Questi mondiali di calcio non finiranno mai di sorprenderci. Lo stupore, o forse l’incredulità, nacque già con l’inattesa designazione del Qatar come paese ospitante. Ci si chiese: possibile che tra tutti i paesi aspiranti la scelta della Fifa sia caduta su quello meno idoneo, sia come condizioni climatiche che come disponibilità di strutture sportive adeguate? Abbiamo poi seguito tutte le polemiche nate intorno a questo imprevisto evento e tutti i sospetti suscitati in numerose denunce della stampa mondiale su possibili fatti corruttivi. Ma non abbiamo digerito né la grave forzatura di spostare, per la prima volta, la celebrazione di questo rito collettivo nel tardo autunno boreale al solo scopo di incrociare la temperatura più ragionevole che quel Paese può offrire ai giocatori, al pubblico e ai turisti. E abbiamo dubitato che le ingenti quantità di energia necessarie ad assicurare il raffreddamento dei miliardi di metri cubi d’aria circolante negli stadi fossero effettivamente ad emissioni zero.
Alcuni comportamenti politici del Qatar ci hanno poi visti decisamente contrari a questa sconcertante designazione: l’appoggio al terrorismo islamico e la carcerazione degli omosessuali. Ugualmente inaccettabile si è rivelata, di tempo in tempo, la mancanza di un’adeguata protezione alla imponente manovalanza, per lo più di origine migratoria, impiegata per la costruzione dei sette stadi mancanti (un’inezia!) e delle altre strutture: l’assenza di valide misure di sicurezza avrebbe causato un numero impressionante di decessi sul lavoro valutato, dalle stime più accreditate, tra i 6.500 e gli oltre 10.000, una vera strage.
Date queste premesse, in famiglia eravamo partiti con l’idea, condivisa da molti, di ignorare del tutto l’evento, boicottando in tal modo sia il Qatar che la Fifa responsabile di questo scempio. Questa scelta drastica ma eticamente ineccepibile è durata ben poco: quando abbiamo gettato un occhio, quasi distratto, sulla partita Argentina – Arabia Saudita che vedeva a pochi minuti dal termine la nazionale “sunnita” in vantaggio ci siamo guardati increduli ed abbiamo anche pensato ad Allah. Poi ci siamo detti: vuoi vedere che questi mondiali promettono sorprese clamorose e magari uno scossone a questo business insaziabile che è diventato il calcio? E, per la verità, ci è parso che anche questa speranza fosse moralmente apprezzabile. Ci siamo quindi godute le vittorie dell’Iran sul Galles, del Marocco sul Belgio e della Corea del Sud sul Portogallo, della Tunisia sulla Francia e del Senegal sull’Equador. Forse l’inizio di una vera rivoluzione. Oddio, non tutti paesi terzomondisti ma che piacere veder crollare colossi del calcio europeo e sudamericano e che soddisfazione leggere l’umiliazione negli occhi di astri del calcio come Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. La prestazione incolore dell’asso argentino (indebitamente associato a Maradona che viveva in tutt’altra sfera) ed ormai sul viale del tramonto, come il suo rivale portoghese appena citato, ci ha fatto tornare alla mente quel vecchio film degli anni ’50 che aveva come protagonista un bel cane di razza collie. Adattandolo alla deludente prova dell’asso argentino ne abbiamo modificato il titolo in “Torna a casa Messi”.
Il nostro approccio alle gare si è ispirato, come sempre nelle competizioni sportive (e forse anche in quelle politiche, ahinoi!), al sostegno per i più deboli, se no che sfizio c’è. Sull’onda di questo sentimento abbiamo goduto per l’eliminazione del Belgio e della Germania. E ciò, malgrado la nazionale tedesca (unica tra i paesi “civili”) avesse coraggiosamente criticato il divieto della Fifa di manifestare dissenso nei confronti della politica del Qatar. Prendendo atto di queste clamorose esclusioni abbiamo pensato che la mancata qualificazione della nazionale italiana alla fase finale ci aveva forse risparmiato una figuraccia.
E così, partita dopo partita, siamo arrivati alla eliminazione dagli ottavi di finale della Svizzera, storica produttrice di cioccolato, malgrado la presenza in squadra di almeno tre giocatori di colore “fondente”. Attendiamo serenamente la conclusione sperando che il Marocco, unica squadra africana approdata ai quarti di finale dopo aver mandato a casa nientemeno che la blasonatissima Spagna, possa ancora ben figurare. Anche se, è inutile farci illusioni, molti calciatori di colore giocano in squadre europee e sono quindi pienamente integrati nel “sistema”. Ma aldilà di questa sconsolante considerazione, ciò che ci lascia perplessi è l’arbitraggio, spesso superficiale e quindi ingiusto: ci insospettisce soprattutto la concessione di sterminati minuti di recupero quasi sempre quando lo squadrone di turno è sotto.
Intollerabile è invece il comportamento dei cronisti televisivi che nel corso di noiosissimi commenti tecnici si accendono improvvisamente, quasi a comando, entrando in modalità “tifoso sfegatato” quando il grande campione segna un goal, magari anche banale, esaltandone le doti stellari e tessendone elogi che rasentano il disgustoso: una cosa inaccettabile per la sua evidente esagerazione, volta evidentemente ad eccitare gli animi degli spettatori più sprovveduti ed esposti. Dove è finita la compostezza di professionisti come Niccolò Carosio, Nando Martellini e Bruno Pizzul? Altrettanto inconcepibile è l’esibizione, da parte di buona parte di questi cronisti di dati statistici dei quali il povero spettatore non sente alcun bisogno. E così ci informano di quanti goal ha segnato di testa Cristiano Ronaldo e di quanti rigori ha parato Courtois, portiere del Real Madrid e della nazionale belga. Chissà, nelle prossime partite qualcuno di loro ci dirà che Mbappé, astro nascente del calcio francese, non ha mai segnato un goal di mercoledì e ce ne spiegherà anche il perché.