Qualche giorno fa ci siamo occupati di una vicenda riguardante il processo a carico di una formazione neofascista, colpevole di assalto e devastazione della sede di un sindacato. È interessante ciò che ha dichiarato alla stampa uno degli imputati, capo della risorgente formazione neofascista, l’ex terrorista nero Roberto Fiore: “Il processo del 9 ottobre (quello a suo carico) è un’autentica presa per i fondelli, per questo motivo non rispettiamo la sentenza. Dal 1947 ad oggi esiste un vero e proprio potere che decide l’esito delle sentenze in base al proprio interesse politico. E dietro questa sentenza c’è un preciso e determinato interesse: Far sparire Forza Nuova. Forza Nuova non ci sta e si presenta alle elezioni europee del 2024”. Fresco di condanna a 8 anni e mezzo per l’assalto alla sede nazionale della CGIL, sui social il leader forzanovista ed ex terrorista nero Roberto Fiore, in passato a lungo latitante all’estero, grida al complotto. Mentre i suoi promettono “sarà guerra”, lui annuncia che non rispetterà la sentenza. Che cosa vuol dire in concreto? Che farà in modo di non andare in carcere? A noi non resta che attendere per vedere come andrà a finire. Ma alla luce di episodi come questo, e facendo anche riferimento ad alcune riflessioni apparse nell’articolo pubblicato su www.zonagrigia.it sullo stesso tema, crediamo che ritornare sull’argomento non sia un esercizio inutile perché riguarda tutti noi e la nostra (voluta?) inconsapevolezza del vero significato che si dovrebbe attribuire a tanti episodi che, messi tutti insieme, dovrebbero costituire un serio campanello d’allarme.
Alcune considerazioni, fatte da persone che sanno bene ciò di cui parlano, possono aiutarci a capire. Una di queste è Paolo Berizzi, accreditato giornalista e storico del fascismo, che nel suo NazItalia (Ed. Baldini+Castoldi, 2018) scrive: «A volte ho pensato e penso che la nostra Repubblica nata dalla Costituzione non abbia più la coscienza vigile per riuscire a occuparsi seriamente di neofascismo, e trovi più semplice il derubricare il tema a qualcosa di residuale, di “non attuale”. Anche quando la realtà intorno a noi ci dice che non è così … Occorre agire, battersi, prendere l’iniziativa per arginare i pericoli. Disinnescarli prima che lievitino diventando difficili da gestire. “Il fascismo in Italia è morto per sempre”, ha detto a febbraio 2018 il ministro dell’Interno Marco Minniti, scuola comunista e Dna antifascista. Lo stesso ha sostenuto Matteo Renzi: “Non c’è il fascismo e non esiste un rischio fascismo” … Non sono d’accordo. Non è così. Quello che è successo e sta succedendo nel nostro Paese dimostra l’esatto opposto. C’è un nuovo fascismo che ha rialzato la testa. È un fascismo liquido, certo, disaggregato e sfuggente, e proprio per questo insidioso. È anche soprattutto grazie alla sottovalutazione e alla sbadataggine, o alla complicità di qualcuno, che il fascismo di ritorno punta a permeare gli strati più deboli della società … “Essere distratti o, peggio, sottovalutare, può essere molto pericoloso. Ci vuole una cultura antifascista collettiva, è questo che ci manca”. Carlo Smuraglia, l’ex presidente dell’Anpi, è uno dei più attenti e lucidi osservatori del fenomeno del fascismo di ritorno: “La cultura antifascista è venuta meno col tempo. Bisogna ricostruirla, ci vuole lavoro e impegno”, è il ragionamento che fa oggi Smuraglia. “Bisogna ripartire dalle scuole. E poi, certo, occorre che le leggi vengano applicate. Perché si continua a permettere che movimenti neofascisti facciano attività politica e si presentino alle elezioni? Perché lasciamo correre che si inneggi al regime di Mussolini e Hitler? Cosa diciamo ai nostri giovani di fronte a queste manifestazioni e a questa follia? Quale risposta gli diamo? Perché queste formazioni non vengono messe fuori legge, come è accaduto in passato?”». Parole, queste, che ci ricordano quelle di Umberto Eco nel suo Il Fascismo eterno: «L’Ur-fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo».
Probabilmente è un caso, ma è singolare che il 2023, anno in cui si sta allestendo la legge bavaglio contro la libertà d’informazione, costituisca il centenario della promulgazione di un provvedimento simile: «Ecco come nel luglio del 1923 il Governo guidato da Benito Mussolini attuò una serie di provvedimenti per mettere il bavaglio ai giornalisti e all’informazione. Fu l’inizio di una drammatica stagione che portò al Regime fascista» (Giancarlo Tartaglia, Un secolo di giornalismo italiano). Chi volesse approfondire l’argomento non avrebbe che l’imbarazzo della scelta.
