L’onestà intellettuale sembra una qualità in via di estinzione nella politica ed anche nelle file degli esponenti e degli elettori del PD. L’eventuale appoggio alla candidatura della Moratti alla presidenza della Lombardia viene da molti considerata incoerente. Ma incoerente con che cosa? Non certo con la candidatura di Casini a Bologna o con l’accoglienza alla Lorenzin accordata qualche anno fa. Forse con i valori storici della sinistra ormai smarriti? Oppure con l’attuale configurazione del partito? Come si può pretendere coerenza in un partito frammentato in correnti che sono risultate conciliabili solo in una proposta politica “al ribasso”, cioè sostanzialmente paralizzata dai veti interni e dunque avviata alla sconfitta?
Oggi il PD può permettersi come unico obiettivo quello di contrastare le forze di destra improvvidamente mandate al governo dall’isolazionismo dei 5 Stelle, che hanno regalato alla destra già la Sicilia e non si fanno scrupolo di farle dono anche della Lombardia e del Lazio, le due regioni più popolose del Paese. Perché il PD possa riguadagnare una posizione politica unitaria, in presenza della quale sarebbe intellettualmente onesto chiedere coerenza, ci vorrà del tempo, molto tempo e molto coraggio. Sono sempre più frequenti le voci che gli chiedono di accelerare la soluzione della crisi in cui è caduto, non solo per i suoi errori. Secondo i fautori di questa scorciatoia si dovrebbero al più presto indire le elezioni primarie ed individuare un nuovo leader (o una nuova leader) cui affidare l’ingrato compito di rilanciare elettoralmente il partito. Pia illusione fin quando il partito rimane un’accozzaglia di correnti o di potentati che fanno capo a persone diverse, con visioni diverse, con culture diverse. Per non dire dell’inopportunità di insistere sulle primarie che premiano, come si è visto con Renzi, il carisma personale e non la linea politica. Se il PD non si rinnova a partire dal programma politico è condannato alla irrilevanza.
Bene, dunque, un congresso rifondativo da cui emerga una piattaforma condivisa dalla maggioranza congressuale. E, poiché stiamo parlando della costruzione di una nuova identità, è prevedibile che una parte del partito (a cominciare dai renziani di Base Riformista) si dissoci e confluisca, ad esempio, in Azione, la neo-formazione politica del tandem delle meraviglie Calenda-Renzi.
I contenuti di questa nuova identità non sono di difficile individuazione: ambiente, lavoro, lotta alla povertà, diritti civili, europeismo. Ma non ci si potrà limitare a sbandierarli come fanno gli altri partiti: occorrerà definire come concretizzarli e renderli condivisibili dall’elettorato che si intende rappresentare e, cioè, da quello di sinistra e dalla larga fetta degli elettori delusi che disertano da anni le urne. Delineare un programma politico chiaro, leggibile e comprensibile a tutti richiede coraggio: si tratta di precisare come realizzarlo, come quantificarne i costi e dove trovare le risorse necessarie. Sarà dunque impossibile dribblare ostacoli imponenti come l’evasione fiscale, la criminalità organizzata, le rendite parassitarie, l’assenza di una imposta patrimoniale o sulla casa: tutte anomalie nostrane che hanno determinato sconfitte elettorali a chi si proponeva di affrontarle.
La formulazione di un programma chiaro e dettagliato nel quale si precisassero, ad esempio, a proposito dell’imposta sulla casa, l’entità, i limiti e soprattutto le esenzioni potrebbe tranquillizzare quei connazionali, costantemente allarmati dalla più bieca propaganda di destra, che la casa se la sono comprata con autentici sacrifici. Meglio ancora se si dicesse che gli introiti dell’imposta sulla casa andrebbero destinati alla sanità pubblica o alla lotta alla povertà o ad altro scopo solidaristico. Con identica chiarezza e congruità andrebbe spiegato ogni altro obiettivo. Una simile impostazione otterrebbe anche lo scopo, tutt’altro che secondario, di scoprire le carte dei 5 Stelle e di Azione, stanando gli esponenti che si professano “di sinistra” ma si sono sempre tenuti ben lontani dal proclamare ogni proposito che potesse allontanare sia gli elettori di destra che quelli di sinistra, condizione essenziale per potersi dichiarare “né di destra né di sinistra”. Quanto tempo occorrerà al PD, sempre che lo voglia, per darsi una nuova, più chiara e convincente fisionomia, capace di recuperare le fasce sociali abbandonate in balia delle scorribande della destra e del populismo in generale? Ogni previsione è rischiosa anche perché non si vedono al momento figure di leader capaci di sollevare l’interesse delle masse. Così come inquietante appare la condizione degli elettori totalmente disinformati dalla propaganda e dagli stessi media, anche quando non schierati a destra. L’unico aspetto positivo è che soltanto l’area politica e culturale della sinistra, quella vera, può vantare la presenza di intellettuali e tecnici in grado di contribuire in maniera valida e forse decisiva alla sua rinascita. Nel frattempo è improvvido fare gli schizzinosi e disertare le alleanze che lascino intravedere una sconfitta della destra. Lasciamo ai 5 Stelle e ad Azione il privilegio di guardarsi l’ombelico.