Scoramento

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Credo che faccia parte del comune sentire di molte persone – in maggioranza quelle più informate – una sensazione di profondo scoramento. Mai come oggi si ha la percezione che qualcosa non stia andando per il verso giusto, e che tempi bui ci attendono. Non si tratta soltanto dell’Italia, che attraversa un periodo che definire travagliato è un eufemismo, ma è ad essa che ora volgiamo la nostra attenzione. Noi italiani siamo un popolo singolare, un popolo che Angelo del Boca in un suo libro definiva “Brava Gente”, ma con il punto interrogativo. Un popolo che, invece, il Duce del fascismo, nel monumentale “Colosseo quadrato” dell’EUR, ovvero il Palazzo della Civiltà Italiana, nell’incisione scolpita sulla sua facciata definisce “Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”. È di questi giorni la conferma che le parole di Mussolini trovano ancora una profonda rispondenza, se si pensa alla recentissima attribuzione del più noto scalo aereo italiano a uno che di tale “popolo” è stato per due decenni il rappresentante più qualificato. Secondo Massimo Giannini, però, noto giornalista di la Repubblica, bisognerebbe aggiornare quella scritta. E aggiungere alle lodi sperticate degli italiani anche le seguenti qualità “popolo di truffatori, evasori masnadieri e puttanieri”. Eccessivo? Ingiusto, offensivo? No, non sembra proprio, dato che il neo insignito scalo aereo porta il nome di colui che quelle qualità, insieme a molte altre, le ha manifestate al massimo grado. La sua storia personale e pubblica, la storia che di lui ha scritto la magistratura, lo conferma. E chissà, poi, se qualcuno ai “piani alti” si è posta la domanda di come sia stato possibile, nel dedicare lo scalo, la palese violazione dell’art. 3 della legge sulla toponomastica del 23 giugno 1927, secondo la quale affinché si possa dedicare in luogo pubblico «un monumento, lapide, e od altro ricordo permanente» è necessario che il personaggio a cui la dedica è rivolta sia deceduto da almeno dieci anni. Non sembra proprio il caso di “Silvio”.

Ma quello di ignorare il Ventennio e di continuare ad onorarne il ricordo non è una novità recente, esaltato al massimo grado dai giovani della Meloni, e dalla Premier stessa. Per esempio, non sappiamo quanti italiani sono al corrente che ad Affile (Roma) vi è addirittura un mausoleo eretto per celebrare il criminale di guerra Rodolfo Graziani, il massacratore di Debra Libanòs (lo sterminio di centinaia di monaci etiopi), soprannominato «macellaio del Fezzan» e firmatario del «Manifesto della razza». Per inciso, questo monumento non è un’anticaglia dei tempi passati, ma è recentissimo, del 2012, ed è stato fortemente voluto dall’allora assessore alla Regione Lazio, il ben noto utilizzatore di treni a suo piacimento, l’impareggiabile “cognato-ministro”, Francesco Lollobrigida. “Lollo” evidentemente non ricorda, o meglio non sa, che quando il 19 febbraio 1937 Rodolfo Graziani, allora viceré d’Etiopia, fu oggetto di un attentato, alcune migliaia di italiani, civili e militari di Addis Abeba, uscirono dalle loro case e dalle caserme e diedero inizio alla più furiosa e sanguinosa caccia al nero che il continente africano avesse mai visto. Sembra, in base alle fonti, che le vittime di questa spaventosa rappresaglia vadano da un minimo di 1.400 a un massimo di 30.000. Nessuno degli autori di quello spaventoso mattatoio di innocenti fece mai un solo giorno di prigione. In cambio, però, si ritenne quel “macellaio” meritevole di un monumento a futura memoria.

