Il bene e il male: due condizioni per le quali il dilemma della scelta per l’uno o per l’altro ha accompagnato il genere umano fin dalle sue origini. Non v’è certamente nessuno che ignora il mito primordiale nel quale i nostri progenitori furono indotti a mangiare il “frutto proibito”, causando in tal modo la loro rovina e quella di tutti i loro discendenti. Di che frutto si trattava? Lo stesso racconto ci informa che si trattava del frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male”; conoscere il bene e il male, ovvero la differenza fra i due, e potere quindi consapevolmente scegliere, lungi dall’apportare un prezioso beneficio a chi si fosse cibato di quel frutto, avrebbe invece comportato la morte. Non è assolutamente il caso, in questa sede, di procedere a una esegesi del racconto biblico, che con le sue incongruenze, incoerenze e assurdità, rivela in pieno d’essere quello che realmente è: una raccolta di miti e leggende ancestrali, redatta da più mani (umane) incuranti o incapaci di trarne una narrazione omogenea e minimamente credibile. Ma ciò che intendevamo evidenziare, menzionandolo, era sottolineare ancora una volta che «La risoluzione dell’insolubile mistero del Male nel problema dei molti mali di cui l’uomo è afflitto non è un atto di protervia razionalistica. È, al contrario, modestissimamente, la prima condizione per consentire di tanto in tanto all’uomo di ragione e di scienza, pur consapevole dei propri limiti, di trovare qualche efficace rimedio per rendere il male più sopportabile». [Norberto Bobbio, Elogio della mitezza, Il Saggiatore, 1998. p. 25]
Poiché, ancora una volta, ci stiamo occupando dal problema del male, è necessario ritornare su alcuni concetti già espressi in passato, per occuparci di quello che è stato definito «Il Male Assoluto»: l’Olocausto, la cosiddetta «soluzione finale» che portò allo sterminio di sei milioni di esseri umani, colpevoli soltanto di essere ebrei. Il modo scelto da europei benestanti, colti, civilizzati, per risolvere la «Questione Ebraica», fu quello dei forni crematori.
Quello che sta accadendo in questi giorni in Israele ci si avvicina molto, e fra poco scopriremo il perché. Ancora una volta vogliamo attingere al pensiero di Norberto Bobbio per stimolare una riflessione. Nel suo Elogio della Mitezza, egli scrive: «Il problema del Male s’impone alla nostra attenzione con particolare forza in caso di eventi catastrofici, non importa se siano protagonisti la Natura o la Storia. Due sono, nella nostra memoria più recente, gli avvenimenti che hanno maggiormente sollecitato la discussione sul tema: Auschwitz e la caduta del muro di Berlino. Il primo ha rappresentato una sfida soprattutto per l’uomo di fede, il secondo soprattutto per l’uomo di ragione. Sono risuonate alle nostre orecchie ripetutamente due domande: “Perché Dio non solo ha taciuto, ma ha consentito che l’immane massacro senza precedenti nella storia per il numero di vittime e l’efferatezza dei mezzi adoperati, fosse consumato?”; “Perché il più grande movimento che aveva preteso di emancipare l’uomo dal dominio, dallo sfruttamento e dall’alienazione si è capovolto nel suo contrario, ovvero in uno stato politicamente dispotico, economicamente inefficiente, moralmente ignobile?” Gli uomini di ragione sono tentati di parlare di “sconfitta di Dio”; gli uomini di fede, di “suicidio della rivoluzione”. In realtà non sono soltanto gli uomini di fede che di fronte all’esito catastrofico della Rivoluzione comunista hanno parlato di “utopia capovolta”, e non sono stati soltanto gli uomini di ragione che hanno parlato della “sconfitta di Dio”. Quando ho letto il libro di Sergio Quinzio che reca appunto questo titolo [Sergio Quinzio, La sconfitta di Dio, Adelphi, 1992], sono rimasto trasecolato. Da non credente, che continua nonostante tutto a restare sulla soglia, non avrei mai immaginato che l’uomo di fede potesse parlare con tanta libertà del fallimento del cristianesimo che non ha mantenuto le sue promesse, dello scacco del Crocefisso. La storia di Dio è, fin dalle prime pagine della Bibbia, “una storia di sconfitte”; “dopo duemila anni i morti non sono risuscitati, e lo spazio per la fede è mostruosamente diminuito”; “non possiamo più credere a un Dio che esige un infinito prezzo di sangue e di lacrime per dare una soluzione che nessuno ha ancora visto”; “Dio che si è offerto a noi, che aspetta da noi la salvezza, è un Dio che dovremmo perfettamente amare, ma ci ha resi troppo stanchi, delusi, infelici per poterlo fare”».
Se, come abbiamo visto, perfino Dio è «sconfitto», cosa ci resta da fare di fronte ad avvenimenti, innumerevoli nella storia e, purtroppo, nella nostra quotidianità, sapendo in anticipo che il male esisterà finché esisteranno gli esseri umani che ne sono la causa principale?
Sempre secondo Bobbio, «il male ha due aspetti che, per quanto spesso e non sempre a ragione collegati, devono essere tenuti ben distinti. Il primo è quello che si fa, il secondo è quello che si subisce. Il male inferto e il male sofferto». Nel caso dell’immane tragedia che si sta svolgendo in questi giorni sotto i nostri occhi, l’invasione dell’Ucraina e l’attacco terroristico contro Israele, ci troviamo di fronte alla prima tipologia: il male inferto, dal quale scaturisce la domanda: Perché? Ed è nel dare una risposta a questa domanda che possiamo accostare i fatti di oggi a quelli della Germania nazista e all’invasione russa attuale.
