L’ingiustizia pervade tutto il globo e si manifesta con fenomeni incredibili. Nel neonato conflitto israelo-iraniano assistiamo ad un abnorme dispendio di danaro in un ridicolo confronto balistico: l’Iran fa sapere a Netanyahu, attraverso un sistema segreto di informazioni via Stati Uniti, che ribatterà al circoscritto attacco inflittogli da Israele con l’invio di qualche centinaio di droni in data ravvicinata. Lo scudo aereo israeliano viene allertato e i droni che invadono il cielo sovrastante vengono abbattuti al 99%. Ma tuttavia, malgrado l’assoluta inutilità della rappresaglia, Israele fa sapere che reagirà, in misura però proporzionale, cioè senza esagerare.
Questo gioco delle parti a base di armamenti sofisticati e costosi dà ragione a chi sostiene che le guerre soggiacciono agli interessi dei fabbricanti di armi i quali, com’è evidente, costruiscono sia i droni sia gli strumenti per abbatterli. Poiché le armi nucleari non sono più un deterrente perché il loro impiego diventerebbe fatalmente un suicidio collettivo, la deterrenza è affidata oggi alle armi convenzionali ma funziona soltanto tra contendenti più o meno equipotenti. Vengono invece usate, eccome, nelle aggressioni dei paesi più deboli come sta succedendo in Ucraina e nella striscia di Gaza, dove Russia e Israele non badano a spese anche in termini di vite umane. Il nostro ministro della difesa, Guido Crosetto, pur avendo dismesso ogni coinvolgimento diretto nell’industria degli armamenti per evitare un palese conflitto di interessi, si è comunque dichiarato, bontà sua, favorevole alla pace in entrambi i conflitti in atto, anche se i suoi ex sodali dovessero rimetterci.
Ma mentre i raid a base di missili e di droni rallegrano quotidianamente le popolazioni coinvolte negli scenari di guerra, proseguono senza pietà anche le incursioni del Governo italiano nel campo della libera informazione ed, in particolare, in quello dell’emittenza pubblica: presto sarà il caso di modificare l’acronimo RAI, con il quale la conosciamo da settant’anni, nel più appropriato RAID corrispondente a Radio Audizioni Italiane Dittatoriali. L’insofferenza alla cultura egemone ha portato alla dipartita di Amadeus, notoria espressione della sinistra più spudorata (?), asfissiato dai vertici dell’ente che volevano imporgli la presenza al prossimo festival di Sanremo del cantautore Povia e della cantante Hoara Borselli, nomi graditi alla ristretta cerchia dei veri patrioti, nonché, in funzione di co-direttore artistico, quello più altisonante di Mogol, già nominato consulente per la cultura popolare dal ministro Sangiuliano e autore dei testi di numerosi successi di Lucio Battisti.
Assorbito il passaggio di Amadeus all’emittente Discovery, i vertici RAID hanno immediatamente scatenato una nuova polemica, l’annullamento del monologo sul 25 aprile affidato ad Antonio Scurati. Il testo non deve essere piaciuto molto in ambito meloniano perché evoca un po’ di stragi perpetrate dai nazifascisti nel 1944, come abbiamo appreso dalla lettura, autorizzata gratuitamente dall’autore, che ne ha dato in diretta televisiva la coraggiosa conduttrice Serena Bortone.
Si avvicina un 25 aprile di fuoco e vedremo come se la caveranno questa volta Meloni e soci, in essi compresi quelli che non hanno alcun imbarazzo a dichiararsi antifascisti pur condividendo in pieno la politica sostanzialmente neofascista del Governo. La stampa di proprietà del leghista Angelucci sta già buttando benzina sul fuoco: la prima pagina di Libero del 21 aprile apre con la foto di Scurati e col titolo “Riecco l’uomo di M. Antifascismo a gettone”. E questo è il quotidiano diretto dall’antifascista, e ci mancherebbe, Mario Sechi, simpatica figura di giornalista che partecipa garbatamente ai talk show televisivi nei quali Massimo Giannini lo chiama “Mario” e lui cordialmente ricambia chiamandolo “Massimo” e si rivolge con un amichevole “Lilli” alla Gruber che, a sua volta, lo ha chiamato “Mario”. E questo succede anche con altri autorevoli partecipanti ai talk show trasmessi su La7 o su RAI 3: Sallusti diventa “Alessandro”, Specchia diventa “Francesco”, Zurlo diventa “Stefano” e così via per Belpietro, Borgonovo e tanti altri giornalisti iscritti all’albo. Quando capiranno Giannini, Gruber e gli altri operatori della stampa realmente antifascisti che non è possibile colloquiare come prescrive la prassi con chi si rende responsabile di titoli e articoli giornalistici denigratori, spesso volgari e ai limiti della menzogna?