Tra gli anni Trenta e i Cinquanta dello scorso secolo si registrò in Italia una discreta fioritura di scrittori umoristici. Molti ricorderanno Marcello Marchesi per le numerose apparizioni televisive in cui, negli anni Sessanta, vestiva i panni di un uomo comune di mezza età. Tra quelli caduti più o meno nell’oblio merita di essere citato Carlo Manzoni, autore, tra l’altro, di brevi quadretti che avevano come protagonista l’ineffabile signor Veneranda. La particolarità di questo personaggio è la sua attitudine a prendere alla lettera sia le proprie che le altrui affermazioni. Per fare qualche esempio, in uno di questi “sketch” letterari Veneranda entra in una panetteria, che espone in vetrina un cartello con la scritta “Cercasi garzone”, e chiede al proprietario se lo ha cercato bene sotto il letto o in dispensa, aprendo così uno scontro verbale sull’uso appropriato delle parole. In un altro schizzetto è lo stesso signor Veneranda che, seduto al volante della sua auto ferma, chiede ad un passante: “Le dispiace spingere?”. Il passante comincia generosamente a spingere ma poi si accorge che chi glielo ha chiesto non prova neppure a mettere in moto l’auto. Alle sue educate ma vive proteste Veneranda risponde che la macchina è in condizioni di partire da sola e che la sua non era una richiesta di aiuto bensì un’offerta per chi avesse voglia di spingere.
Ma, al di là dello scopo di strappare un sorriso al lettore, alla base di ciascuna vicenda c’è la messa in discussione dei “luoghi comuni” che non sono soltanto le semplificazioni sommarie in cui spesso cadiamo ma anche i modi di dire dei quali facciamo uso senza neppure accorgercene. Applicando il metodo Veneranda possono venire fuori battute tipo: “Come ti trovi nella casa nuova?” “Mi cerco.” E si potrebbe continuare: “La casa nuova è grande ma fino ad ora mi sono sempre trovato.” E ci può essere spazio anche per affermazioni come: “Se cerchi te stesso e non ti sei ancora trovato, prova a telefonarti prima”; oppure: “Conosci te stesso e se proprio non ci riesci fatti presentare da qualcuno.”
Maestro nella creazione del “nonsense”, raggiungendo sovente le vette dell’assurdo più assoluto, fu certamente il più famoso degli autori umoristici di cui si è detto, Achille Campanile. Nella sua celebre raccolta “Tragedie in due battute” riesce a concentrare in uno spazio minimo i più impensabili paradossi. Ne diamo qualche esempio. Titolo: Vecchia galanteria. Personaggi: la Vecchia Marchesa e il Vecchio Duca. La Vecchia Marchesa: “Questo tramonto è bellissimo.” Il Vecchio Duca: “Vi piace? È vostro” (sipario). Titolo: Capriccio. Personaggi: il Piccino e Suo Padre. Il Piccino: “Papà, io non ho mai ammazzato nessuno. Potrei ammazzare il signor Giuseppe?” Il Padre: “Va bene, ma il signor Giuseppe soltanto” (sipario).
Sull’onda di questa ispirazione si possono azzardare dialoghi abbastanza simili come, ad esempio, quello tra una Vedova e una sua Conoscente. La Vedova: “Quando mio marito ci ha lasciati, i mariti delle mie due figliole mi hanno confortato molto”; la Conoscente: “Generi di conforto!”. O, anche, un giovane ed un anziano. Il Giovane: “…non mi permetterei mai. Lei potrebbe essere mio padre” e l’Anziano: “È possibile, chi è sua madre?”. O, ancora, un intervistatore e il pilota di un elicottero precipitato durante un’azione bellica, miracolosamente sopravvissuto. L’intervistatore: “Come si sente dopo questa terribile esperienza?” e il superstite: “Beh, per la verità, un po’ abbattuto”. Ma avremo modo di tornare sull’argomento e di ampliarlo.