Il quotidiano on line ilpost.it, che sembra porsi politicamente in una posizione non faziosa, ci offre l’occasione per dimostrare con evidenza palmare come la prima preoccupazione della stampa di destra non sia quella di informare i lettori bensì di imbracciare sistematicamente i kalashnikov puntandoli contro la sinistra. Il blog riproduce infatti, giorno dopo giorno, le prime pagine di oltre 40 quotidiani, nazionali e locali, ordinati grossomodo in ordine decrescente di diffusione. Si comincia dunque con “Corriere della Sera”, “La Repubblica” e “La Stampa” per proseguire poi con “Il Sole24ore”,“Il Fatto Quotidiano”, e così via fino a raggiungere la scuderia dei quotidiani nazionali come “Il Giornale”, “Libero”, “La Verità”, la cui mission editoriale è quella di screditare la Schlein, Conte, Calenda, quando se lo merita, i loro partiti ed ogni altro esponente di sinistra non appena se ne presenti l’occasione.
La prima pagina di un giornale è il suo biglietto da visita. Rivela innanzitutto se dà il dovuto spazio ai fatti di cronaca più importanti oppure dirotta l’attenzione dei lettori verso eventi del tutto marginali ma utili ad imbastire polemiche anche di bassa lega pur di gettare fango in campo avverso. Giova sottolineare che il tenore, sia nei titoli che nei contenuti, delle testate di tutte e tre le ultime testate sopra richiamate rimane identico tanto se i partiti da esse sostenuti sono al governo, quanto se sono all’opposizione. La loro vocazione è dunque costantemente propagandistica. Non dimentichiamo che la prima pagina di un giornale viene visionata anche da chi si ferma davanti all’edicola e non acquista niente. Deve quindi avere un forte impatto emotivo. Lo scopo di colpire il lettore è ovviamente presente anche negli altri quotidiani perché un titolo suggestivo spinge le vendite, ma un conto è enfatizzare un evento importante altro è sbattere sotto gli occhi del lettore un fatto minimo attribuendogli una portata capitale.
La prematura scomparsa di Michela Murgia può dare lo spunto ad un’analisi comparata delle prime pagine dei quotidiani a maggior diffusione e di due delle più significative testate dedite al killeraggio dei presunti avversari, politici e non, della destra ma anche alla diffusione di una cultura regressiva e repressiva, che è la cosa più grave.
Mentre la triste notizia è comparsa sulla prima pagina dei maggiori quotidiani nazionali dell’11 agosto, “La Verità” non ne faceva menzione dedicando l’intera pagina ad attacchi contro gli immigrati, gli ambientalisti, la magistratura ed anche Biden. Ma il giorno dopo trovava miracolosamente lo spazio per annunciare le esequie della “scrittrice di talento che si è persa nelle sue ossessioni”. Poco male.
“Libero” invece trova lo spazio l’11 agosto per dare la notizia in una prima pagina che non manca di lanciare le solite bordate lo trova anche il giorno dopo per commentare sarcasticamente: “Le nozze queer, ma per il funerale si torna in Chiesa”.
Degno corollario di questa breve rassegna stampa sono però gli insulti scaricati sulla Murgia quando era ancora in vita e senza escludere neppure il breve tratto successivo alla denuncia della sua malattia. Il quotidiano “Domani” del 14 agosto ce ne ricorda un discreto numero dal quale ci limitiamo ad estrarre i due più indecorosi. Per “Libero” del 21 novembre 2013 la Murgia faceva parte degli “sciacalli del ciclone” che si era abbattuto sulla Sardegna. Insulto guadagnato dalla Murgia che aveva avuto l’ardire di candidarsi alla regione! “Il Giornale” del 2 novembre 2018 la definiva, contestando l’invenzione del “Fascistometro” auspicato dalla Murgia nel suo libro “Istruzioni per diventare fascisti”, “la scrittrice che con la scusa di andare in TV a smarchettare i suoi libri, propala tonnellate di buonismo spettacolare, al contempo disgustoso ed esilarante”.
Dai tweet postati a cura di giornalisti irreggimentati nella stessa triade Giornale-Libero-Verità, estraiamo, scegliendo fior da fiore, quello di Filippo Facci (sì, proprio quello del clamoroso autogol che gli ha chiuso le porte della Rai, si spera definitivamente) nel quale la foto della Murgia è accompagnata dalla didascalia “Contro il cessismo”. E poi un paio delle gemme cui ci ha abituato Vittorio Feltri, oggi consigliere regionale in Lombardia, eletto nelle liste di FdI. A dicembre 2022 tweetava “Sapete perché la Murgia è così cattiva? Perché è brutta come una strega.” E non contento tornava un mese dopo sull’argomento ripetendo banalmente: “Michela Murgia non mi piace non per quello che dice o scrive (possibile? ndr) ma perché è brutta come l’orco.”
