Bisognerebbe annotare giorno per giorno tutte le violenze che il Governo e i suoi fiancheggiatori infliggono al sistema democratico nel quale ci piacerebbe continuare a vivere. In mancanza di una puntuale elencazione non ci resta che formulare qualche divagazione spicciola, estemporanea. La prima che viene in mente riguarda l’ormai celebre calendario dell’Esercito per il 2024. La sottosegretaria alla difesa, sin qui opportunamente silente, Isabella Rauti, figlia del chiacchieratissimo Pino, neofascista uscito indenne da numerose inchieste giudiziarie legate all’eversione di destra attiva in Italia dagli anni Sessante agli Ottanta del secolo scorso, ha ritenuto opportuno che il frontespizio del calendario evidenziasse un “prima” e un “dopo” l’8 settembre 1943, data dell’armistizio tra l’Italia fascista e gli Alleati. Scopo della inedita specificazione era evidentemente quello di tracciare un confine temporale tra l’Italia dei patrioti e l’Italia dei traditori, nella quale la Sottosegretaria e tutti i suoi colleghi patrioti sono stati sin qui condannati a vivere (da cui il vittimismo generalizzato). Ma il libro sul quale hanno studiato la storia d’Italia e del mondo la Sottosegretaria e gli epigoni del suo compianto genitore è molto diverso da quello che ha letto la grande maggioranza dei nostri connazionali secondo i quali, se non fosse sopravvenuto il provvidenziale tradimento gli italiani, avrebbe seguito pari pari i nazisti fino a Norimberga. La data dell’8 settembre 1943 è quindi ambivalente e per noi antifascisti può essere considerata l’inizio della Liberazione. Magari, se e quando torneremo al governo, potremo sostituirla al 25 aprile o, per rivalsa, mantenere entrambe le ricorrenze.
A proposito di fascisti e antifascisti (seconda divagazione) un’osservazione si rende necessaria: quelli di FdI sostengono di non essere fascisti mentre quelli della Lega e di Forza Italia si dichiarano antifascisti. C’è dunque una sorta di corto circuito. Il governo Meloni, formato da antifascisti e da non fascisti, nei suoi quindici mesi di vita ha occupato bulimicamente tutti i centri di potere, ha introdotto norme restrittive in materia di ordine pubblico e di immigrazione, sta portando avanti una riforma della giustizia volta a comprimere il potere giudiziario, sta abolendo i reati imputabili agli amministratori pubblici, sta tentando di limitare la libertà di stampa e di informazione, intimidisce i dissenzienti. Come vogliamo chiamarla questa politica autoritaria, populista e sovranista? Se non è fascista, né franchista e nemmeno peronista, chiamiamola semplicemente meloniana. Non a caso il potere della Meloni all’interno di FdI si va estendendo e ne è prova la recente nomina della sorella alla segreteria: possiamo immaginare, visto anche il percorso parallelo del Presidente del Senato, che all’interno di FdI stanno nascendo due nuove formazioni politiche “Parenti di Giorgia” e “Figli di La Russa”.
Terza ed ultima divagazione. La Corte di Cassazione ha ritenuto che il saluto romano in sé non è reato ma, per essere considerato tale, deve rientrare in un contesto che configuri la ricostruzione del partito fascista. A chi tocca stabilire quando ricorre tale condizione? Certamente non un raduno di sette o otto nostalgici commemoratori, ma uno schieramento di alcune centinaia di “camerati” militarmente allineati come ad Acca Larenzia forse lascia intravvedere un disegno sospetto, in una prospettiva neppure tanto lontana. E d’altra parte organizzazioni come Casa Pound e Forza Nuova non rappresentano forse gli embrioni, ormai stabilizzati e presenti anche alle elezioni con proprie liste, del disciolto partito fascista? La pronuncia del nostro massimo organismo giurisdizionale trasmette quindi un senso di frustrazione e di impotenza: viene voglia, in questa circostanza, di chiamarlo Corte di Castrazione.