E, poi, sarebbe interessante porre ai nostri giovani, abituati alla libertà più assoluta, oserei dire più sfrenata, che non tollera imposizioni e limitazioni, la domanda: Siete al corrente di ciò che vi sarebbe accaduto e forse vi accadrebbe se foste vissuti o viveste sotto il regime fascista? È bene ricordare che fin dalla più tenera età il regime si “prendeva cura” dei giovani, inquadrandoli e intruppandoli in vista dei “camerati” che sarebbero divenuti da grandi. Così abbiamo avuto: i Figli della lupa, dai 6 agli 8 anni; i Balilla, dagli 8 ai 14 anni; gli Avanguardisti, dai 14 ai 18 anni; gli iscritti ai Fasci giovanili di combattimento, dai 18 ai 21 anni, che in seguito divennero la Gioventù Italiana del Littorio, con lo scopo di accrescere la preparazione intellettuale, sportiva e militare dei ragazzi italiani, fondata sui principi dell’ideologia del regime. Che ne penserebbero i nostri giovani di essere costretti, a seconda della fascia d’età, a indossare divise che mostrassero la loro appartenenza al regime, e costretti a pensare tutti allo stesso modo? Questo perché l’organizzazione precoce e l’indottrinamento delle giovani generazioni furono un motivo centrale e di vitale importanza per il regime fascista: un investimento a lunga scadenza che doveva assicurare la sopravvivenza del sistema.
Forse, distratti dai tanti problemi della vita quotidiana, non ce ne rendiamo conto, ma nel nostro Paese, ormai da tempo, si sta preparando un terreno di coltura studiato ad arte per consentire una profonda modifica del sistema delle libertà costituzionali che hanno fino ad ora garantito l’esistenza di una repubblica che, ancora, si può definire “democratica” (e questo mi riporta alla mente le parole di Alfredo Rocco, padre del famigerato codice che porta il suo nome, che disse: «La libertà di stampa dev’essere condizionata dalla tutela degli interessi generali»). Questo percorso è ben sintetizzato sempre nel volume di Berizzi, che scrive: «Basta trovare il tempo per capire come si presenta e agisce l’estrema destra di oggi: come quei gruppi fomentano le paure sociali, come si camuffano agli occhi delle amministrazioni, che di fronte alla loro tracotanza e subdola penetrazione appaiono vulnerabili e permeabili … Una permeabilità, infine, che ha favorito l’ascesa e il successo elettorale, lo scorso 4 marzo 2018, del politico che più di tutti usa sovranismo e xenofobia come strumenti di propaganda: Matteo Salvini. Con lui la Lega si è trasformata in un ricettacolo di idee un tempo inconciliabili; dalle istanze autonomiste e anche secessioniste, al nazionalismo identitario e antieuropeista, fino a un fascioleghismo tinto di scudocrociato al Sud. È questo il risultato della svolta di Salvini. Ma a guardare indietro negli anni era già tutto scritto. In fondo, in questa stessa piazza (Piazza Duomo, Milano), nel 2014 la Lega salviniana aveva già organizzato la manifestazione anti immigrati. “No invasione” con Casa Pound. Com’è stata possibile questa metamorfosi? Da movimento autonomista e federalista per eccellenza a partito nazionalista e sovranista, contenitore della destra e anche dell’estrema destra? Dov’è finita la vecchia Lega, e l’Italia che rappresentava? Il partito di Salvini è quello che più ha sdoganato il fascismo e non ha vergogna a farsi sostenere da nostalgici del nazismo … Ero a Pontida il 17 settembre 2017 dove Salvini lanciava cori contro i napoletani che “puzzano e fanno scappare anche i cani”. Molti dei presenti appaiono a loro agio, soddisfatti del proclama che stanno ascoltando: “Se andiamo al governo cancelliamo la legge Mancino e la legge Fiano sulla ricostituzione del partito fascista: le idee non si processano” grida il leader “Matteo”».
Purtroppo siamo un Paese che ha poca memoria. Viviamo in un presente esteso a qualche mese addietro. Quello che è successo anni prima la maggior parte di noi lo rimuove, e quindi forse non ci fa più tanta impressione riascoltare le parole di Salvini: «Per l’immigrazione ci vuole una pulizia di massa. Una pulizia via per via, quartiere per quartiere». Parole, queste, che insieme alle “ronde” organizzate in quegli anni da Casa Pound non possono non richiamare alla nostra memoria orribili eventi che ritenevamo fossero ormai in un archivio destinato a non riaprirsi mai più.
