A completamento della parte più importante di questo excursus sull’antisemitismo, rimane adesso da cercare una risposta soddisfacente alla pregnante domanda: perché l’antisemitismo; quando sorge, e perché in tutto il mondo gli ebrei sono sempre stati oggetto di odio e persecuzione?
La sede per delineare — anche se a grandi linee — la storia dell’antigiudaismo (il termine antisemitismo è stato coniato alla fine del XIX secolo) o giudeofobia, non è esattamente questa, per cui si rimanda a opere specializzate sull’argomento. Per il momento basti dire che esso risale ai millenni passati, con motivazioni fra le più varie. Il primo in assoluto a dirsi ebreo porta il nome di Abramo, che nacque in una città caldea chiamata Ur. Egli non nasce come ebreo, ma assume tale identità dopo che Dio gli ordinò di andarsene dalla sua terra natìa, dalla sua famiglia, da suo padre Tera, per recarsi in una terra sconosciuta, una terra promessa che più tardi conosceremo come Canaan. Il nome “ebreo”, ivrì, in ebraico significa letteralmente “colui che attraversa, che passa”. È proprio perché lui abbandonò il mondo in cui era nato e le sue origini, che Abramo acquisisce un nome che racconta il suo gesto, il suo “aver attraversato”. Ma nel parlare di antisemitismo noi desideriamo adesso limitarci alla sua nascita “ufficiale” che, per quanto strano possa sembrare, può essere fatta risalire a una piccola setta ebraica degli inizi del primo secolo d.C., ovvero il Cristianesimo. Tutto ciò che sappiamo di Cristo deriva dagli scritti del Nuovo Testamento, gli autori dei quali rimangono pressoché sconosciuti, sebbene a noi si siano presentati con i nomi dei quattro evangelisti, e di Saulo di Tarso, il più prolifico di tutti. Non è questa l’occasione per discettare fra ciò che c’è di vero, di leggenda, di tradizione, negli scritti “apostolici”, ma sappiamo con certezza che in essi vi è già il germe dell’antigiudaismo. Basta leggerne alcuni per rendersi conto della nascente avversione dei cristiani nei confronti degli ebrei. Per esempio, è molto pesante l’invettiva di Paolo contenuta nella sua prima lettera ai Tessalonicesi (circa 50 d.C.) nella quale egli scrive: “Costoro uccisero perfino il Signore Gesù e i profeti e perseguitarono noi: non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini. Ci impediscono di predicare alle genti che si salvino, e così colmano la misura dei loro peccati. Ma infine su loro è giunta l’ira” (2:15-16).
“Voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro … voi non siete da Dio” (Giov. 8:37-47). Con queste premesse, che troviamo ripetute con toni più o meno accesi in tutto il Nuovo Testamento, non c’è da stupirsi se l’odio contro gli ebrei cominciò all’alba del Cristianesimo, e poi lievitò enormemente in tutto il mondo antico, principalmente a opera delle due maggiori religioni “cristiane”: il cattolicesimo e il luteranesimo.
Passeremo fra un po’ a esaminare come queste due grandi religioni “cristiane” si siano macchiate di atrocità inimmaginabili “nel nome di Dio”, e come, per secoli, i papi abbiano contribuito attivamente a stermini ed eccidi che giungono fino alla soglia dell’Olocausto, che grava pesantemente su di loro. Ma è necessario, perché non sia trovata giustificazione alcuna al loro esecrabile operato, porre a tutti coloro che in tutti i secoli hanno maledetto e perseguitato gli ebrei, una domanda: quando si giustizia un uomo per decapitazione (o con qualsiasi altro sistema), chi è il responsabile della sua morte, il boia o l’ascia che egli impugna? L’esempio è pertinente, in quanto nel caso della morte di Gesù il giustiziere è Dio, e alcuni ebrei di quel tempo furono la sua ascia. Tutti, o quasi, sappiamo che la morte di Cristo fu stabilita e voluta da Dio, in quanto necessaria per la salvezza dell’intero genere umano, e poiché la Bibbia, a cominciare da Abramo con Isacco, considera necessario lo spargimento di sangue innocente per lavar via il peccato, lo stesso vale per Gesù Cristo. È Cristo stesso a farcelo sapere quando dice a un suo discepolo: “credi che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Come dunque si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve accadere?” Scritture come Isaia 53:6, che affermava che “il Signore (Dio) ha fatto pesare su lui (Cristo) le colpe di tutti noi”. Chi, più della vittima sacrificale avrebbe potuto essere più chiaro nel dichiarare che la sua morte era volontà di Dio, ed ecco le sue parole: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Però non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Luca 22:42). Fu quindi per esplicita volontà di Dio che Gesù fu ucciso.
