Archeologia e Bibbia: Etemenanki, la Torre di Babele

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Resti di una ziggurat (Fonte: www.reddit.com/r/pics/comments/9hfsit/the_ruins_of_etemenanki)

Siamo giunti all’undicesimo capitolo della Genesi. È il tempo in cui “tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole”. È il tempo in cui l’uomo possiede la conoscenza giusta per costruire mattoni con l’argilla cotta al fuoco. È anche il tempo, però, in cui vediamo il desiderio cosciente dell’uomo di gareggiare con Dio. “Venite”, dissero gli abitanti di Babele, “costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra”.

È un’iniziativa che non sfugge agli occhi di Dio, il quale vede in questo progetto umano un ostacolo al Suo desiderio di espandere la propria benedizione su “tutte le famiglie della terra” attraverso quella che sorgerà in futuro come la nazione da Lui eletta: Israele. La Bibbia racconta di come “il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo” e delle modalità con le quali decise di intervenire. Non distruggerà questo grande progetto monumentale, ma confonderà la lingua di coloro che intendono realizzarlo in maniera tale che non possano più comprendersi tra di loro, sfaldando la loro desiderata unità linguistica e facendo crollare il loro sogno di unità politica e religiosa. Incapaci di comunicare tra loro, i costruttori dovettero necessariamente abbandonare la città, e si dispersero su tutta la terra.

Il nome “Babele” è, ancora una volta, un esempio di come l’autore biblico ami utilizzare termini che possano dare adito a doppi sensi. Il termine accadico bab-ili significa, infatti, “porta degli dèi”, da cui deriva probabilmente “Babilonia”, città fondata dagli Amorrei, una popolazione proveniente dalla Siria-Canaan, nel 1860 a.C. Ma balal in ebraico è utilizzato anche per indicare “qualcosa che semina confusione”, particolare che, probabilmente, ci fa intendere che l’autore lo usi per trasmettere l’idea che Babilonia, futuro nemico di Israele, abbia avuto origine dal caos.

Per comprendere la cornice nella quale collocare il racconto biblico dobbiamo partire dal ritrovamento di numerose statuette d’argilla, avvenuto nell’attuale Iraq e in Siria. La scoperta ci mostra quanto le civiltà dell’antica Mesopotamia siano state radicate nel culto di un pantheon di dèi, ognuno responsabile di un elemento collegato alle necessità agricole: Enki, per l’acqua; Utu, che governava il Sole; Ninhursag, la terra; Enlil per l’aria; Inanna per la fertilità. Il culto e i sacrifici, che venivano dedicati loro, avevano lo scopo di placarli e di renderli benevoli per ciò che riguardava le condizioni climatiche ideali per un buon raccolto.

Nel tempo, il culto vide la nascita di un ordine sacerdotale che aveva il compito di regolamentare le pratiche rituali secondo precise modalità. L’ordine dei sacerdoti acquisì col passare degli anni un forte potere. Documenti risalenti alla III dinastia di Ur narrano di un nucleo formato da 62 sacerdoti, costituito sia da maschi (Ensì) che da femmine (Nin), e della realizzazione di riti molto complessi, accompagnati da un coro e da un’orchestra di circa 180 elementi, rituali che, per essere svolti adeguatamente, richiedevano la realizzazione di particolari edifici. Nella città di Uruk, la dea Inanna era adorata nel Tempio dei Pilastri, mentre An, dio del cielo e delle costellazioni, era venerato nel Tempio Bianco, un edificio composto di più livelli. Fu questo l’impulso che diede vita a una nuova forma di impresa artistica: l’architettura.

Questo tipo di architettura pianificata si sviluppò quasi nello stesso periodo sia in Mesopotamia che in Egitto, ma con scopi diversi. A Saqqara, in Egitto, è stato portato alla luce un maestoso complesso di edifici concepito come un tempio funerario, con una piramide a gradoni alta 55 metri, dedicato al faraone Djoser. La piramide divenne poi un modello per i faraoni successivi. Gli esempi più significativi sono la piramide di Giza, vicino al Cairo, e le piramidi di Khufu (Cheope) e di Khafra (Chefren). In Mesopotamia, invece, l’architettura monumentale era finalizzata ad onorare gli dèi. L’epopea di Gilgamesh ci narra di Uruk come tra le prime città pianificate della storia, con strade, piazze del mercato, templi e giardini, circondata da mura e collegata al mare con un canale.

Tra il IV e III millennio questi santuari si svilupparono sempre di più con lo scopo di creare un ponte di collegamento tra gli dèi e l’umanità. In Mesopotamia le piramidi presero la forma di una serie di piattaforme a gradoni con una sommità piatta e accessibile attraverso una lunga scala esterna. Gli archeologi hanno ritrovato i resti di 32 ziggurat tra cui le più importanti a Baghdad e Nassiriya, in Iraq, e nella provincia del Khuzestan, in Iran. In alcune di esse sono presenti riferimenti astrologici, il che ci fa pensare che fossero usate anche per l’osservazione degli astri. La ziggurat di Ur, dedicata a Nanna, dio della Luna, è alta circa 25 metri, ed è stata ritrovata nei pressi degli scavi di Tell el-Mukayyar, vicino a Baghdad.

È plausibile che l’autore della Genesi abbia avuto in mente proprio le ziggurat mesopotamiche nel realizzare l’immagine biblica della Torre di Babele. Il complesso templare di Babilonia aveva il nome di E-sagila, “tempio che innalza il capo”, e l’Etemenanki, termine che significa “casa delle fondamenta del cielo e della terra” o anche “pietra angolare del cielo e della terra”, che era la principale ziqqurat della città di Babilonia, potrebbe aver fornito al redattore biblico l’ispirazione adatta ad elaborare sia una teoria che spiegasse l’origine trascendentale della molteplicità delle lingue, sia l’idea più calzante per promuovere il suo intento teologico: trasmettere, cioè, il principio fondamentale secondo il quale anche l’uomo, o la civiltà più potente, sono destinati al fallimento qualora i propri progetti non dovessero coincidere con i piani divini.

Continua …

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