Il diritto alla felicità

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Gaetano Filangieri, disegno a china di Antonio Nacarlo

Napoli, Palazzo dei Principi di Arianello, 1780

Il sole del pomeriggio entra obliquamente dalle grandi finestre del palazzo, illuminando la stanza affrescata con immagini celestiali che sembrano voler sfondare il soffitto. Le pareti sono adornate da librerie colme di volumi rari e preziosi, mentre diversi oggetti curiosi, provenienti da terre lontane, aggiungono un tocco di esotismo all’ambiente austero. Fuori, nello slargo della strada detta d’a menesta, il mercato della frutta è in pieno fermento. Voci di venditori che richiamano clienti e il fruscio delle gonne delle popolane si mescolano con il tintinnio delle monete. La folla si muove in un caotico balletto per accaparrarsi la merce più fresca e a buon mercato. All’interno del palazzo, un uomo elegantemente vestito si attarda alla scrivania in noce e palissandro intarsiata con volute di madreperla. Il suo volto è concentrato, assorto nella scrittura di una lettera. Non sembra minimamente infastidito dal rumore che proviene dalla strada. L’uomo è Gaetano Filangieri, il filosofo napoletano, e sta scrivendo una missiva destinata a un interlocutore speciale: Benjamin Franklin, ambasciatore degli Stati Uniti in Francia.

Filangieri si ferma un momento, solleva la penna d’oca e osserva l’inchiostro nero che si asciuga sulla carta d’Amalfi. Il contenuto della lettera è di grande importanza; non sono semplici parole, ma idee che potrebbero influenzare il destino di una nazione lontana. Egli riflette sul concetto di felicità, un diritto inalienabile che ogni essere umano dovrebbe poter perseguire. La lettera che sta scrivendo non è solo un contributo filosofico, ma un invito a pensare a un mondo migliore, dove la legislazione non sia solo un insieme di regole, ma uno strumento per garantire il benessere e la felicità di tutti i cittadini. Filangieri riprende a comporre, consapevole che le sue idee vergate, attraversando l’oceano, potranno contribuire alla costruzione di una nuova nazione fondata su principi di giustizia e libertà. Nonostante il frastuono proveniente dalla strada, il filosofo non ne è minimamente distratto.

“Stimato Ambasciatore,” scrive Filangieri, “mi permetta di esprimere la mia ammirazione per i progressi che la sua nazione sta compiendo. Credo fermamente che il diritto alla felicità debba essere uno dei pilastri su cui fondare ogni società giusta e libera”.

Si ferma un momento, sollevando lo sguardo verso il soffitto affrescato, come se cercasse ispirazione nelle figure angeliche. Pensava all’America, quella terra lontana che stava cercando di costruire una nuova società.

“Il legislatore”, continua a scrivere, “deve considerare la felicità come il fine ultimo delle sue leggi. Una nazione prospera è una nazione dove ogni individuo può perseguire la propria felicità senza oppressioni né ingiustizie”.

Filangieri appoggia la penna nel calamo, soddisfatto. Chiude con cura la lettera e la sigilla con ceralacca rossa, imprimendovi il suo stemma. Intimamente sa che quelle parole sono destinate a fare la differenza. Percepisce che Benjamin Franklin, con la sua mente aperta e il suo spirito illuminato, apprezzerà e forse accoglierà quei suggerimenti.

Con la lettera in mano, si alza dalla scrivania e si dirige verso la finestra. Guarda il mercato in fermento e pensa alla moltitudine di persone che, come quei popolani, desiderano solo una vita serena e felice. Si sente rincuorato: forse, grazie a quei suoi pensieri, un giorno il diritto alla felicità sarebbe diventato realtà per tutti.

Il principe osserva ancora una volta la lettera prima di consegnarla al suo fidato messaggero. Il sole sta calando, tingendo il cielo di un arancio intenso. In quel momento si sentì parte di un grande disegno, un filo invisibile che univa Napoli all’America, due mondi agli antipodi geografici avvicinati dal potere delle idee e della parola.

Gaetano Filangieri (1753-1788) è stato uno dei più importanti filosofi e giuristi del XVIII secolo e il suo lavoro ha lasciato un segno significativo sia in Italia che all’estero. Nato a Napoli, la sua opera più celebre, “La Scienza della Legislazione”, rappresenta una delle espressioni più avanzate del pensiero illuminista. Pubblicata in più volumi tra il 1780 e il 1788, “La Scienza della Legislazione” è un trattato che affronta vari aspetti della legge e del governo. Filangieri sosteneva che le leggi dovessero essere razionali e orientate al benessere comune, opponendosi a leggi arbitrarie e tiranniche. Un concetto centrale della sua filosofia era che il fine ultimo della legislazione dovesse essere il raggiungimento della felicità per il maggior numero possibile di cittadini. Questo principio, noto come “diritto alla felicità”, influenzò significativamente il pensiero politico dell’epoca. Durante gli anni in cui il filosofo napoletano redigeva la sua opera, si sviluppò una corrispondenza con Benjamin Franklin, iniziata grazie all’intercessione di Luigi Pio, segretario di legazione a Parigi per il Regno delle Due Sicilie. Franklin era molto interessato alle idee illuministe europee e trovò nelle opere di Filangieri un’affinità di pensiero. Filangieri, a sua volta, era entusiasta del progetto americano di costruire una nuova nazione basata su principi di libertà e giustizia. Il carteggio, conservato nell’Archivio del Museo Filangieri di Napoli, svaria su diversi argomenti tra cui la riforma della legislazione, la costituzione e la filosofia politica.

