Masse e totalitarismi

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Stando a recenti sondaggi l’astensionismo elettorale continua ad essere elevato: si colloca intorno al 40%; il che è un indicatore della disaffezione di tanti, troppi cittadini elettori nei confronti della politica, ma evidenzia pure la distanza esistente tra il mondo reale e quello virtuale in cui sembrano crogiolarsi non pochi politici.

Respiriamo da tempo un clima da campagna elettorale ed assistiamo a un crescendo di populismo contemporaneo: politicanti che, per farsi eleggere, fanno appello alle masse invocando un voto contro una politica descritta come corrotta e degradata, ma dalla quale ambiscono ad ottenere una poltrona!

Ormai le masse sono cambiate rispetto a quelle che hanno animato il Novecento. Per tutta la prima metà del secolo scorso le masse hanno subìto il fascino delle ideologie totalitarie (fascismo, nazismo, stalinismo) e, rinunciando all’esercizio del pensiero critico, si sono affidate all’“uomo forte” di turno, fiduciose che costui potesse avere la soluzione giusta per tanti problemi concreti. Tuttavia, nella seconda metà del Novecento, con l’affermarsi della cosiddetta “società dei consumi”, si è andato manifestando un nuovo totalitarismo con la subordinazione delle masse ai grandi poteri economici; la graduale perdita di fascino delle ideologie è stata accompagnata da una nuova “fede”, quella nel “mercato” inteso come seducente topos di felicità e benessere e nell’individualismo spinto da un bisogno crescente di beni e merci. Questa trasformazione non ha influito solo sulle masse, ma ha inciso sul nuovo modo di presentarsi agli elettori da parte di diversi politici: il narcisismo emulativo, il fare promesse inattuabili, l’appello alla “pancia” dei cittadini nel descrivere gli avversari come nemici da abbattere; è plausibile che, alla lunga, questi elementi abbiano contribuito alla disaffezione dal voto di una significativa quota di elettori.

Nel primo quarto di questo secolo, altri fattori hanno contribuito all’allontanamento dalla politica:  la litigiosità sull’antifascismo, la subalternità dei politicanti ai social che rispondono a logiche di profitto, una lotta all’ultima poltrona per garantire alla destra l’egemonia culturale, mentre sono relegati a semplici polemiche occasionali e ad aride tavole rotonde le guerre in atto ma non dichiarate, il baratro delle crescenti disuguaglianze e i continui tentativi di compressione del diritto al dissenso.

Cosa si può fare, allora, per recuperare alla partecipazione alla vita democratica coloro che se ne sono allontanati? Non ci si può esimere dal tornare all’antica ricetta: la vera politica si fa ancora associandosi ad altre persone, parlando del bisogno di essere intransigenti verso ogni manifestazione di odio, promuovendo iniziative e cercando di portarle a termine.

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