Michele Serra offre spesso spunti che possono stimolare riflessioni non banali. La sua risposta a un lettore che si mostrava sorpreso di aver visto la figlia di Craxi dietro alla Meloni sui banchi dell’ONU si concludeva con questa affermazione: “Dunque la mia opinione personale è che i craxiani fossero di destra anche prima (di Tangentopoli n.d.r.).” Questa opinione credo sia condivisa da tanti ex socialisti che non gradirono l’ascesa ai vertici del PSI, iniziata col famoso congresso del 1976 all’Hotel Midas di Roma, in cui Craxi fece fuori De Martino, che considerava conclusa la missione del suo partito in vista dell’unificazione col PCI di Berlinguer ormai dialogante e pronto ad assumersi responsabilità di governo. La strategia di Craxi fu invece quella di estromettere il PCI e collocarsi al centro per guadagnare la posizione di ago della bilancia nella formazione dei governi. Vi riuscì nel 1978, a ridosso dell’assassinio di Aldo Moro, diventando il primo premier socialista della Repubblica Italiana. Poi Tangentopoli spazzò via il PSI insieme a tutti i partiti di centro e alla DC.
Perché Craxi rappresenta l’anello di partenza della catena che ci ha portato dopo trent’anni ad un governo fascio-leghista? Lasciando da parte le scelte strettamente politiche di Craxi, spesso discutibili e indigeste alla sinistra, come l’abolizione della scala mobile, il danno maggiore, di portata storica, fu quello di permettere (o di incoraggiare per fini politici personali!?) la nascita di un duopolio televisivo riconoscendo, con la famosa legge Mammì, a Berlusconi il diritto di possedere ben tre reti televisive in concessione e di porsi in una posizione di concorrenza paritaria con le tre reti pubbliche. Credo tuttora che la portata di questa enorme violazione, non solo della libera concorrenza, ma anche e soprattutto della tenuta democratica di un paese, non sia stata compresa dagli italiani di destra ma anche, e ciò dispiace, da molti esponenti di sinistra. Potremmo discorrere a lungo degli effetti che l’infausta scelta craxiana sta tuttora dispiegando sulla società italiana, ma augurandoci che i lettori di www.zonagrigia.it ne abbiano piena contezza, passiamo oltre. Ricordando però, a sostegno della tesi di Serra, che passarono al servizio di Berlusconi i socialisti Gianni De Michelis, Fabrizio Cicchitto, Margherita Boniver, Maurizio Sacconi e che erano di area socialista anche Giulio Tremonti e Renato Brunetta, solo per citare i più conosciuti.
La storia ci insegna però che molti disastri politici, pur avendo una loro precisa origine, sono diventati tali per effetto della sommatoria di errori e di abusi commessi in seguito anche da altri operatori della politica. A seguito del referendum popolare del 1991, approvato dagli italiani sull’onda dell’avversione ai guasti della partitocrazia, furono limitate da tre ad una le preferenze esprimibili dagli elettori. La responsabilità di questa modifica non è attribuibile ad alcun partito. Secondo alcuni, la maggior parte degli elettori che votò «sì» non sapeva bene di cosa si trattasse, e quali conseguenze comportasse il quesito referendario: dettero la loro approvazione soltanto perché i partiti tradizionali di governo erano contrari. C’era inoltre l’effetto prolungato di Tangentopoli con la condanna del voto di scambio che inquinava profondamente la rappresentanza democratica.
Qualche anno dopo, con il “Porcellum”, la riforma elettorale a firma dell’ineffabile Calderoli, le preferenze furono del tutto soppresse e videro la luce le liste bloccate. Piccola osservazione: ciò che piaceva agli elettori e dispiaceva ai partiti trent’anni fa oggi dispiace alla gran parte dei primi ma trova la ferma adesione di gran parte dei secondi. Cambiano gli scenari e cambia anche la valutazione degli interventi sopravvenuti nel frattempo. Ma, al di là della compressione del diritto di scelta, patita da molti elettori, la nascita delle liste bloccate ha accresciuto in maniera abnorme il potere dei vertici dei partiti politici che, attraverso la scelta delle candidature, ottengono dai propri eletti la fedeltà assoluta, necessaria a garantire loro la prossima candidatura. Conseguenza non meno grave della soppressione delle preferenze è la circostanza, non evidente a tutti, che con le liste bloccate il fenomeno del voto di scambio si è trasferito dai singoli candidati, come succedeva quando c’erano le preferenze, ai partiti medesimi. Ed infatti i loro programmi altro non sono che la “captatio benevolentiae” del favore di intere categorie di elettori (per lo più pensionati, partite Iva, evasori fiscali), che saranno puntualmente gratificati dopo la vittoria elettorale dal governo che ne scaturisce: una sorta di voto di scambio collettivo con pagamento posticipato. Ulteriore conseguenza: i programmi di governo dei partiti privilegiano gli interventi a breve termine piuttosto che i progetti a medio o a lungo termine. Tra le cause di degrado della politica non imputabili ad errori dei singoli, ma all’onda quasi sempre irrazionale che nasce dall’indignazione popolare, va annoverata la soppressione del finanziamento pubblico dei partiti. In linea di principio è inaccettabile perché priva di risorse i partiti che rappresentano la parte più debole della società. Il rimborso delle spese elettorali nato in alternativa non ha risolto il problema.
Ma torniamo alle responsabilità individuali. Le prime elezioni dopo Tangentopoli, nel 1994, si disputavano per la prima volta col sistema maggioritario con correzione proporzionale, il famoso “Mattarellum”, varato a seguito di un referendum popolare che nel 1993 lo aveva premiato con la percentuale dell’82,7%. Esito comprensibile perché gli italiani erano giustamente stufi di vedere governi che cadevano l’uno dietro l’altro. Il nuovo sistema era peraltro bene accetto dal Partito Democratico della Sinistra, reincarnazione “laica” del vecchio PCI dopo la caduta del muro di Berlino, unico partito uscito indenne dallo sterminio di Tangentopoli. L’occasione per Occhetto era ghiotta perché, convinto non senza ragione di poter vincere le elezioni, pregustava forse di poter governare il Paese con la sua coalizione senza dover ricorrere ad ulteriori e scomode alleanze. E infatti la discesa in campo di Berlusconi alla testa del Polo delle Libertà e del Buon Governo, costruito in tutta fretta intorno alla sua creatura politica, Forza Italia, non preoccupò più di tanto Occhetto, che capeggiava spavaldamente l’Alleanza dei Progressisti in cui coesistevano i partiti di sinistra ed una parte dei sopravvissuti alla strage dei partiti di centro: l’alleanza berlusconiana era invece piena di contraddizioni interne, come ad esempio quella tra la Lega Nord, all’epoca secessionista, e Alleanza Nazionale, tradizionalmente nazionalista,
La certezza della vittoria indusse peraltro Occhetto ad una gravissima omissione: avrebbe potuto invocare l’ineleggibilità di Berlusconi in quanto concessionario di reti televisive, in base all’articolo 10 del D.P.R. n.361 del 1957, secondo cui «non sono eleggibili … coloro che … risultino vincolati con lo Stato … per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica» (fonte: Wikipedia). Non lo fece ed i ricorsi presentati dopo la vittoria elettorale di Berlusconi, di cui diremo, furono puntualmente respinti dalla Giunta per le Elezioni del nuovo Parlamento.
Continua …