Il concetto di “diritto alla felicità”, che Filangieri sosteneva nella sua opera, trovò eco nel testo della Costituzione degli Stati Uniti. La famosa frase “diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità” riflette chiaramente l’influenza delle idee illuministe europee, incluse quelle di Filangieri. In quel tempo s’inizio a pensare che la felicità dell’uomo fosse un diritto inalienabile e che compito delle buone leggi fosse quello di garantirlo, rimuovendo tutte le forme di oppressione, d’ingiustizia e di diseguaglianza che potessero soffocarlo. Filangieri godeva di grande stima tra i pensatori illuministi. Le sue idee erano apprezzate per la loro profondità e la loro attenzione al benessere umano. Oltre a Franklin, anche altri intellettuali e riformatori del tempo, come Cesare Beccaria, conoscevano e apprezzavano il suo lavoro, le sue idee influenzarono le riforme legislative in vari paesi europei e contribuirono a modellare il pensiero giuridico moderno. Lo stesso Napoleone Bonaparte attinse a piene mani al lavoro dell’illuminista napoletano quando fece redigere il Code civil des français o Code Napoléon, entrato in vigore nel 1804. Il filosofo rappresenta un esempio brillante di come le idee possono viaggiare oltre i confini geografici e temporali, influenzando profondamente lo sviluppo delle società. La sua corrispondenza con Franklin e il suo contributo alla filosofia del diritto mostrano come Napoli e l’Italia abbiano giocato un ruolo cruciale nel grande movimento dell’Illuminismo.

Nonostante il suo impatto significativo, la storia e l’opera di Filangieri non sono ampiamente conosciute oggi. La sua visione di una legislazione giusta e razionale è un contributo prezioso al pensiero politico e giuridico che merita di essere riscoperto e valorizzato. Le recenti elezioni politiche in vari paesi europei hanno mostrato una crescente adesione alle destre nazionaliste. Leader come Marine Le Pen e Jordan Bardella in Francia, Giorgia Meloni in Italia e Viktor Orbán in Ungheria rappresentano movimenti che promuovono politiche liberticide e classiste, con una minore enfasi sui principi di partecipazione sociale e uguaglianza. Questi sviluppi sottolineano l’importanza di riscoprire e rileggere le opere dei grandi pensatori del passato.

“Il sonno della Ragione genera mostri”, diceva il pittore spagnolo Francisco Goya, pertanto riscoprire il pensiero di Filangieri significa riaffermare l’importanza di una società giusta e partecipativa, dove le leggi sono create non per favorire pochi privilegiati, ma per garantire il benessere e la felicità di tutti. In un’epoca in cui le divisioni sociali e politiche sembrano acuirsi, il messaggio del filosofo napoletano risuona con una forza rinnovata, ricordandoci che la vera democrazia si basa su principi di giustizia, equità e solidarietà.

9 commenti su “Il diritto alla felicità”

  1. Sergio Pollina

    Splendido articolo.Complimenti vivissimi all’autore e uno sprone a continuare sulla stessa strada! Sergio Pollina.

  2. Raffaele Catania

    La proposta di Filangieri sul diritto alla felicità è sicuramente rivoluzionaria e rispecchia l’ottimismo illuminista verso il miglioramento della condizione umana. Tuttavia, io preferisco il diritto alla tranquillità, un termine meno effimero e più oggettivo e, forse, più pratico e realizzabile nel contesto legislativo e sociale.

    1. Antonio Nacarlo

      Innanzitutto grazie Raffaele per il tuo commento sempre puntuale. Tu sai che questo articolo ha avuto una genesi travagliata: mi hai visto scriverlo e riscriverlo per diverso tempo. La difficoltà, a mio avviso, non era quella di parlare dell’eccelso Filangieri, ma del suo desiderio di cambiamento radicale (utopico?) per la società. Mi spiego, noi tutti siamo un po’ nichilisti ed incapaci (forse) di sperare in un miglioramento radicale che provenga da una azione politico-legislativa. L’immobilismo sociale e il completo disinteresse alla politica attiva, dimostrato dai nostri connazionali, ci spinge ad essere pessimisti per il futuro.È da considerare però che il disimpegno dell’idealismo e degli intellettuali sono forse le cause primarie di questo disamore politico che ha portato i fascisti in auge. Questo è il momento di agire, di tornare sulle barricate ideologiche e rispondere colpo su colpo agli attacchi continui alle istituzioni ed alle libertà conquistate.

