La fuga di Giacobbe verso Carran, per sfuggire all’ira di Esaù, non si dimostrò cosa da poco. Carran, che era stata la città natale di Rebecca, sua madre, distava circa 1200 chilometri e, per raggiungerla, bisognava dirigersi verso nord, attraversando Hebron, Salem (oggi Gerusalemme) e Ai.
Durante il viaggio, una notte, Giacobbe sognò una scala che collegava la terra al cielo. In cima alla scala c’era Dio che in quel momento suggellò con lui la successione dell’alleanza che a suo tempo aveva stretto con Abramo. Al suo risveglio, Giacobbe prese dell’olio dalla bisaccia e lo versò sulla pietra che quella notte gli era servita da cuscino, poi costruì un piccolo altare e diede a quel luogo il nome di bet’el (bethel) che significa “casa di Dio”.
Alcuni studiosi sostengono che Bethel si trovava nei pressi di Beitin, in Cisgiordania, mentre il libro della Genesi (28:19) ci dice che quel luogo un tempo si chiamava Luz, una città che gli archeologi pensano di aver identificato in alcune rovine di una città cananea risalente alla Media Età del Bronzo (circa 1750 a.C.). Il viaggio proseguì verso Sichem, poi la valle di Jezreel, Hazor, Damasco e, finalmente, Carran. Giacobbe era finalmente arrivato alla sua meta, aveva ritrovato buona parte della sua famiglia originaria, come quella di suo zio Labano. Labano aveva proprio una bella famiglia, alla quale Giacobbe si mostrò particolarmente interessato, come nei confronti di sua figlia Rachele, di cui presto si innamorò. Al momento di chiedere la sua mano, però, Labano pretese che questi lavorasse per lui, come pastore, per almeno sette anni, poi avrebbe potuto prendere in moglie Rachele.
Giacobbe lavorò duro e, finalmente, quando i sette anni furono compiuti, si recò da Labano per avere l’approvazione di poter sposare Rachele. Labano aveva già preparato il giaciglio per la prima notte. Al calare della sera Giacobbe vi si recò e trascorse, nel buio della notte, la sua luna di miele. Le prime luci dell’alba, però, gli riservarono un’amara sorpresa: Labano aveva messo nel letto, al posto di Rachele, la sua figlia maggiore Lia.
Chi di spada ferisce, di spada perisce, si usa dire. Ed è proprio quello che successe a Giacobbe, anche lui vittima di uno scambio d’identità, proprio come quello che a sua volta, tempo prima, aveva ordito nei confronti di suo fratello Esaù. Giacobbe protestò, ma Labano disse che, secondo l’usanza del luogo, era necessario sposare prima la figlia maggiore. Se voleva sposare anche Rachele doveva lavorare per lui altri sette anni. Giacobbe accettò, ritrovandosi marito di due mogli e pastore di un grande gregge che però, a questo punto, poteva in gran parte rivendicare. Durante i successivi sette anni, Labano, pian piano, si prodigò a sottrarre con l’inganno i capi migliori destinati a Giacobbe.
Era troppo! Non era più possibile restare. Giacobbe decise, contro il volere di Labano, di andare via e ritornare a Canaan. Alla partenza aveva con sé le sue due mogli, Lia e Rachele, e le loro ancelle, Zilpa e Bila, divenute nel frattempo anche sue concubine. Nel corso degli anni a venire, le quattro donne avrebbero dato alla luce dodici figli e una figlia. Lia avrebbe partorito sei maschi: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar e Zebulon, e una femmina, Dina. Bila, invece, due figli: Dan e Neftali. Zilpa, anch’essa due figli: Gad e Aser. Rachele, proprio come Sara, sarebbe risultata sterile. Anche questa volta l’intervento di Dio l’avrebbe resa poi fertile offrendogli la possibilità di dare alla luce due figli: Giuseppe e Beniamino. Dai dodici figli di Giacobbe sarebbero sorte le dodici tribù di Israele, anche se, come vedremo, sarebbero in qualche modo entrati in scena anche due figli di Giuseppe: Manasse ed Efraim.
Quando Labano scoprì che Giacobbe era partito, non poté sopportarlo e si mise immediatamente sulle sue tracce per fermarlo. Giacobbe, intanto, prevedendo la mossa di Labano, non aveva seguito la strada tradizionale, ma si era spinto su un sentiero diverso, lungo la Transgiordania. Lo stratagemma, comunque, non funzionò: Labano riuscì a raggiungerlo presso Gal-Ed (Galaad) e ad affrontarlo furiosamente. Dopo la lite, pian piano, il clima di astio si placò. Labano si rassegnò alla decisione di Giacobbe e, sul luogo, venne costruito una stele in ricordo della pace fatta.
Il viaggio verso sud riprese. Nei pressi del fiume Iabbok, Giacobbe fu testimone di un evento incredibile. Qui incontrò un uomo che, improvvisamente e apparentemente senza motivo, lo sfidò a lottare con lui. La lotta (qui il redattore della Genesi usa il termine ye’abeq (lottare)fondendo il nome di Giacobbe, Ya’aqov, e quello del fiume, Yabboq) proseguì per l’intera notte. Alla fine lo sconosciuto si arrese. Giacobbe comprese che il lottatore non era un uomo normale, forse era un angelo, forse Dio in persona.