Alla luce di tutto questo e di tanto altro, non possiamo non porci la domanda che costituisce il titolo di un prezioso volumetto di Angelo Del Boca: Italiani, brava gente? Un mito duro a morire. Sì, dobbiamo chiedercelo, perché un popolo che dimentica con tanta facilità ciò che è accaduto solo 70 anni fa, e che ha portato al governo un’erede di quel funesto periodo, i cui passi politici, per chi sa leggere gli avvenimenti, sono estremamente preoccupanti, compresa la quasi esautorazione del Parlamento e la riduzione del Presidente della Repubblica a un taglianastri, mostra che non siamo tanto bravi. Si potrebbe dire che molte delle cose che sono state elencate ormai appartengono al passato, ma non è così. Berizzi, nel suo lavoro, si pone la domanda: «Ma davvero i giovani fascisti, le loro divise e i loro simboli appartengono soltanto al passato? Esiste una trasmissione sempre più manifesta di valori, un passaggio tra le generazioni che conserva il culto dell’autoritarismo, della violenza e della morte, l’ossessione razzista e xenofoba, la disciplina militaresca e la pulsione identitaria che già una volta hanno formato un’intera generazione di ragazzi, e si tratta di un fenomeno tanto diffuso quanto sottovalutato: la rinascita delle organizzazioni di estrema destra e il ritorno dell’educazione fascista. Da nord a sud l’Italia è percorsa da una tendenza ormai visibile e capillare, capace di modificare i costumi e la mentalità attraverso potenti suggestioni. C’è una rete di palestre in cui gli sport da combattimento si usano per allevare picchiatori, militanti, “uomini nuovi”. Sono tornate le colonie estive per insegnare l’ordine e l’obbedienza ai bambini. Inquietanti formazioni neofasciste indottrinano i giovani soldati politici per presidiare le curve degli stadi e le scuole, le associazioni e le piazze. Nell’epoca sovranista l’estrema destra è sempre più minacciosa. Sulla nuova educazione fascista che dilaga in Italia non si può più tacere».
Nessuno si illuda che i mutamenti che si stanno verificando in Italia siano soltanto folklore. Sotto gli occhi indifferenti di un popolo non tanto “brava gente”, corriamo il rischio di metterci fuori dal contesto europeo, e quindi ai margini di una delle grandi conquiste dell’occidente: l’Unione Europea, uscita dalla quale gli inglesi si stanno ancora pentendo. Questo è un invito pressante a rileggere la nostra storia recente e a saper leggere i movimenti dell’attuale formazione politica al governo, tenendo conto della sua “matrice”. Perché, come disse John Donne quasi cinquecento anni fa: Non chiedere per chi suona la campana: essa suona anche per te.
Caro Sergio, a questo splendido e documentato excursus sulla persistenza del fascismo mi pare giusto aggiungere che la sua sottovalutazione trova origine, come ben sai, nella cosiddetta Amnistia Togliatti, un decreto del 1946 col quale il leader del PCI, all’epoca ministro della giustizia, disponeva l’annullamento delle pene per i reati commessi dai fascisti. Lo scopo, apprezzabile, era quello di pacificare un Paese che usciva dilaniato dalla guerra civile esplosa dopo l’8 settembre del ’43. La cellula iniziale costituita dai reduci della Repubblica di Salò, il Movimento Sociale Italiano fu già una prima ricostituzione del partito fascista. Si preferì lasciar correre perché, a parte non proprio rari disordini di piazza, la neo-formazione non intralciava i programmi di ripresa economica e sociale del Paese. Non aver disciolto il MSI fu la prima omissione alla quale ne hanno fatto seguito molte altre. E questo di oggi, a distanza di quasi settant’anni è il risultato. Un caro saluto
Caro Elio, ti sono grato per la benevola accoglienza che hai fatto al mio scritto, e non posso che concordare con te con la genesi di ciò che sta accadendo oggi. La debolezza con la quale i governi postbellici affrontarono il problema, portò alla ricostituzione – scarsamente mascherata – del disciolto partito fascista, prima con Almirante (MSI) e poi con Fini (AN) e oggi ne stiamo pagando le conseguenze. sull’argomento c’è ancora molto da dire e penso che ce ne occuperemo anche in futuro, date le iniziative liberticide della nostra bionda “camerata”. Ti sono ancora grato per il tuo prezioso commento.