Una pausa nel commento dei fatti e delle parole della politica italiana, sia pure nella forma disimpegnata della divagazione senza pretese, si rende di tanto in tanto necessaria.
E quindi, tanto per tirarci su un pochino, spostiamo l’attenzione su un fenomeno di costume: le cerimonie funebri che non sono più le stesse di una volta. E non ci riferiamo ovviamente alla pompa magna delle esequie riservate ai regnanti. Quelle non sono cambiate anche se l’intrusività delle telecamere spinge tutti gli aristocratici e i notabili convenuti a curare con attenzione gesti ed abbigliamento, a detrimento di ogni residuo di spontaneità: ci sarebbe piaciuto vedere l’allora principe Carlo, oggi Carlo III d’Inghilterra, aggrapparsi al carro funebre della incredibilmente defunta Elisabetta II.
Né intendiamo riferirci alle pagliacciate kitsch tipo i funerali del decano dei Casamonica che parevano organizzate da quel cantore di quel genere che fu Tobia Antonio Polese, “Il boss delle cerimonie”: carro funebre d’epoca con tiro a sei, cavalli neri con pennacchio in tinta, banda musicale e, omaggio al modernismo, cascata di petali di rose dispensate da apposito elicottero. No, non è di questi funerali che vogliamo parlare ma di quelli normali che fino a qualche decennio fa si consumavano in un relativo raccoglimento, turbato da rare intemperanze individuali. Oggi è ormai consolidata la prassi dell’applauso generale all’uscita del feretro sul sagrato. Per molti di noi anziani riesce difficile spiegarsi il senso di questa acclamazione che sopraggiunge, indiscriminatamente, qualunque sia l’età, il sesso, la posizione sociale, la condotta umana del defunto. Il gesto sarebbe al limite giustificabile, se le esequie riguardassero un uomo di spettacolo, un attore di teatro, un cantante, insomma qualcuno che abbia vissuto di applausi anche in vita.
Una giustificazione, anche se discutibile e contraddittoria, si può trovare per i credenti: l’applauso finale potrebbe essere considerato una generale, universale manifestazione di gioia perché, come si diceva un tempo, il defunto è passato “a miglior vita”. Anche qui con qualche perplessità. Innanzi tutto sulla qualità della vita ultraterrena: nella visione cristiana potrebbe comportare anche una permanenza temporanea e noiosissima in Purgatorio o, peggio, una segregazione all’Inferno, dolorosa ed eterna almeno fino al giorno della resurrezione della carne di cui non si conosce (e mai si conoscerà) la data ma che avverrà certamente tra secoli o millenni o, più probabilmente, alla “fine dei tempi” perché sarebbe ingiusto che la cosa avvenisse domattina e che fosse sottratto alle fiamme ardenti indistintamente sia chi ci è appena entrato sia chi vi soggiorna dall’alba dell’umanità.
C’è poi da rilevare la contraddizione (una delle tante) beatamente ignorata dalla maggior parte dei credenti, tra il dolore per la perdita di una persona amata e la felicità per il suo ingresso nella vita eterna. A occhio nudo sembra che per la maggior parte di loro la sofferenza duratura prevalga ampiamente sulla gioia momentanea. Comunque sia, e lasciando ai singoli la libertà di esprimersi come meglio credono nelle occasioni luttuose (oggi si va diffondendo anche il lancio di palloncini), è indiscutibile che il mezzo televisivo e ultimamente i social abbiano trasferito il triste evento dal terreno privato (la mente va alla indimenticabile, desolata sequenza del funerale di un bambino nel film di De Sica “L’oro di Napoli”) a quello pubblico. Si pensi alla lunga fila che attendeva fuori allo stadio di Cagliari per dare l’estremo saluto al grande Gigi Riva: migliaia di tifosi del grande campione ma anche un bel po’ di tifosi dei funerali in generale, quelli che amano rendere omaggio alla salma, qualunque salma, per poterlo poi raccontare. A proposito dell’invadenza dei media nelle cerimonie funebri tornano in mente le non lontane esequie di Paolo Rossi, il Pablito dei mondiali di calcio vinti dall’Italia nel 1982: non ci saremmo sorpresi se la voce del telecronista avesse annunciato, nel momento in cui la salma veniva portata fuori dalla chiesa, “vi diamo ora la formazione dei giocatori che stanno conducendo il feretro: Cabrini, Altobelli, Conti, Gentile, Tardelli” e così via.