Travolti dalle vicende che stanno, giorno dopo giorno, avvicinando il Governo Meloni ad una sorta di Circo Barnum, con tanto di prestigiatori, acrobati, domatori di leoni addomesticati, clown (anzi pagliacci, direbbe Rampelli azzeccandoci in pieno) e tante altre attrazioni per il pubblico non pagante, per il momento, non ci resta che sorridere.
Sorridere della seconda carica dello Stato, il presidente del Senato La Russa che, vestiti finalmente i panni del magistrato, lui che di professione fa l’avvocato, ha assolto il figlio, Leonardo Apache, rapper con nome d’arte Larus (si deve capire o no di chi è parente?), da ogni colpa nei confronti della “squaw” che ha denunciato per stupro l’ultimo dei rampolli di casa La Russa, il terzo dopo Geronimo e Lorenzo Cochis.
Si può sorridere pensando che in quella casa ci si saluta col classico “Augh!”, si fuma il calumet della pace, mentre, molto più spesso, il capofamiglia dissotterra l’ascia di guerra. Apprezziamo però, sinceramente e quindi senza sorridere, la cura filologica del Senatore che ha apposto al secondogenito il nome di Cochis nella grafia americana corretta e non in quella adottata dal fratello di Al Bano, Franco Carrisi, in arte Kocis Carrisi anche lui cantante, presa in prestito da un celebre western degli anni ‘50, “Kocis, l’eroe indiano”, come ricordato da Sergio Pollina nel suo illuminante e appassionato intervento pubblicato ieri su questo giornale. Con lo stesso rigore linguistico La Russa avrebbe probabilmente gratificato ulteriori figli maschi con secondi nomi tipo Sitting Bull (Toro Seduto) e Crazy Horse (Cavallo Pazzo) mentre ad un eventuale sestogenito “indesiderato” avrebbe forse appioppato per secondo nome Drilled Condom (Preservativo Bucato), ispirandosi ad una divertente barzelletta ambientata in una famiglia di pellerossa.
Sembra, ma le cronache non lo dicono, che al Presidente del Senato abbia offerto, a mezzo telefono, la sua solidarietà Beppe Grillo per l’analoga situazione in cui lui stesso venne a trovarsi. Nell’occasione il comico genovese gli avrebbe anche proposto di entrare nella “Chiesa dell’Altrove”, confessione religiosa da lui fondata previa autopromozione da “Elevato” ad “Illuminato”. Trovandosi altrove sarebbe una gradita opportunità per chi volesse sottrarsi all’invadenza indecente della stampa libera.
L’“Altrove” è d’altra parte il luogo dove veleggia la premier quando succedono casini sul “patrio suol”. La Meloni ha già visitato mezzo “globo terraqueo” vestendo sempre i panni più appropriati al paese che di volta in volta l’ha ospitata, Vaticano incluso, ma sempre abbastanza appariscenti da colpire le telecamere. Si è mitigata nell’abbigliamento solo quando ha incontrato la Von der Leyen indossando opportunisticamente (pecunia PNRR non olet) un identico giacchino rosa pallido.
Le restano ancora tanti paesi da visitare dove intavolerà le trattative più bislacche per poi raccontarle in patria come successi senza precedenti: sta già preparando un adeguato ed esotico guardaroba, compresa una tuta mimetica che indosserà al rientro, per non farsi riconoscere nel caso qualcuno dei suoi irrequieti sodali abbia in sua assenza creato nuovi guai. Tra i sabotatori della pax meloniana, c’è poco da fare, primeggia per continuità il ministro Sangiuliano. Reduce da una finalmente decisa presa di distanza dagli eccessi sessisti di Sgarbi, il Ministro, presente in quanto componente della giuria (e ti pareva!) alla serata finale del Premio Strega, conversando con la conduttrice Geppi Cucciari ha detto: “Ho ascoltato le storie espresse nei libri finalisti questa sera e sono tutte storie che ti prendono e che ti fanno riflettere. Proverò a leggerli”. Invitando i lettori a visionare su YouTube il geniale commento della Cucciari, ci auguriamo vivamente che il Mministro dedichi effettivamente il massimo del suo prezioso tempo alla lettura di quei libri: oltre a lui medesimo ne beneficerebbero tutti ed in particolare la cultura.
Qualche sorriso, per la verità, ce lo hanno strappato anche gli illustri giuristi Giuliano Amato, Franco Gallo, Alessandro Pajno e Franco Bassanini che hanno rassegnato le proprie dimissioni dal Comitato tecnico istituito dal ministro Calderoli per la definizione dei LEP motivandole con l’esorbitante impegno finanziario richiesto per la loro realizzazione e con il ridotto spazio decisionale riservato al Parlamento. È stata dunque smentita l’ipotesi maliziosa, ventilata da alcuni, che avessero scoperto che LEP non era l’acronimo di “livelli essenziali delle prestazioni” bensì quello, più funzionale agli interessi di Calderoli, di “livelli esiziali delle prestazioni”. Molti però si sono chiesti come mai personalità di provata esperienza giuridica avessero accettato di partecipare a un organismo con finalità politiche così discutibili e divisive. La spiegazione più severa viene proposta in un articolo pubblicato dal quotidiano Domani. L’autore, Franco Monaco, riporta quella suggerita da Gustavo Zagrebelski nel suo ultimo saggio, “ovvero il degrado del profilo etico-civile di costituzionalisti troppo solleciti verso il potere di turno cui prestare il proprio servizio, limitandosi ad approntare la cassetta degli attrezzi”. Il presidente del comitato, Sabino Cassese non si è ancora dimesso e questo non fa sorridere.