Pertanto, se era necessario, anzi, inevitabile che Gesù morisse perché così Dio aveva stabilito in adempimento delle Scritture, che importanza può avere il nome di colui o di coloro che furono incaricati di questo sgradevole ma ineludibile compito? Essi non furono altro che il braccio armato di Dio per giustiziare suo figlio a beneficio dell’umanità. Se invece di chiamarsi ebrei fossero stati egizi, sumeri, assiri, babilonesi, ecc., oggi invece di antigiudaismo avremmo l’antisumerismo, l’antibabilonismo, l’antiassirismo e così via. Ma poiché gli ebrei hanno avuto il cattivo gusto di resistere per duemila anni a persecuzioni, massacri, pogrom e altra roba del genere, allora, poiché essi sono gli eredi di coloro la cui mano fu armata da Dio più di venti secoli fa per mettere a morte il Giusto, di conseguenza su generazioni di innocenti estranei a ciò che accadde, i seguaci di Cristo — siano essi cattolici, luterani, calvinisti, protestanti — si sono sentiti investiti della sacra missione di torturare, uccidere, sterminare, umiliare e annientare per venti secoli tutti quelli che hanno avuto la disgrazia di nascere in una delle comunità ebraiche di tutto il mondo.
Ma c’è anche un altro aspetto da prendere in considerazione. Gesù era ebreo, come ebrei erano tutti i suoi discepoli e il popolo a cui predicava. Come tali, essi erano soggetti e obbligati a ubbidire alla legge ebraica, che per taluni peccati (o reati) prevedeva diverse punizioni, perfino la morte. Di conseguenza, avendo Gesù, secondo le autorità giudaiche, il Sinedrio, violato la legge di Dio, meritava la giusta punizione. L’accusa era gravissima e, secondo la norma descritta in Levitico 24: 11, 12, prevedeva la condanna a morte. Qual era essa, allora? Era l’accusa di bestemmia! Come spiegarono i sacerdoti a Pilato: “Noi abbiamo una legge e secondo la legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio (Giov. 19:7); e, nel sentire Cristo che lo dichiarava, il sommo sacerdote si strappò le vesti esclamando: “Ha bestemmiato! … Ecco: ora avete udito la bestemmia” (Matt. 26:65). In sintesi possiamo concludere che “i perfidi giudei” di quel tempo, con ciò che accadde, non fecero altro che applicare la legge, legge che con grande fragore era stata consegnata a Mosè da Dio in persona, e con minuziosa precisione era stata inclusa nei primi cinque libri della religione ebraica. E, infine, correndo il rischio di sembrare cinico, a guardare il tutto retrospettivamente, non ebbero poi tanto torto. Dopo la sua morte, e per i successivi duemila anni nessuna delle promesse di Cristo si avverò, né si è ancora avverata, e venti secoli sono un sufficiente tempo di attesa. Tanto è vero che, come riferisce la seconda lettera di Pietro: «negli ultimi giorni verranno schernitori sarcastici … e diranno: “Dov’è la sua venuta, che aveva promesso? Da quando i nostri padri si addormentarono, tutto rimane come all’inizio della creazione”». Nessuno avrebbe potuto obbiettare a quelle parole, e la modesta e inconcludente risposta di Pietro (3:3, 4, 8) che disse loro che “un giorno solo davanti al Signore è come mille anni e mille anni come un giorno solo”, sta a confermarlo.
Voltiamo adesso pagina e facciamo un salto temporale di diversi secoli in avanti. La piccola e insignificante setta dei seguaci di Cristo era cresciuta enormemente ed era diventata il Cristianesimo che per parecchio tempo fu solo cattolicesimo con i suoi papa-re e le ridondanti gerarchie ecclesiastiche. Molto tempo era trascorso, ma l’odio dei cristiani verso gli ebrei ardeva sempre inestinguibile; essi erano il popolo “deicida”, punto e basta! Nel XIX secolo la Chiesa di Roma diede nuovo impulso all’antisemitismo sempre latente che “si focalizzò per un certo periodo sugli ebrei, i quali erano dipinti come malvagi cospiratori che, in combutta con i Massoni, realizzavano l’opera del diavolo. E, come vedremo, fu in non piccola parte che la tradizionale ostilità della Chiesa verso gli ebrei si trasformò nell’antisemitismo moderno”. Si affermava che “il giudaismo ordinava ai suoi aderenti di rapire i bambini cristiani, mutilarli e torturarli nel modo più doloroso possibile, e di cavar loro il sangue … Gli ebrei si erano trovati ad affrontare queste accuse per secoli, e a subire il periodico insorgere di collera omicida da esse scatenato”. (David I. Kertzer, I papi contro gli ebrei, Rizzoli 2002, pp. 22-23). La Chiesa, per meglio combattere e perseguitare gli ebrei, si munì di uno strumento molto potente e inesorabile: il Santo Uffizio dell’Inquisizione e, insieme ad esso, le Crociate che sotto il santo vessillo della croce sterminarono centinaia di migliaia di “eretici”, di ebrei e di chiunque non si fosse sottomesso alla sovranità dei pontefici. Per tutto il Medioevo con periodi alterni, nel nome del “Principe della pace”, essa condusse una guerra senza quartiere che, facendo le opportune distinzioni temporali e sociali, si può paragonare al genocidio di Hamas del 7 ottobre e del suo proposito di spazzar via gli ebrei dalla loro terra.