Neanche a Ferragosto “La Verità” lascia in pace la Murgia. In prima pagina oltre al solito durissimo attacco agli avversari (in questo caso nella persona del destituito presidente dell’INPS Tridico, grillino) ed ai catastrofisti ambientali, Belpietro titola: “Gli ipocriti difensori della Murgia la stanno tradendo”. Chissà quali capriole dialettiche l’ottimo direttore avrà questa volta inscenato per dimostrare una tesi denigratoria che ci guarderemo bene dal leggere.
Questo è dunque il tenore delle testate con le quali devono confrontarsi i maggiori quotidiani di informazione, definiti ironicamente “giornaloni” da chi ne invidia l’ampia diffusione. A metà strada si colloca il “Fatto Quotidiano”, il primo a capire che la stampa aggressiva si combatte con l’aggressività ma, in quanto espressione di un movimento, che è più utile aggredire tutti indistintamente.
A questo stato di cose ci siamo assuefatti negli anni dimenticando alcune elementari verità ed omettendo qualche doveroso interrogativo. In primo luogo, la triade Giornale-Libero-Verità vende, tra cartaceo e digitale, complessivamente (dati wikipedia risalenti al dicembre 2017) un numero di copie inferiore a quello della “Stampa” (110.241 contro 170.780) e addirittura pari a meno di un sesto di quante ne vendono “Corriere della Sera”, “Repubblica” e “Stampa” messe insieme, pari a 688.447. La situazione a sei anni di distanza non è mutata, sia pure in presenza di una flessione generale, e poco ci interessa sapere se e quanto siano mutati gli equilibri all’interno della falange armata perché prime pagine sarcastiche e contenuti sono praticamente gli stessi da anni e lo conferma il balletto delle poltrone: Vittorio Feltri alterna tre direzione del “Giornale” con tre direzioni di “Libero”, quotidiano da lui fondato; Alessandro Sallusti comincia col “Giornale” e prosegue con “Libero”; Maurizio Belpietro saltabecca tra “Giornale”, “Libero” e la sua creatura, “La Verità”. Il solo Senaldi, ultimo arrivato tra i direttori, non si è mai mosso da “Libero”. Hanno peregrinato a lungo anche molti dei loro più noti collaboratori che sono Stefano Zurlo, Nicola Porro, Mario Giordano, Filippo Facci e le nuove leve, il virulento Francesco Borgonovo, Alessandro Specchia, Fabio Dragoni, tutti affiliati alla “linea editoriale” dettata dalla destra.
Quest’ultima affermazione può apparire gratuita, ma se guardiamo ai personaggi che si sono succeduti nella proprietà dei tre quotidiani non lo è affatto. Il Giornale fu acquistato da Paolo Berlusconi in nome e per conto del suo illustre fratello e tuttora la proprietà rientra nel dominio della Mondadori, guidato dalla nipote Marina. “Libero”di cui Vittorio Feltri fu fondatore e primo proprietario è passato dal 2001 nelle mani di Antonio Angelucci, imprenditore della sanità, immobiliarista e politico oggi deputato eletto nelle liste di FdI (ma Belpietro e Feltri controllano tuttora il Cda). “La verità” è fondata nel 2016 da Maurizio Belpietro che ne è tuttora socio di maggioranza.La linea editoriale del giornale si ispirerebbe, come dichiarato dal suo fondatore, “a un modello di giornalismo liberale politicamente vicino allo spirito della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi nel 1994”. Chi l’avrebbe detto!
I quotidiani citati somigliano dunque ad organi ufficiali di partito, come lo furono nella prima repubblica “Il Popolo”, “L’Unità” e “L’Avanti”. L’attitudine a comportarsi come veri organi di partito è dimostrata da un recente intervento di Pietro Sinaldi il quale nel corso della puntata di “In onda”, trasmessa da La7 il 16 agosto, ha dichiarato, con riferimento al tema in discussione che riguardava il fine vita: “Noi di Libero abbiamo lasciato libertà di scelta in materia”. E a chi? Ai lettori o agli elettori?
