Il titolo della più celebre canzone del compianto Battiato si presta magnificamente a descrivere il clima di straniamento che avvolge la vita politica italiana. Da qualche tempo ascoltiamo o leggiamo cose che sconcertano come, tanto per cominciare, la destra post-fascista che si erge a depositaria della libertà: di quale libertà e soprattutto a beneficio di chi è facile capire. La destra di governo si riferisce, senza confessarlo, alla libertà di fare i propri comodi, in politica come in economia, senza dare conto a nessuno, e alla libertà auspicata da alcuni suoi esponenti sotto inchiesta. Anche l’affermazione “Io sono Giorgia, madre, donna e cristiana” ci interroga circa il modo di essere cristiani: cristiani erano i crociati che insanguinarono Gerusalemme e cristiani erano i tribunali dell’Inquisizione che estorcevano con la tortura la confessione di stregoneria a tante povere disgraziate. Permettere che il Ministero dell’interno del proprio Governo imponga alle imbarcazioni delle ONG di limitarsi a non più di un salvataggio, lasciando in balìa delle onde gli ulteriori naufraghi incontrati sulla loro rotta non è cristiano, come non lo è l’obbligo di far sbarcare i sopravvissuti in un porto distante giorni di navigazione da quello più vicino rischiando di perderne qualcuno.
Ma poi ci annichilisce l’accusa della Meloni alla sinistra di voler scatenare la guerra civile: l’apoteosi del vittimismo. La Premier vuole inoltre convincerci che il caporalato fiorisce per colpa della sinistra che ha fatto entrare troppi immigrati, quella sinistra che è quindi responsabile dei crimini commessi da caporali e datori di lavoro a Rosarno ed ultimamente nell’Agro Pontino, territori però dominati, guarda caso, dalla destra talvolta estrema. E potremmo continuare, a proposito di eventi sconcertanti, citando il già presidente del Senato, il berlusconiano Marcello Pera, che ha preso pubblicamente posizione contro la riforma costituzionale che introduce l’elezione diretta del premier.
Non sorprendono più i comportamenti dei dioscuri Calenda e Renzi. Entrambi imprevedibili oscillano tra la solidarietà con l’opposizione e l’appoggio alla maggioranza di governo soprattutto sul tema della giustizia. Da loro ci si può attendere di tutto, tranne che decidano di lasciare la politica. Forse attendono con pazienza che si formi un’alleanza di centro ove mai Forza Italia dovesse dissociarsi da una maggioranza che giorno dopo giorno accresce il livello dello scontro con la sinistra e della divisione in due del Paese, sia sotto il profilo politico tra destra e sinistra che sotto quello geografico tra nord e sud. E in questo senso, per la serie “chi l’avrebbe mai detto”, entra in scena Marina Berlusconi: in un’intervista al Corriere della Sera dichiara che “Il successo alle Europee di movimenti con idee antidemocratiche non può non allarmare”, aggiungendo poi che “se parliamo di aborto, fine vita o diritti Lgbtq, mi sento più in sintonia con la sinistra di buon senso”. Esultiamo all’idea che in prossimità di un partito di destra, che ha sbandierato per decenni abusivamente la bandiera della libertà, si affaccino finalmente posizioni liberali.
Ma le inversioni e i capovolgimenti non finiscono qui. A giudicare dalle affermazioni degli esponenti della destra e degli opinionisti monodirezionati che la sostengono, si è verificato un imprevedibile terremoto: l’antisemitismo è diventato un’esclusiva della sinistra, insufflata dagli estremisti pro Palestina dei Centri Sociali e dagli studenti, mentre la difesa dei poveri ebrei appassiona come non mai la destra, il che confermerebbe come l’Olocausto sia stato per la destra post-fascista un’invenzione per criminalizzare i nazisti. Nazisti con i quali nulla hanno a che fare le giovani leve di Fratelli d’Italia tant’è vero che tre sorelle d’Italia, quadri intermedi del partito, colte da un’inchiesta di Fanpage mentre pronunciavano frasi razziste ed antisemite nel corso di una riunione, hanno dovuto dimettersi. Ma come ci ha spiegato Donzelli, chiamato ad eliminare le mele marce, il resto del movimento giovanile di FdI è quanto di meglio le nuove generazioni possano esprimere: peccato che questi perfetti cittadini in erba non si siano accorti del “Sieg Heil” correntemente pronunciato nei loro incontri celebrativi. Non la pensa così Roberto Jonghi Lavarini, alias il “Barone nero”, noto esponente del neofascismo milanese. La Repubblica del 29 giugno ci riferisce la sua opinione al riguardo: “I vertici di FdI sono pateticamente ipocriti … fossero coerenti dovrebbero espellere la metà dei giovani e un terzo degli iscritti, a questo punto”. Il “Barone nero” aggiunge poi: “Donzelli non si era mai accorto delle idee della sua collaboratrice? Sapeva benissimo ed ora fa tutto lo scandalizzato, facendo un ignobile scaricabarile contro giovani e donne”. Per questo motivo, sostiene, “dovrebbe essere Donzelli a dimettersi, non la sua segretaria”. Jonghi Lavarini alle elezioni ha votato per Vannacci, autore del best seller “Il mondo al contrario” il cui titolo tra poco non avrà più alcuna ragion d’essere se la politica dissennata del Governo andrà avanti. Più tranchant il giudizio satirico espresso sulla vicenda da Daniele Luttazzi: alle parole assolutorie di Donzelli “In FdI non c’è spazio per razzisti, antisemiti e violenti”, Luttazzi replica ferocemente con “Si vede che sono al completo”.
Il dissenso interno in Forza Italia e soprattutto nel partito della Meloni sono un inedito sovvertimento della realtà cui eravamo abituati. Ci sconvolge l’eventualità che possano aprirsi spiragli di democrazia all’interno dei partiti “nostalgici” (il primo di Berlusconi e il secondo del Duce) della coalizione di governo. La democrazia, un po’ come la libertà, è entrata ultimamente nel linguaggio tribunizio della Meloni, che tenta di appropriarsene addossando alla sinistra i piccoli episodi di intolleranza che si sono manifestati per lo più nel mondo studentesco con riferimento al conflitto israelo-palestinese. Ma il concetto di democrazia è e resterà sempre estraneo ai partiti autoritari malgrado venga tirato in ballo, spesso a sproposito. Ne è prova recentissima l’insistenza con cui la Meloni chiede che nelle trattative in corso dopo le elezioni europee sia tenuto nella “giusta” considerazione il risultato ottenuto dal suo partito in Italia. Chiaro stato confusionale: il successo di FdI concorre alla consistenza complessiva della formazione europea in cui intende confluire, né più e né meno di quanto avviene per i partiti nazionali reduci da insuccessi. È un po’ come se il sindaco Sala volesse condizionare l’azione del Governo italiano perché a Milano ha vinto il PD. Non ha senso, così come non lo avranno le prese di posizione e i proclami contraddittori con cui la destra continuerà a sovvertire la realtà nei prossimi mesi e nei prossimi anni.