Il misterioso “Essere” disse che da quel momento Giacobbe avrebbe assunto il nome di Israele (“colui che combatte con Dio”) e gli rivelò che la lotta che avevano intrapreso non era altro che una rappresentazione delle lotte che nei secoli successivi Israele avrebbe dovuto affrontare con l’obbedienza verso il proprio Signore. Giacobbe diede a quel luogo il nome di Peniel (“volto di Dio”) perché qui aveva avuto il privilegio di vedere “Dio faccia a faccia” (Genesi 32:31).
Giunto a Canaan, Giacobbe chiese a tutti coloro che lo avevano seguito lungo il viaggio di eliminare i monili dedicati agli idoli che avevano portato da Carran, compresi i pendenti che portavano agli orecchi. Gli archeologi credono di aver individuato, in questo passo della Genesi, un importante riferimento al fatto che diverse divinità assire o cananee avevano proprio la caratteristica di indossare, come ornamento, pendenti alle proprie orecchie. Un particolare, questo, descritto accuratamente in alcuni antichi documenti, come quello riportante una preghiera dedicata al re di Assiria Shalmaneser III.
La carovana era stremata. Giacobbe prese quindi a costruire nei pressi di un villaggio chiamato Sukkot (“capanne”) nella Balqa, in Giordania, alcune dimore approssimative per cominciare a ristorarsi, per poi realizzare delle capanne all’interno delle quali avrebbe sistemato il bestiame. Questo momento è ricordato ancora oggi in una delle più importanti feste ebraiche: la Festa dei Tabernacoli. Tempo dopo il gruppo si trasferì a Sichem con l’intenzione di stabilirsi in quel luogo in maniera definitiva.
Ma la pace durò poco: Dina, la figlia di Giacobbe, fu rapita e violentata dal figlio del re Hamor, sovrano del luogo, il quale in seguito, pentito del suo gesto, si offrì di sposare la giovane. Il matrimonio riparatore, però, non servì a placare l’ira dei fratelli di Dina, Simeone e Levi,i quali, armati di tutto punto, entrarono in città compiendo un vero e proprio massacro, vendicando così lo stupro subito dalla loro sorella.
Giacobbe fu costretto ancora una volta a fuggire, alla volta di Betel. Il viaggio questa volta si preannunciava molto rischioso perché Rachele, incinta di Beniamino, era quasi pronta per il parto. Infatti, la fatica sostenuta per il viaggio le risultò fatale. Nei pressi di un villaggio chiamato Betlemme (Bet Lehem), Rachele entrò in travaglio e morì, proprio mentre dava alla luce il proprio bambino, il quale però sopravvisse. Secondo diversi studiosi, il termine originale “Betlemme” potrebbe essere Beit Lachama, derivato dal fatto che in quel luogo, già dal III millennio a.C., sorgeva il tempio dedicato ad una divinità cananea: Lachama (o Lakhmu’).
Nel 2012, durante alcuni scavi a Gerusalemme, è stato rinvenuto un sigillo d’argilla (una bulla), ad oggi il più antico manufatto che fa riferimento a questa città, attestante il fatto che, nel VII secolo a.C., Betlemme era diventata un importante centro commerciale.
La morte di Rachele era stata devastante per Giacobbe il quale, a partire da quel momento, cominciò a rivolgere tutte le sue attenzioni nei confronti di uno dei due figli che l’amata moglie gli aveva donato, Giuseppe, al quale regalò anche una preziosissima e bellissima tunica. Giuseppedimostrò nel tempo di possedere una particolare facoltà: quella di visualizzare sogni premonitori. Un giorno raccontò ai suoi fratelli di avere avuto un sogno che sembrava presagire, in un prossimo futuro, un certo suo predomino nei loro confronti.
La gelosia dei fratelli giunse a un culmine tale che decisero insieme di eliminarlo una volta per tutte. L’occasione propizia si presentò quando tutti quanti, un giorno, si ritrovarono diversi chilometri distanti da casa per portare il gregge verso nord, nei pressi della città di Dothan. Al momento di attuare il piano criminale però, Ruben, figlio maggiore di Giacobbe, si ribellò ai suoi fratelli. Non poteva permettere che venisse versato il sangue di un loro fratello. Mentre si decideva sul da farsi, una carovana di Ismaeliti passò nelle loro vicinanze. Fatto non insolito, visto che Dothan sorgeva proprio nei pressi di una delle vie commerciali principali che collegavano la Siria al Mediterraneo. Il passaggio della carovana offrì ai fratelli di Giuseppe un’idea in grado di risolvere la cosa: avrebbero venduto Giuseppe come schiavo ad una delle prossime carovane in transito e, tornando a casa, ne avrebbero finto la morte.
La carovana successiva era costituita da mercanti arabi di Madian e si dirigeva in Egitto. I fratelli riuscirono nell’intento, vendendo Giuseppe come schiavo. Presero poi la tunica che Giacobbe gli aveva regalato e la intrisero con sangue di capra. Tornati a casa, mostrarono la tunica strappata e insanguinata a Giacobbe dicendogli che Giuseppe era purtroppo morto in un tragico incidente. Giacobbe cadde sulle proprie ginocchia disperato, piangendo forte e stringendo sul suo petto la stoffa del suo amato figlio, con il solo desiderio, adesso, di raggiungerlo nel regno dei morti dell’ebraismo antico.
Ottimo, mi ha affascinato.