“Colantonio, illustre pittore napoletano, che primo nel nostro Paese coloriva ad olio contro quello che dicono i pittori forestieri, i quali tengono il contrario, e tutta la Fama e la Gloria attribuiscono alli lombardi, alli fiorentini, alzandoli alle stelle, occultando o diminuendo la Fama delli napoletani a’ quali si deve veramente l’onore di questa invenzione e la palma di quest’Arte”
Bernardo De Dominicis, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, Tomo I, Napoli 1742
Le notizie biografiche sul misterioso pittore quattrocentesco Nicola Antonio, noto come Colantonio e attivo a Napoli tra il 1420 e il 1470, sono estremamente scarse. Tuttavia, le sue opere pervenuteci costituiscono un importante spaccato della cultura figurativa pre-rinascimentale nell’Italia meridionale.
La figura enigmatica di Colantonio, il quale presumibilmente fu maestro del giovane Antonello da Messina, rimane avvolta da leggende e incertezze. Le uniche notizie a nostra disposizione provengono da una lettera scritta nel 1524 da Pietro Summonte, umanista napoletano, a Marcantonio Michiel, studioso veneziano, e da quanto riportato dal pittore settecentesco Bernardo De Dominicis nella sua opera Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani.
Le due fonti storiche, divergenti su molti punti, coincidono solo su pochi argomenti. Colantonio viene descritto come il pittore di corte di Renato d’Angiò e poi di Alfonso d’Aragona. Primo incarico del pittore per la casata Angioina di Napoli fu quello di imitare e riprodurre i preziosi dipinti fiamminghi appartenenti alla corona. Le fonti storiografiche, molto più corpose sulla figura dell’ultimo sovrano francese, ci raccontano di un re Renato mecenate e grande estimatore della pittura delle Fiandre. Tanto appassionato da finanziare l’arrivo alla sua corte del più grande pittore del suo tempo, Barthélemy d’Eyck, maestro indiscusso della pittura fiamminga. La storia di Colantonio si basa su queste scarse informazioni. Dopo decenni di ricerca, gli storici dell’arte sono riusciti a tracciare il percorso dei capolavori che Colantonio aveva realizzato. Queste opere, molte delle quali realizzate insieme al giovane allievo Antonello da Messina, sono ora conservate al Museo di Capodimonte.
Uno dei capolavori più notevoli è un grande polittico, oggi smembrato, realizzato per la chiesa napoletana di San Lorenzo Maggiore. Scopo del lavoro era la celebrazione del pensiero francescano, dal suo ispiratore Girolamo e fino al fondatore Francesco. Quest’ancona d’altare è dominata infatti da un maestoso San Girolamo nel suo studio, iniziato da Colantonio intorno al 1440, con uno stile che richiama fortemente il realismo fiammingo. Gusto nordico evidente nella rappresentazione quasi fotografica degli oggetti che riempiono lo studio, dove il santo è raffigurato seduto mentre cerca di rimuovere una spina dalla zampa di un leone. Gli fa da pendant un San Francesco che dona la regola alle clarisse, caratterizzato da uno sfondo dorato e da un pavimento di maioliche con lo stemma di re Alfonso, rivelando un gusto più affine allo stile dell’artista catalano Jacomart Bacò, pittore di corte del re aragonese.
Come sottolineò lo storico dell’arte Ferdinando Bologna, organizzatore della grande mostra di Trento su “Antonello da Messina e il suo tempo” nel 2006, il “Maestro Colantonio era diventato il punto di convergenza dei rapporti culturali con Fiandre, Francia e Spagna”, capace di amalgamare e riassumere, facendole sue, le più importanti innovazioni stilistiche del suo tempo.