  3. Raffaele Catania

    Antonio grazie per la tua risposta ricca di riflessioni profonde. Sono consapevole delle difficoltà che hai incontrato nella stesura di questo articolo, e apprezzo la tua sincerità nel condividere il processo travagliato che lo ha accompagnato.
    È indubbio che il disimpegno degli intellettuali abbia contribuito a creare un vuoto nel dibattito politico, ma sono altrettanto convinto che la soluzione non sia soltanto un ritorno alle barricate ideologiche: è cruciale tornare a pensare anche al benessere materiale della maggioranza.
    Il pensiero pratico è fondamentale.
    Non basta sventolare continuamente la bandiera dell’antifascismo, che di per sé non definisce un programma politico concreto. È come ripetere un mantra senza sostanza, un po’ come dire che “la mamma è sempre la mamma”.
    Dobbiamo comprendere che il benessere materiale delle persone è essenziale.
    Se non riusciamo a migliorare le condizioni di vita della maggioranza, non abbiamo capito niente della storia. Il nostro impegno deve essere rivolto a creare soluzioni tangibili che rispondano alle esigenze reali della società, senza perdere di vista i valori democratici e la necessità di opporsi a ogni forma di autoritarismo.

    1. Antonio Nacarlo

      Grazie Raff per le tue riflessioni profonde. Apprezzo molto la tua consapevolezza riguardo alle difficoltà che si incontrano nel discutere di argomenti così complessi. Voglio precisare che il “travaglio” a cui mi riferivo non era legato alla fatica di scrivere il pezzo su Filangieri. Piuttosto, si trattava del tentativo di presentare, a una platea di lettori così preparata, un articolo che potesse sembrare ingenuo nella sua “idea di speranza”.
      Tuttavia, converrai con me, che l’azione pratica di cercare un miglioramento delle condizioni generali della popolazione, del nostro Paese come nel resto del pianeta, non può arrivare se non attraverso la mediazione di una intellighenzia impegnata, certamente non disgiunta dalla volontà di autodeterminazione dei cittadini. Da attento conoscitore delle cose della politica quale sei, avrai certo notato l’attacco sferrato delle destre a tutto il mondo della cultura, non solo nella nostra italietta. La maggior parte della popolazione, anestetizzata e incapace di pensiero critico, è contenta di chi gli parla di argomenti che gli toccano la pancia e non il cervello… I vari piccoli Hitler sanno che paventare minacce nemiche e più facile che presentarsi al dialogo. Oggi i più grandi nemici sono individuati in quei pochi ancora capaci di pensare, di indignarsi, di gridare il loro disagio.
      Ti abbraccio.

      1. Raffaele Catania

        Per contribuire alla discussione, invito tutti noi alla lettura dell’ultimo vero intellettuale italiano, Pier Paolo Pasolini, e del suo famoso discorso al congresso dei radicali del 1975, letto postumo. Parlava di noi, oggi. Ecco la profezia di Pasolini, o almeno il suo passaggio a mio avviso essenziale:
        “Da questo punto di vista le prospettive del Capitale appaiono rosee. I bisogni indotti dal vecchio capitalismo erano in fondo molto simili ai bisogni primari. I bisogni invece che il nuovo capitalismo può indurre sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Ecco perché attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare storicamente un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa. Va aggiunto che il consumismo può creare dei ‘rapporti sociali’ immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clerico-fascismo un nuovo tecno-fascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi anti-fascismo); sia, com’è ormai più probabile, creando come contesto alla propria ideologia edonistica, un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili.”

  4. Elio Mottola

    Premessi i dovuti complimenti al lavoro di Antonio che, travagliato o meno che sia stato, coglie sempre nel segno, vorrei innanzitutto esprimere il mio apprezzamento per la discussione che si è aperta e che tale rimarrà anche dopo il piccolo contributo che pure mi sembra necessario. Alle osservazioni sin qui manifestate ne aggiungerei una di tipo storico sociale: gli intellettuali non si sono disinteressati ma sono stati semmai recintati, quasi estromessi, dal disinteresse degli italiani, nutriti da un trentennio di illusorie speranze e dalle frustrazioni create dalla loro mancata realizzazione. Trent’anni in cui la “Destra”, pur mascherata di volta in volta sotto le vesti del leader di turno, ha lanciato messaggi di odio non solo contro gli immigrati, i “diversi” e le donne in cerca di emancipazione ma anche e forse soprattutto contro gli intellettuali, l’Intellighentia, i radical chic. Grazie ai media occupati o direttamente posseduti la Destra ha determinato un clima in cui la cultura è stata relegata ai margini della vita politica negli stessi partiti di sinistra. Quindi la situazione attuale indurrebbe ad abbandonare temporaneamente l’utopia e a dedicarsi alla soluzione dei problemi concreti. Ma la cosa non è facile perché il governo Meloni sta attaccando la sinistra proprio sul terreno della cultura e dei grandi temi costituzionali, civili e sociali costringendola a dedicare parte delle sue risorse proprio alla difesa ideologica dei principi democratici.

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