A questo punto è però doveroso chiedersi come mai queste testate stiano avendo, ormai da anni, un effetto sul consenso popolare ben maggiore di quanto non lo fosse quello dei vecchi organi ufficiali di partito. Come si spiega che le coalizioni di destra degli ultimi decenni non abbiano mai conseguito risultati elettorali inferiori al 30%, o poco meno? Alle elezioni politiche del 2013, quelle che videro la prima affermazione dei grillini, il centro-destra conseguì il 30,72% al Senato e il 29,18% alla Camera, collocandosi in realtà appena un soffio sotto le percentuali del centro-sinistra vincente.
Può aiutarci a capirlo la circostanza, più volte rilevata dalle analisi del voto, che gli elettori di Forza Italia e della Lega sono meno istruiti rispetto alla media nazionale, non leggono il giornale e si informano, o credono di farlo, guardando la TV. Ed è proprio sugli schermi televisivi che la destra miete la maggior parte del consenso. Dalla discesa in campo di Berlusconi la destra ha potuto disporre di ben tre emittenti Mediaset e di due reti pubbliche quando andava al governo, riuscendo gradualmente a relegare il senso critico e la capacità di giudizio di milioni di elettori in un limbo dal quale sarà arduo se non impossibile tirarli fuori.
La normativa in materia di “par condicio” si è rivelata del tutto inadeguata. L’ultima riforma, la legge n.28 del 2000 dispone all’articolo 2, comma 1, che “le emittenti radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l’accesso all’informazione e alla comunicazione politica” mentre, al comma 2, chiarisce che “per comunicazione politica radiotelevisiva s’intende la diffusione sui mezzi radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche.”
Indicazioni molto generiche e quindi soggette ad interpretazioni unilaterali e a forzature. Come si applicano i concetti di imparzialità ed equità ai soggetti politici? E quali partiti o movimenti devono essere considerati soggetti politici? E quali sono poi i programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche? È chiaro che la vaghezza di tutti i parametri fissati dalla legge si presta alle più svariate interpretazioni e quindi ad una serie sconfinata di forzature.
La strada più semplice, sia per le tre emittenti pubbiche che per le reti private estranee al dominio Mediaset, è stata quella di invitare nei programmi di approfondimento e nei talk show un rappresentante per ciascuna delle parti in causa e ciò indipendentemente dal tema da trattare. E quale materia che interessi i telespettatori non è di interesse politico? Lo sono senz’altro l’immigrazione, il sistema fiscale, la salute pubblica. Su questi ed altri temi si sono innescati confronti “paritari” tra chi sosteneva l’utilità del vaccino anticovid e chi la contestava, e tuttora tra chi difende gli ambientalisti e chi contesta l’emergenza climatica. Una parità che però non riflette l’opinione della maggioranza degli italiani, elettori attivi o astensionisti che siano. Un pugno di no-vax, subito strumentalizzati dalla destra, ha avuto lo stesso spazio di chi si è responsabilmente vaccinato grazie anche alla presenza di esponenti della stampa di destra di cui si diceva, considerati opinionisti al pari dell’inviato del “Corriere” o del “Sole 24ore” che svolgeva il suo compito di cronista e non quello di alfiere di una presunta battaglia di libertà. E la cosa si va ripetendo puntualmente con tutte le tematiche oggi sul tappeto come i diritti civili, la parità di genere, la tutela dell’ambiente e l’equità fiscale.
I conduttori di queste trasmissioni, specie se in onda tutti i giorni, sono spesso complici inconsapevoli di questo squilibrio: nella migliore delle ipotesi come fa il conduttore anche più scrupoloso ed imparziale a prepararsi sull’argomento di volta in volta trattato, in maniera tale da poter contestare le esagerazioni ed anche le menzogne che vengono urlate da chi ha tutto l’interesse a sostenere le ragioni della fazione alla quale presta i suoi servigi? Nell’ipotesi più meschina al conduttore conviene anteporre al valore dell’imparzialità il successo della sua trasmissione, certificato dallo share.
Da questo stato di cose vengono fuori messaggi che non sono per nulla rappresentativi della visione che la maggioranza dei telespettatori e quindi dei cittadini ha delle problematiche trattate, come dimostra in questi giorni la distanza abissale che i sondaggi hanno misurato tra gli italiani favorevoli al salario minimo e chi li contesta, a partire dal Governo, con argomenti destituiti di ogni fondamento logico e statistico. Come uscire da questa situazione è, al momento, un semplice miraggio.