Con un ulteriore salto temporale adesso giungiamo al XIX secolo, durante il quale, avvalendosi delle potenti risorse a sua disposizione e della rivista cattolica più influente del mondo, La Civiltà Cattolica, gestita dai Gesuiti, la Chiesa diede nuovo impulso alla sua secolare campagna antisemita. La rivista appena menzionata “lanciò una lunga campagna contro gli ebrei nel dicembre 1880 con una serie di trentasei feroci articoli antisemiti, che furono pubblicati per i successivi quaranta mesi … Quando diede inizio alla sua campagna antiebraica La Civiltà Cattolica si rivelò cruciale per il sorgere dell’antisemitismo moderno”. Il suo principale scrittore era padre Giuseppe Oreglia, secondo il quale “Agli ebrei, eterni fanciulloni insolenti, caparbii, sporchi, ladri, bugiardi, ignoranti, seccatori e flagello dei vicini e dei lontani, fu conceduta non già una troppa ma quella sola libertà che hanno altri, impossessandosi, non si sa come della fortuna pubblica” (op. cit. pp. 144-146-147). Secondo l’Osservatore Romano, altra influente pubblicazione vaticana, “Il giudaismo doveva essere vilipeso in tutti i modi possibili, perché era responsabile della morte di Gesù Cristo e dell’assassinio di bambini cristiani allo scopo di estrarre il sangue per il pane azzimo della Pasqua” (op. cit., p. 159).
La responsabilità della Chiesa, dunque, è grande e nessun mea culpa dei pontefici post-bellici potrà cambiare di una virgola la gravità di ciò che i loro predecessori avevano fatto contro gli ebrei. Non per nulla il sottotitolo del già citato volume di Kertzer recita “Il ruolo del Vaticano nell’ascesa dell’antisemitismo moderno”. Con riferimento al regime di Mussolini, l’Autore riferisce che La Civiltà Cattolica «All’inizio dell’anno (1937) aveva elogiato Mussolini per aver riconosciuto “la mano dei giudei” dietro il comunismo», e poi aggiunge che: «Non c’è bisogno di aggiungere che Farinacci e gli altri leader fascisti che citavano la Chiesa per giustificare le nuove leggi antisemitiche lo facevano per loro ragioni politiche, e ci sono motivi a sufficienza per metterne in dubbio la sincerità. Ma potevano sfruttare la Chiesa in questo modo solo perché la Chiesa stessa aveva contribuito a gettare le basi per le leggi razziali fasciste. Per decenni le forze vicine al Vaticano avevano denunciato gli ebrei come cospiratori al soldo del male e contro il bene pubblico. Per decenni la stampa legata al Vaticano si era lamentata degli effetti funesti dell’emancipazione degli ebrei. Per decenni le autorità ecclesiastiche avevano messo in guardia dalla concessione di pari diritti agli ebrei. Per decenni la stampa cattolica italiana aveva denunciato l’eccessiva influenza degli ebrei in Italia … Né il papa né alcuna altra autorità ecclesiastica si opposero ai tentativi dei fascisti di togliere agli ebrei i loro diritti civili».
Ma dopo questa necessariamente succinta panoramica sull’antisemitismo e l’antigiudaismo nella Chiesa Cattolica, saremmo in torto se chiudessimo senza menzionare, seppur brevemente, un altro dei maggiori odiatori degli ebrei, quel Martin Lutero, ex monaco agostiniano, che nel 1517 a Wittenberg con le sue 95 tesi diventò uno dei principali avversari del papa e che fondò una nuova religione: la religione evangelico luterana. Lontano dal papa e dalla sua chiesa ma molto vicino all’antisemitismo di quest’ultimo, non perse mai l’occasione di tormentare gli appartenenti alla comunità ebraica del suo Paese. È sua l’opera intitolata Degli ebrei e delle loro menzogne, nella quale dà indicazioni sul trattamento da riservare agli ebrei: «“In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto … Secondo: bisogna allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, … Terzo: bisogna portare via a loro tutti i libri di preghiere e i testi talmudici, nei quali vengono insegnate siffatte idolatrie, menzogne, maledizioni e bestemmie. Quarto: bisogna proibire ai loro rabbini — pena la morte — di continuare a insegnare. … Sarebbe meglio che ci attenessimo alla saggezza comune di altre nazioni … e li cacciassimo per sempre dal Paese». (Steven Pinker, Il declino della violenza, Mondadori 2013, p. 167).