Continuando a mescolare influenze dalle Fiandre e dalla Catalogna, Colantonio realizzò altre due opere di notevoli dimensioni: una Deposizione dalla Croce per i frati benedettini di San Domenico Maggiore e il Polittico di San Vincenzo Ferrer per la chiesa di San Pietro Martire. In quest’ultimo, il giovane Antonello sembra aver avuto un ruolo più marcato. La figura del santo al centro della tavola sembra ispirata alle forme rinascimentali di Piero della Francesca, mentre nelle scene laterali, che narrano i miracoli di San Vincenzo, Colantonio dimostra il suo talento poliedrico, passando dalla rappresentazione di paesaggi ad audaci architetture, come quelle della cappella palatina del Maschio Angioino, raffigurata nella predella, dove l’artista ritrae Isabella Chiaramonte, moglie di re Ferrante, figlio di Alfonso d’Aragona, mentre prega insieme ai figli, dimostrando la sua devozione per San Vincenzo Ferrer, canonizzato nel 1456.
Ci racconta il De Dominicis (con il suo gusto per l’iperbole) che tanto era apprezzata l’opera del maestro Colantonio che un suo affresco raffigurante un Ecce Homo nella chiesa di San Domenico fu addirittura toccato dalla “Grazia Divina” iniziando a sanguinare dalle stimmate.
Il grande merito tangibile e riconosciuto a Colantonio e al suo allievo messinese, oltre agli straordinari talenti pittorici, è quello di aver introdotto in Italia l’uso della pittura ad olio. Molto probabilmente fu il pittore Petrus Christus ad iniziare il maestro napoletano alla rivoluzionaria tecnica, collaborando con lui alla “Deposizione dalla croce” succitata.
La leggenda raccontata nel “Segreto dei Fiamminghi”, uno sceneggiato francese del 1974, narra di un’impresa affidata a Colantonio e al suo allievo Antonello da Messina da re Alfonso V, con l’obiettivo di carpire il segreto pittorico dei maestri nordici: la pittura ad olio. Nella realtà storica il valore di mercato delle opere realizzate con questa tecnica era così elevato che i sovrani dell’Europa meridionale inviarono le loro spie alla ricerca di questa audace conoscenza tecnologica, in possesso dei maestri dei Paesi Bassi.
L’introduzione della pittura ad olio rappresentò una vera rivoluzione nel mondo dell’arte. L’olio è un eccellente agente legante che si indurisce nel tempo grazie al contatto con l’ossigeno presente nell’aria, formando una pellicola insolubile e resistente. Questa tecnica offriva una maggiore brillantezza del colore, tempi di essiccazione estremamente flessibili e la possibilità di eseguire velature e ritocchi anche dopo il completamento dell’opera. Ciò portò a opere più complete, espressive e ricche di dettagli. L’intuizione di sostituire il legante organico (come l’albume d’uovo o la colla di coniglio) con una resina inorganica (gomma arabica) e il diluente (acqua) con l’olio di semi di lino o la trementina rappresentò una vera rivoluzione alchemica nell’arte. La pittura ad olio offriva una notevole differenza nella resa pittorica rispetto alle tecniche artistiche tradizionali come la tempera e l’affresco. Grazie a queste caratteristiche, la pittura ad olio si è diffusa in tutta Europa, favorita anche dal commercio dei mercanti che trovavano più pratico trasportare i dipinti su tele arrotolate, molto più leggere e maneggevoli rispetto alle rigide tavole di legno.
In un’epoca in cui Colantonio lavorava instancabilmente per creare opere d’arte di straordinario valore, queste rappresentavano molto di più di semplici dipinti. Per i sovrani e i potenti dell’epoca, l’arte era un mezzo per elevare la società, testimoniare la grandezza di un regno e preservare la memoria dei momenti significativi. Il contributo di Colantonio, con la sua abilità eccezionale e l’introduzione della pittura ad olio, è stato fondamentale nell’evoluzione dell’arte rinascimentale. Anche se la sua biografia rimane avvolta nel mistero, le opere di questo pittore quattrocentesco continuano a ispirare e a connettere le influenze culturali provenienti da Fiandre, Francia e Spagna. Nel loro insieme ci ricordano il potere intrinseco dell’arte di trasformare e preservare la bellezza, la storia e la cultura di un’epoca ormai passata.