso lanciò l’idea degli “Stati Uniti d’Europa”, dalla quale, grazie a Boris Johnson e alla sua megalomania, proprio il Regno Unito si è separato!

Questa “separazione” o “divorzio” dagli USA, il tempo ce lo dirà, avviene in un periodo che potremmo definire propizio, se si tien conto dei cambiamenti epocali che stanno avendo luogo proprio in quel paese nel quale, ogni giorno di più, sembrano sbiadire le sembianze della grande democrazia che si è sempre vantato d’essere.

Affidandoci, anche, oltre a ciò che è sotto i nostri occhi, a una grande giornalista di fama internazionale, Naomi Klein: non ci stupisce più di tanto che, in un suo noto best-seller, definisce “scioccante” la politica di Trump nel suo primo quadriennio, e lo intitola appunto Shock Politics. L’incubo Trump e il futuro della democrazia. Per me, per esempio, è stato scioccante vedere i sostenitori di Trump assieparsi sotto il suo palco tutti con l’orecchio destro incerottato, in segno di solidarietà. Quell’immagine, da sola, rappresenta l’anima profonda dell’America, un paese che per molti versi è rimasto ai giorni dell’infanzia, così come la rappresenta l’immagine delle folle osannanti, prive di ogni forma di pensiero razionale, pronte ad accettare qualunque cosa venga loro proposta dal Tycoon “martire”. Folle che ricordano molto da vicino quelle che plaudivano a Hitler a Berlino e a Mussolini a Roma. Non per nulla Madeleine Albright, ex segretario di Stato e la cui competenza politica non può essere messa in discussione, chiama “fascismo” la deriva trumpiana in politica. Albright, nel suo libro, pone questa domanda: «Perché, infine, a questo punto del Ventunesimo secolo, si è tornati a parlare di fascismo? Uno dei motivi, a voler essere onesti, è Donald Trump. Se si immagina il fascismo come una vecchia ferita ormai quasi rimarginata, eleggere Trump alla Casa Bianca è stato come strappare la benda e grattare via la crosta … Non è la prima volta che gli Stati Uniti hanno un presidente imperfetto; lo sono stati tutti, bene o male, ma in epoca moderna non era mai capitato di avere un capo di Stato con un linguaggio e una condotta in così netto contrasto con gli ideali democratici … Al posto di arginare le forze antidemocratiche, Trump le incoraggia e le giustifica. Se il presidente degli Stati Uniti sostiene che la stampa è bugiarda, a che titolo si può ammonire Vladimir Putin quando fa la stessa cosa? … Trump è il primo presidente antidemocratico nella storia moderna degli Stati Uniti»; queste sono soltanto alcune spigolature di ciò che Madeleine Albright racconta nel suo libro, un libro veramente interessante, scritto da chi sa cosa dice e perché lo dice. Il libro è del 2017, scritto in piena presidenza Trump. Qualcuno potrebbe pensare che è frutto del fatto che Albright era democratica, mentre Trump è repubblicano. Ma non è così.

Ascoltiamo, allora la voce di una giornalista indipendente, scrittrice di vaglia e politologa di vasta esperienza, la già menzionata Naomi Klein: «Il tema di questo libro, in sintesi, è che Trump, per quanto sia estremo, non è tanto un’aberrazione quanto una conclusione logica, un misto di quasi tutte le peggiori tendenze dell’ultimo mezzo secolo. Trump è il prodotto di potenti ideologie che valutano la vita umana in base a razza, religione, gender, tendenze sessuali, apparenza fisica e capacità fisiche, e che hanno usato sistematicamente il colore della pelle come arma per imporre brutali politiche economiche sin dai primi giorni della colonizzazione nordamericana e dalla tratta transatlantica degli schiavi … Purtroppo il presidente degli Stati Uniti influenza tutti gli abitanti della Terra … E Donald Trump e i suoi compagni di viaggio saranno considerati per quel che sono: il sintomo di una grave malattia, che collettivamente abbiamo deciso di curare unendoci».

Adesso siamo nel 2024, sette anni dopo. Cosa è cambiato ora che Trump sta per insediarsi un’altra volta alla Casa Bianca? È maturato, è diventato più equilibrato, meno spaccone da saloon del Far West, più tollerante verso la povera gente che cerca negli Stati Uniti pane e lavoro? Meno razzista e più democratico? La risposta è un sonoro e potente NO! e tempi tristi ci attendono. Quindi, ritornando al titolo di questo scritto, nel quale ipotizziamo una separazione, o meglio ancora un divorzio da questa America, credo che non si debbano avere dubbi. Con un alleato del genere è come se noi europei ci appendessimo una pietra al collo e ci buttassimo in acqua. Una volta tanto, prendiamo contezza della nostra lunghissima storia secolare, dei grandi uomini che l’hanno arricchita, delle enormi potenzialità che ogni nazione europea possiede, e liberiamoci dalla umiliante subordinazione a un despota pericoloso e incosciente, che non esiterà a liberarsi di noi, quando e se gli converrà. Per rendercene pienamente conto basterà che ci documentiamo sui quattro anni della prima presidenza e sul programma della prossima. C’è da rabbrividire. E dunque: che divorzio sia!

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