È vero che quasi nessuno più scrive lettere cartacee e che l’acquisto dei relativi francobolli è ormai quasi un reperto archeologico; è comunque interessante sapere che, con l’assenso del Ministero del Made in Italy, nel corso di quest’anno 2024 è stato stampato un francobollo dedicato a Italo Foschi, squadrista ed entusiasta sodale dell’assassinio di Giacomo Matteotti e uno dei principali responsabili della persecuzione antiebraica in Veneto. Per non spegnerne il commovente ricordo, in occasione del 140° anniversario dalla nascita, e in singolare concomitanza con l’altro francobollo, che celebra il centenario della nascita della sua “vittima”, Giacomo Matteotti, è sembrato opportuno – ci chiediamo a chi – di dedicare a questo “eroe” un imperituro ricordo. Ora, che lo Stato italiano possa impunemente autorizzare un francobollo, o una strada, una piazza, o anche un vicoletto, a un persecutore di ebrei, a un fascista della prima ora, e che abbia, poi, il coraggio, o la tracotanza e la sfacciataggine di dedicarne un altro alla memoria di un grande dell’antifascismo, trucidato da quelli rappresentati nell’altro francobollo, è veramente uno schiaffo in faccia a tutti gli italiani perbene e alla storia del nostro Paese, e a chi è morto per esso.

Ma, mai domo nell’infliggere umiliazioni alla parte perbene del Paese, a vantaggio di quella dei faccendieri, dei pubblici funzionari corrotti e di tutta la pletora di persone appartenenti alla categoria dei disonesti, in questi giorni il Governo ha varato una riforma – che qualcuno ha ritenuto di definire “epocale” – della giustizia, ovvero l’abolizione del reato di “abuso d’ufficio”. Per chi, come me, è digiuno in materia di giurisprudenza, riporto il testo dell’art. 323 del nostro Codice Penale che, testualmente, recita: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto, abusa del suo ufficio, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione fino a due anni”. Fa veramente male che a volere questa mostruosità giuridica sia stato Carlo Nordio, che prima di assumere la direzione del dicastero della giustizia è stato per anni un magistrato dalla carriera onorata, militante del partito liberale di Malagodi in gioventù e protagonista di indimenticabili processi, come quello alle Brigate Rosse e quello di Mani Pulite, per tacere dei tanti altri. Un uomo che ha sposato gli ideali – e che ancora dichiara essere i suoi – di un partito fondato da Camillo Benso di Cavour, poi incarnato in due personaggi cardine della storia repubblicana, quali Enrico De Nicola e Luigi Einaudi, tra l’altro presidenti della Repubblica, sembra andare in controsenso con tutto il dipanarsi della sua vita al servizio della giustizia quando, nel 2022, viene eletto come deputato alla Camera in forza al partito di Fratelli d’Italia che, anche per il meno preparato in materia, tutto può definirsi fuorché “liberale”.

Ci sentiamo, pertanto, di condividere quanto ha detto un altro illustre rappresentante del sistema giudiziario italiano, Federico Cafiero De Raho, ex Procuratore Nazionale Antimafia, che così ha commentato la nuova norma: “Questa abrogazione è gravissima, l’abuso di ufficio è un reato spia sia per il sistema della corruzione sia per le infiltrazioni mafiose, È una legge che favorisce l’illegalità del potere pubblico: da un lato protegge i colletti bianchi e i mediatori di corruzione, dall’altro silenzia la stampa. Le nuove leggi smantellano il sistema di contrasto alla corruzione. Con questo governo – ha concluso – vengono diffusi messaggi devastanti per la legalità”. Come ci informano ampiamente i maggiori quotidiani italiani, vi sono circa quattromila persone che, nel nostro Paese, stanno brindando al Ministro e al suo Governo per questa inaspettata (ma non tanto) regalìa, che in sostanza è un’amnistia. Si tratta dei cosiddetti “colletti bianchi” in attesa di processo proprio per la violazione dell’art. 323 CP, che adesso non potranno più essere processati o indagati per abuso d’ufficio. Qualcuno, come per esempio il ministro Tajani, si è spinto fino al punto di evocare con enfasi retorica la figura di Cesare Beccaria, che nel 1764 diede alla luce il famosissimo Dei delitti e delle pene, con il quale si condannavano le atrocità della giustizia di quel tempo. Chi ne volesse un giudizio veramente illuminato potrebbe leggere il commento che fece al volumetto nientemeno che Voltaire al quale rimando per la lettura (Tascabili Economici Newton, 1994).

