Quando la dea Ragione sonnecchia

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Scritta nella chiesa d’Ivry-la-Bataille, “Tempio della Ragione e della Filosofia” (periodo 1792-1794) (Fonte: MG – Opera propria, CC BY-SA 3.0, Wikimedia)

Se ci si guarda intorno, dobbiamo riconoscere che l’irrazionalità domina il nostro tempo. E non parliamo della follia che pure è presente da un bel po’ sia nelle piccole che nelle grandi vicende che affliggono l’umanità. Folli sono quei cittadini americani armati come Rambo che negli Stati Uniti offrono alle cronache una strage al giorno, spesso senza alcun movente se non, appunto, la follia. Non meno “spostati” sono gli autori dei femminicidi nostrani. Si direbbe che ogni Paese abbia una specifica follia omicida. Tutti questi disgraziati sono così poco razionali da andare incontro ad una sicura individuazione e all’arresto, conclusione alla quale si sottraggono solo quelli che, con un lampo di resipiscenza, preferiscono sopprimersi. E potremmo fare infiniti altri esempi di follia più o meno criminale circolante oggi sul pianeta, a partire dalla lotta alle Ong che governi italiani di destra ingaggiano per tener lontana l’immigrazione, mentre sarebbe ragionevole incoraggiarla non solo per ovvi motivi umanitari ma anche per compensare la denatalità.

Ma, mettendo da parte crimini e misfatti e tornando al tema dell’“irrazionale”, che logica c’è in quei politici che si candidano a cariche pubbliche spesso delicatissime pur avendo nella società civile posizioni prestigiose e ben retribuite? nella loro mente lucida e collaudata si annida evidentemente un genietto “malefico” che si chiama ambizione e li spinge a mettersi sulle spalle un carico di responsabilità così grande che prima o poi li vedrà soccombere: beati coloro che soffrono di una sconfinata mancanza di ambizioni! A meno che il passo verso la vita politica non sia dettato da autentiche motivazioni filantropiche con la prospettiva, quasi sempre illusoria, di un glorioso avvenire da salvatore della patria e la menzione nei libri di storia. Ma non si può escludere che anche questi eroi siano degli “scappati di casa”, come si dice oggi.

Eppure l’irrazionalità, ovvero il capovolgimento o l’assenza della logica, la troviamo anche in alcune convenzioni sociali alle quali intere popolazioni si sono assuefatte tanto da non metterle più in discussione. Il primo esempio che viene in mente è che in un globo terrestre dove distanze, pesi e capacità si misurano col sistema metrico decimale, di una semplicità disarmante (perché moltiplicare o dividere per dieci è un’operazione elementare), ci sono ancora intere popolazioni legate all’uso corrente di misure come la yarda, il piede, il pollice (non l’alluce, a rigor di logica più pertinente), libbre, once e tante altre, tra le quali esistono rapporti aritmeticamente irregolari, cioè non costanti. Eppure sono trascorsi oltre due secoli da quando, era il 1791, il sistema metrico decimale fu concepito dai rivoluzionari francesi e poi diffuso in tutto il mondo. Resta molto più giustificata la persistenza di unità di misura come “‘o parmo e ‘o ziracchio”, che usavano fino a pochi decenni fa gli scugnizzi giocando nei vicoli di Napoli con le loro monetine a “sotto ‘o muro” e tuttora adottato dai giocatori dilettanti di bocce e boccette: il palmo, come su tutto il territorio nazionale, era la distanza intercorrente tra il pollice e il mignolo tenendo le dita ben allargate, mentre lo ziracchio lo era tra il pollice e l’indice. Misurazione comunque molto discutibile perché condizionata dalla grandezza della mano utilizzata, le cui conseguenze non andavano oltre una possibile lite tra i giocatori.

L’adozione e la diffusione del sistema metrico fu dunque merito dei francesi che, non a caso, custodiscono presso il Bureau des poids et mesures di Sèvres il “metro campione”, pari alla quarantamilionesima parte (meno 0,2288 mm, per i pignoli) del meridiano terrestre valutato sull’ellissoide di Hayford. Malgrado ciò, sono proprio i francesi ad offrirci l’esempio più fulgido di irrazionalità. Neanche la figura di Cartesio, grande matematico francese al quale dobbiamo, tra l’altro, l’invenzione degli assi che da lui prendono il nome, ha voluto porre fine allo scempio che si consuma tuttora sul suolo francese. Di quale anomalia stiamo parlando? I francesi hanno l’identica numerazione universale solo fino al numero sessantanove: si sono rifiutati di arrivare al settanta e c’è dunque un buco che si prolunga fino al novantanove (perché poi il cento compare), ma si ripercuote su tutte le scale numeriche. Il settanta, con un’acrobazia comunque sorprendente, è stato sostituito con un suggestivo sessanta-dieci che faceva comunque sperare in un consequenziale sessanta-venti al posto del nostro ottanta e così via. Invece no: hanno inventato un incredibile quattro-venti che apre poi verso un quattro-venti-dieci per raggiungere il nostro amato novanta. Se si volesse passare dalle definizioni in lettere a quelle in numeri arabi, ne verrebbero fuori delle magnifiche espressioni algebriche del tipo: 75 = 3 x 20 + 15; 86 = 4 x 20 + 6; 99 = 4 x 20 + 19.

I motivi di questa anomalia risalgono alla civiltà celtica, che adottava un sistema “vigesimale” cioè fondato sui multipli del numero venti. La cosa andò avanti fino al Medioevo mentre solo nel ‘600 la numerazione francese assunse la forma definitiva che conosciamo. Forma peraltro in uso solo in Francia e non anche nelle altre nazioni francofone, come ad esempio il Belgio e la Svizzera. Sembrerebbe, come riferiscono alcuni studiosi, che il passaggio integrale al sistema decimale sia stato escluso per il solito orgoglio nazionale, l’irrinunciabile “grandeur” dei francesi. Il loro proverbiale sciovinismo non è forse espressione di una irrazionalità tollerata anche dall’illuminismo ma non per questo priva di una lieve “nuance” di follia? Non possiamo che compatire i poveri alunni d’oltralpe alle prese con l’esposizione orale delle tabelline.

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