Mescola un po’ d’insania alla tua saggezza: è dolce dimenticare nel luogo giusto.
Quinto Orazio Flacco
È di pochi giorni fa la notizia del ritrovamento di una necropoli di età ellenistica nella parte alta del rione Sanità a Napoli. Un gruppo di ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dell’Università di Napoli Federico II, in collaborazione con l’Università di Nagoya, ha utilizzato la radiografia muonica per ispezionare la presenza di possibili cavità nel sottosuolo e ha individuato la presenza di una camera funeraria sotterranea definendone la posizione tridimensionale. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports di Nature (1 vedi link). “La radiografia muonica è una tecnica che utilizza i muoni, particelle prodotte nella cascata che segue l’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre, per ricostruire un’immagine della struttura interna di un oggetto. Il principio è simile a quello delle radiografie, con il vantaggio di poter investigare oggetti molto più grandi e distanti dal punto di osservazione, per la maggiore capacità di penetrazione dei muoni rispetto ai raggi X.”
Naturalmente i tholos (tombe) scoperti non potranno essere riportati alla luce a causa della grande antropizzazione e inurbazione del sito, ma si continuerà a studiare l’eventualità di un semplice scavo di carotaggio per inserire una microcamera che ne riveli gli interni. Senza addentrarci oltre nei dettagli tecnici di questo meraviglioso prodotto dell’ingegno umano, il sito nel quartiere Sanità è stato scelto per l’indagine in quanto nell’intera area sono presenti altri sepolcreti dell’età magno-greca come Gli Ipogei dei Togatie“dei melograni”di via Santa Maria Antesaecula n°129 e l’ipogeo dei “Cristallini” nella via omonima al civico n°133.
L’area dei “Vergini” in particolare fu destinata a necropoli sin dalla fondazione di Partenope nel IX-VIII secolo a.C. Fuori le mura del perimetro urbano, nella vasta area sotto il colle di Capodimonte, si insediò la fratria degli Eunostidi. Le Fratrie erano un sodalizio politico-religioso di famiglie che credevano di avere un capostipite mitologico in comune, chiamato Fretore, e che partecipavano al governo della città (per approfondire l’argomento vedi Le origini di Neapolis » zonagrigia.it ). Gli Eunostidi erano, potremmo dire, gli specialisti della morte.
Il rito funebre nella cultura greca aveva una grande importanza. Dare sepoltura ai morti era uno dei supremi doveri dei greci, altrimenti la psyché – la parte invisibile che li accompagnava durante la vita e che usciva dalle loro bocche nel momento in cui esalavano l’ultimo respiro – non avrebbe potuto raggiungere l’Ade, il regno delle ombre. Prima di essere sepolto il defunto veniva lavato, unto con balsami e riposto in un sudario. Qui iniziava il rituale della pròthesis (esposizione). Ai lati del catafalco si disponevano le donne della famiglia e le prefiche (donne pagate per piangere e disperarsi). I cantori intonavano il thrênos (canto senza gioia) mentre il triste convoglio si avviava verso il luogo dove era esposta la pira (se cremato) o la tomba (se inumato).
Sembra abbastanza difficile immaginare l’attuale caotica Sanità come una dolce e solitaria collina affacciata sul mare lontano. Ebbene questo era lo scenario che avrebbero visto i nostri antenati 30 secoli fa. Come sappiamo, questa parte del centro antico è paragonabile ad un palinsesto, un antico libro dove, sulle stesse pagine, la storia veniva scritta e cancellata per scriverla di nuovo. La causa di queste “cancellazioni” è da ricercarsi nella stessa conformazione orogeografica del quartiere: un alveo di raccolta delle acque piovane che scendevano dalle colline sovrastanti (Capodimonte, lo Scudillo e Antignano) inondando la zona di detriti e fango e dando origine al cosiddetto fenomeno della “lava de’ Virgini”. Pertanto, queste tombe che adesso giacciono a circa 30 metri di profondità sotto i palazzi barocchi, all’epoca della loro costruzione si trovavano alla luce del sole.
I secoli passarono ed i mutamenti geologici finirono per seppellire i vari sepolcreti. L’area in questione si popolò e, dove per secoli aveva regnato la morte, fiorì un coloratissimo borgo extraurbano dove si svolgeva prevalentemente l’attività estrattiva del tufo. Nei secoli XVI e XVII il casale detto il Carmignano(per i vasti possedimenti della omonima famiglia nella zona) subì una vasta urbanizzazione a causa della crescente richiesta abitativa dei regnicoli inurbatisi nella capitale dalle campagne a causa delle carestie. La massiccia antropizzazione fu una tra le principali cause di contagio della pestilenza che nel 1656 si abbatté su Napoli mietendo oltre centocinquantamila vittime. Nell’ormai cresciuto quartiere, che i napoletani iniziavano a chiamare Sanità a causa della fondazione, nel 1577, del complesso dedicato alla Vergine della sanità, si usarono le vecchie cave di tufo sotto la collina per dare sepoltura alle migliaia di vittime del morbo rimaste insepolte. Nel XVIII secolo l’arteria urbana dei Vergini e dei Cristallini divenne strategica, in quanto l’unica percorribile per raggiungere il sito reale della erigenda Reggia di Capodimonte.
Dalla pagina web del sito dell’Ipogeo dei Cristallini ricaviamo il racconto della scoperta casuale degli ipogei: “Era il 1889 quando il barone Giovanni di Donato ebbe l’idea di scavare nella cantina del suo palazzo, che oggi prende il suo nome, in via dei Cristallini 133, per cercare acqua o tufo. Fece eseguire quindi dei lavori, ma trovò del vuoto sotto terra. Con estrema meraviglia scoprì le ampie sale dei quattro sepolcreti, riccamente dipinte, decorate ed arredate. Un vero tesoro di pittura e architettura ellenica funebre. Il barone, riconoscendo l’importanza del monumento, fece costruire una scala e un corridoio che portava alle porte d’ingresso delle singole camere. I discendenti del barone lasciarono il meraviglioso ipogeo dei Cristallini in eredità al nipote Giampiero Martuscelli che lo ha custodito, insieme al Rione Sanità ed agli abitanti del palazzo, con grande cura e senso di appartenenza”.
L’incredibile scoperta è stata non solo quella di portare alla luce i quattro ipogei ma anche il ritrovamento del corredo funebre: circa 700 pezzi custoditi per molti anni dalla famiglia Martuscelli insieme alla Soprintendenza di Napoli. I numerosi e meravigliosi reperti furono già utilizzati per allestire la sala del MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – per raccontare, appunto, le usanze funebri della Magna Grecia. Il lavoro di restauro e recupero pittorico del sito comprende anche l’esposizione di questa meravigliosa collezione oggi fruibile permanentemente al Museo Nazionale, come visitabili sono gli ipogei dei Vergini. Una felice sinergia tra privati e Sovrintendenza permette ai ragazzi del quartiere di fare da guida al monumento e consente di visitare il sito gratuitamente ai residenti nella Sanità. Esperimento formativo non isolato nel rione, una volta conosciuto per la piaga della camorra, che sta vivendo una vera rinascita nel segno dell’Archeologia. Una nuova micro-economia trainata dalla Cultura, che passa attraverso la valorizzazione dei tanti siti di straordinaria rilevanza storica, ma anche del piccolo artigianato, della gastronomia tipica e dalla spontanea napoletanità degli abitanti.