Viviani, la gente e la città

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Raffaele Viviani ritratto da Vincenzo Gemito

Di Raffaele Viviani tanto si è scritto. Il genio self-made: poeta, scrittore, autore più affermato della nouvelle vague teatrale napoletana, precursore dell’espressionismo in scena, giusto tassello culturale che divide Scarpetta da Eduardo. Viviani fu amato dal pubblico e odiato dall’intellighenzia giolittiana prima, e fascista poi, per quel suo modo impietoso e sarcastico di raccontare la realtà napoletana. Ebbe un’infanzia e una giovinezza assai travagliate, dovendo lottare duramente per la vita e, insieme, per affermare la sua personalità artistica. Fino alla prima guerra mondiale lavorò nei caffè-concerto e nei varietà come macchiettista e dicitore di canzoni, creando una serie di personaggi ripresi dalla vita popolare napoletana. Poi la svolta, la decisione di formare una compagnia teatrale tutta sua dove dar vita ai propri lavori.

Con la miseranda scusa di favorire gli italici scrittori a scapito degli autori di opere minori dialettali, i critici di partito condannarono l’artista stabiese ad una sorta di damnatio memoriae, relegandolo nel limbo riservato ai “talenti locali”. Il termine sarcasmo ha dentro la radicesarx (dal greco “carne”) e veniva usato per indicare la punizione inflitta dal dio Apollo al sileno Marsia reo di averlo sfidato in una gara di canto. La scarnificazione come pena per la sua superbia (hýbris), lo scorticamento contro chi aveva osato sfidare gli dei. Mussolini non era certo Apollo, anzi, ma all’opera omnia vivianesca venne riservata la stessa terribile punizione.

Il pubblico borghese dei ruggenti anni Venti non apprezza la sua arte ed inizia ad accusare Raffaele di portare in giro le “vergogne d’Italia”, incapace di accogliere il messaggio di denuncia del drammaturgo che racconta di una Nazione che viaggia a due velocità. La stessa Napoli diventa metafora della frattura, della insanabile spaccatura che insiste nel suo stesso tessuto connettivo. Opera simbolo del periodo è “Toledo di notte”, un viaggio nell’universo notturno costellato di personaggi che sembrano appartenere alla “corte dei miracoli”, ma che in realtà rappresentano la grande maggioranza degli abitanti della città. Viviani “di quel popolo vive istintivamente rabbie e desideri, odi e miserie, lotte e speranza. Istintivamente: cioè con colpevole innocenza” (Pietro Gargano). L’allestimento scenico prevede sette scene, sette tappe in luoghi fisici, mentre la notte scorre cercando di ricacciare indietro la miseria umana dal solare salotto cittadino della via simbolo, Toledo appunto. La strada spartiacque tra due quartieri allora ultrapopolari: il rione della Carità (per gran parte abbattuto dai picconi fascisti) ed i Quartieri spagnoli.

Largo san Carlo, Raffaele D’Ambra – cromolitografia della serie “Napoli sparita”

Scritto nel 1918, all’indomani della sconfitta di Caporetto, quando il governo nazionale decise di tassare pesantemente gli spettacoli “leggeri” per disincentivare gli autori dalla produzione di opere che non fossero quantomeno “edificanti e utili al morale della Patria per lo sforzo bellico”, in un ritmo quasi cinematografico, nasce una pièce molto più vicina all’espressionismo tedesco de’ “L’opera da tre soldi” di Bertolt Brecht e Kurt Weill che alle pochade scarpettiane.

Caffettiere ambulante

Il caffettiere ambulante Leopoldo Colletta, novello Virgilio, scende con noi en enfer per mostrarci la sua realtà: prostitute e lenoni, guardie e ladri, cocchieri e viveurs, faticatori di mestieri oramai spariti, “cavalieri della luna infastiditi dalla luce che cercano un angolo scuro”, come scrisse Georges Villard per la sua “Valse Brune”, valzer che ispirò lo stesso Viviani per l’aria di Bambenella ‘e copp’ ‘e quartieri presente in questa opera teatrale (peraltro già discussa in un precedente articolo di Elio Mottola). Anche i luoghi assumono un valore nodale, Viviani percepisce gli umori della città, è infatti il primo intellettuale a capire che ogni rione, ogni via ha la sua declinazione, il suo dialetto, le sue peculiarità anche comportamentali. Lontano dalla retorica immagine patinata Napoli risulta essere la somma non l’amalgama delle sue parti. Microcosmo, cellula, tessuto mai veramente omogeneo, assolutamente mai un singolo corpo.

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