Scrive Ezio Mauro su la Repubblica del 14 ottobre scorso: «Per questo il racconto dei pogrom — dai tumulti di Odessa del 1821 alle aggressioni antiebraiche ripetute nel secolo in Russia e Ucraina fino all’assalto alle persone, alle case, e alle sinagoghe della Notte dei Cristalli nel novembre 1938 — è una storia di devastazione fino alla soglia del disumano, sempre la stessa: che coscientemente non risparmia vecchi e bambini, perché dietro le motivazioni politiche, sociali, economiche e religiose ha come unica vera missione l’annientamento». Ecco: annientamento. È questa la vera ragione che sta alla base di ciò che sta accadendo ed è accaduto. Non la sconfitta, ma l’annientamento di Israele è ciò che Hamas vuole; ed è esattamente ciò che voleva Hitler quando ordinò al suo regime di spazzar via gli ebrei dalla faccia della terra. Ed è anche ciò che vuole Putin, quando asserisce che l’invasione dell’Ucraina è un “problema interno”, in quanto l’Ucraina è sempre stata russa e perciò non ha alcun diritto di esistere come nazione indipendente. «Hamas ha un disegno ben preciso: la cacciata degli ebrei dalla Palestina, un trionfo militare schiacciante ottenuto con il sangue e con le armi e la creazione di un nuovo stato arabo … che sia governato secondo la legge di Dio … La vittoria dev’essere totale oppure non è ancora vittoria, come dice una rima in arabo: min al nahr / ila al bahr. Dal fiume (il Giordano), fino alla riva del Mediterraneo». (Daniele Raineri, la Repubblica)
Chi non si rende conto che di fronte a questa prospettiva non esistono alternative? Quale popolo accetterebbe di essere spazzato via dalla faccia della Terra senza reagire? Ma la domanda che noi qui ci poniamo è un’altra: cosa faremo? Ovviamente a nessuno è chiesto di prendere parte a un conflitto “che non ci riguarda”; ma, è proprio qui che sta l’errore. Dobbiamo prendere posizione; chiara, netta, senza equivoci, anche nel ricordo delle parole di un grande israeliano, Amos Oz: «Chi non sa distinguere tra i gradi di malvagità è destinato a diventare schiavo del male». E Augias commenta queste parole dicendo: «Questo vale per i tagliagole del 7 ottobre, ma estende la responsabilità morale anche a tutti coloro che rifiutano di considerare la disumanità dell’attacco.
Chi non si è tirato indietro, mostrando coraggio politico e nobiltà d’animo, oltre a spazzar via le polemiche, i distinguo, la miseria dei calcoli elettorali e l’ipocrisia delle convenienze, davanti allo sgomento per ciò che sta accadendo in Israele, è il Cancelliere tedesco Olaf Scholz che, di fronte al suo Parlamento, dopo il massacro del 7 ottobre, ha pronunciato queste parole: «La nostra Storia, la nostra responsabilità derivante dall’Olocausto, ci impone il dovere perenne di difendere l’esistenza e la sicurezza dello Stato d’Israele, anche se ora è sotto l’attacco di Hamas e non dei nazisti. E la sicurezza dello Stato ebraico è la ragion di Stato di quello tedesco. Il solo posto dove stare in questo momento è a fianco di Israele».
Parole nobili, coraggiose, degne di un cittadino europeo, che dovremmo far nostre. Come dice Ezio Mauro: “Le parole di Scholz congiungono il nostro mondo al Medioriente, consegnando un significato morale e civile all’universalismo globale, e ci trasformano da spettatori passivi nella retrovia in attori consapevoli, finalmente convocati sulla scena del delitto, interpellati e non risparmiati da ciò che accade sul fronte: infatti riguarda anche noi, perché è l’eterna partita per la libertà, la moderna contesa tra il fanatismo e la convivenza, il conflitto non risolto tra il terrorismo e la democrazia … Ma c’è qualcosa di più. Il cancelliere tedesco sembra parlare a nome dell’intera Europa proprio perché interviene da dentro la Storia, assumendola per intero invece di guardarla trascorrere e passare. Scende fino al buio totale dell’Olocausto, ne convoca la memoria e il sentimento nazionale di colpa, e trasforma l’impegno a sostegno della sopravvivenza di Israele in un risarcimento politico e morale che non può finire … proprio da questa lettura risolta del Novecento, Scholz ricava un canone europeo che tiene insieme politica e morale recuperando alla democrazia occidentale un obbligo e dunque un ruolo da protagonista nelle crisi aperte in Israele e in Ucraina … Forse non è un caso che sia il pensiero socialdemocratico, dato per morto, a risolvere le contraddizioni dell’Europa con questa teoria che potremmo chiamare la democrazia del dovere”.
Giunti al termine, dato che, ancora una volta, il Male e le sue atroci conseguenze, sono stati i protagonisti di questa nostra riflessione, e ripensando alle parole di Sergio Quinzio, sulla “sconfitta di Dio”, non possono non venirci in mente le parole della più famosa preghiera cristiana della storia: il Pater Noster. In essa, lo stesso “Figlio di Dio” chiede accoratamente al Padre — e chiede a noi di fare lo stesso — al termine della sua perorazione: “liberaci dal male” (Matteo 6:13). Mai preghiera, pronunciata da un così autorevole personaggio, è rimasta così incomprensibilmente e scandalosamente senza risposta. No! Egli e nessun altro ci ha liberato né ci libererà dal male. Pertanto siamo noi che con i nostri pensieri, i nostri comportamenti, le nostre azioni dobbiamo dimostrare da che parte stiamo, e fare tutto ciò che è in nostro potere per liberare, anche se in misura minima, noi stessi e gli altri dal male.