A lui si associò un altro grande persecutore, Giovanni Calvino, anch’egli ex cattolico e grande padre fondatore del protestantesimo, secondo il quale: “Dio dice che il falso profeta va lapidato senza misericordia. Dobbiamo schiacciare sotto il tallone tutti gli affetti naturali, quando è in gioco il suo onore. Il padre non deve risparmiare il figlio, né il marito la moglie, né l’amico l’amico che gli è più caro della vita”. E queste sue parole vanno prese seriamente perché fu lui che fece mettere al rogo il teologo, umanista e medico Michele Serveto, anche lui proveniente da una famiglia cattolica spagnola, per il motivo di aver messo in dubbio la dottrina della Trinità.
Questa trattazione dell’antisemitismo non può concludersi senza menzionare la stretta collaborazione che vi fu tra la Chiesa e il Fascismo. Come riferisce Michele Sarfatti nel suo Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi (Einaudi, 2002, 2022): «Nel febbraio 1940 Mussolini fece comunicare all’Unione delle comunità israelitiche italiane l’ordine di una graduale ma definitiva espulsione entro sei mesi… contemporaneamente il Terzo Reich, abbandonata nel 1941 la politica di eliminazione degli ebrei dai suoi territori, stava ormai attuando la politica di eliminazione degli ebrei dei suoi territori. Nello stesso tempo, in Russia e in tutto il resto del mondo, decollava la pubblicazione dei Protocolli dei savi anziani di Sion, un falso storico che “rivelava” l’intento degli ebrei di impadronirsi del potere mondiale e di tutte le sue ricchezze, basato su falsa documentazione che fu estesamente spacciata per autentica.» Come scrive Cesare De Michelis in La giudeofobia in Russia: «Con la sconfitta del nazifascismo si sarebbe detto che I Protocolli dei savi di Sion avessero concluso la loro tragica parabola. Il libro che aveva conteso alla Bibbia il primato di diffusione su scala mondiale tornava ad essere quello che in realtà era, il frutto insano e per certi versi secondario di una delle più tragiche fantasie del XIX-XX secolo, l’ossessione del complotto mondiale ebraico che, per dirla con N. Cohn, aveva dato la “licenza per il genocidio”». (Ed. Bollati Boringhieri 2001). Questo volume costituisce una lettura indispensabile per chi volesse veramente conoscere la genesi dei Protocolli e il retroterra antigiudaico che da sempre serpeggiava nella Russia, prima degli Zar e poi dei sovietici. Il comunismo russo e il fascismo italiano, pur essendo agli antipodi, avevano una cosa in comune, efficacemente sintetizzata nell’opuscolo di Niccolò Giani del 1939, dal titolo che in riferimento al fascismo diceva, Perché siamo antisemiti.
L’occasione per una conclusione appropriata dell’intera vicenda ce la fornisce uno dei nostri più grandi scrittori, Umberto Eco, che in un suo indimenticabile lavoro ci spiega che «Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procuraci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo … I nemici sono diversi da noi e si comportano secondo costumi che non sono i nostri … Si veda quanto Tacito dice degli ebrei: “Profano è per loro tutto quello che è sacro per noi e quanto è per noi impuro per loro è lecito”» (Umberto Eco, Costruire il nemico, Saggi Bompiani, 2011).
Delphine Horvilleur, in Riflessioni sulla questione antisemita, riferendo di un ipotetico discorso fra l’imperatore Adriano e un innominato ebreo, attribuisce a quest’ultimo queste parole: “Se l’odio verso gli ebrei sfugge a qualsivoglia logica, allora forse è vano e immorale cercarvi delle modalità esplicative, analizzare il ragionamento dei suoi soggetti. Inutile, sì, a meno di interpellare quel che l’odiatore precisamente esecra attraverso l’ebreo, a meno di dare un nome a ciò che detesta. Di quale nemico deve insomma sbarazzarsi a ogni costo?”.
Sia Eco che la Horvilleur sottolineano che gli esseri umani hanno sempre bisogno di un nemico per gli scopi che abbiamo appena appreso. E quale miglior nemico, se c’è n’è uno già preconfezionato da millenni, costruito su misura per scaricare su di esso le nostre frustrazioni, le nostre pulsioni, il nostro bisogno di rivalsa che, in misura maggiore o minore alberga in tutti noi? Eccolo, il “nemico”, la “strega” è tornata: si chiama EBREO.