In realtà ha fatto bene chi ha definito questo provvedimento “un colpo di spugna”, e chi ne ha parlato come “dell’impunità di Stato”. Lirio Abbate, su la Repubblica del 12 luglio scorso, esprime il seguente commento: «L’abolizione del reato di abuso d’ufficio … ci porta a una doppia visione della legge, e di conseguenza all’affermazione che la giustizia non è più uguale per tutti. Perché per i cittadini comuni che commettono reato è prevista una tolleranza zero, mentre una sorta di impunità, per legge, spetta per i reati rivolti – fino a ieri – agli “eccellenti”, o meglio ai “colletti bianchi”, che non potranno più essere processati o indagati per abuso d’ufficio. E cioè quando il “pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio”, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca un danno ingiusto … Abolendo questo reato si crea una voragine dentro la quale finiscono tutti quelli che vogliono essere salvati da errori e favori che hanno fatto a discapito di un’intera comunità». E Giuliano Foschini, lapidariamente, afferma: “Prevaricazioni, raccomandazioni e favori: ecco cosa resterà impunito con la riforma del governo”.

Carlo Bonini, poi, chiarisce: “Indagare, perseguire e punire le responsabilità dei colletti bianchi, distinguere tra la sacrosanta discrezionalità dell’amministratore e del funzionario pubblico o del politico e i suoi abusi sarà semplicemente impossibile. Perché, per legge, irrilevante. Emanciparsi dal familismo patologico e interstiziale che soffoca e manipola il mercato e avvelena le libere scelte degli amministratori non sarà più affare del giudice penale. E se qualcuno farà traffico di influenze promettendo in cambio denaro o interessi privatissimi di pilotare le decisioni di una pubblica amministrazione in forza della sua rete di relazioni, del suo cognome, dell’appartenenza di partito, buon per lui e di chi ne sarà beneficiato”.

In genere, nelle classifiche dell’efficienza, della produttività, del rispetto delle norme e in quello dell’ambiente e tanto altro, noi italiani non siamo mai stati al vertice, e nemmeno fra i primi posti; finalmente il tabù è caduto. Adesso possiamo asserire con orgoglio che il nostro Paese è il primo e il solo in tutta Europa a poter vantare di aver abolito il reato di abuso d’ufficio. Non ve n’è altri.

Ovviamente, alla celia fa seguito una ben più seria riflessione, quella sul carattere degli italiani che ha consentito, e consente, a un manipolo di nostalgici, di farci recedere dal novero delle nazioni rispettate a quella di seconda o terza categoria. A costo di sembrare ripetitivo, ma a dimostrazione di quanta poca stima si possa nutrire per un popolo del genere, mi sembra appropriato riportare di seguito l’opinione degli italiani che ne aveva uno dei loro grandi, Massimo d’Azeglio che nell’introduzione a I miei ricordi, del 1865, così si esprimeva: “L’Italia, da mezzo secolo s’agita, si travaglia per divenire un sol popolo e farsi nazione. Ha riacquistato il suo territorio in gran parte. La lotta collo straniero è portata a buon porto, ma non è questa la difficoltà maggiore. La maggiore, la vera, quella che mantiene tutto incerto, tutto in forse, è la lotta interna. I più pericolosi nemici d’Italia non sono gli Austriaci, sono gl’Italiani. E perché? Per la ragione che gl’Italiani hanno voluto far un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico il loro retaggio … il primo bisogno d’Italia è che si formino Italiani dotati d’alti e forti caratteri. E pur troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani”.

Oggi, alla luce di ciò che accade sotto i nostri occhi, non possiamo che concordare con la mestizia e l’amarezza di chi scrisse quelle parole. Un popolo che permette che si dedichino monumenti e aeroporti a criminali di guerra e a persone dal passato impresentabile, a cui non dovremmo nemmeno consentire di mettere il piede in casa nostra, è un popolo che si merita ciò che gli accade!

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