Per quanto fingiamo di aver dimenticato, la pandemia da Covid 19 e il connesso lockdown appartengono alla nostra esistenza e sono radicati in noi più di quanto siamo disposti ad ammettere. Molte analisi si sono fatte e si continuano a fare sul livello di profondità degli effetti di questi eventi sulle nostre vite; su questo argomento mi ha particolarmente colpito il libro di un docente: Vito R. Ferrone, Un anno in DAD, (pp. 202, €16,00, acquistabile online anche in formato e-book a €3,99).
Vito Rosario Ferrone, lucano d’origine napoletano di adozione, è docente di Chimica e Tecnologie chimiche nelle scuole superiori; perciò ha vissuto in prima persona le “tribolazioni” della fase in cui la scuola italiana ha sperimentato la DAD (Didattica a Distanza), con la quale la stragrande maggioranza dei docenti ha cercato “di dare una mano” o, per usare le parole del prof. Ferrone, «Con decisione risoluta siamo entrati nelle case dei nostri alunni e, mi piace pensarlo, ancora di più nei loro cuori.»
Non si pensi che Ferrone faccia una difesa corporativa della categoria dei docenti anzi … da subito dichiara: «sono per la conoscenza, per i contenuti. Per ciò che uno sa, non per ciò che pensa di sapere. … C’è troppa gente in giro che pensa di sapere, ma non sa e, quindi, insegna, dico ricordando Oscar Wilde». Nel suo libro – riferendosi continuamente alla propria esperienza con alunni, famiglie, colleghi, dirigenti e personale amministrativo delle scuole – offre un vivido spaccato di ciò che è stato il mondo della scuola nei momenti più problematici della pandemia. Parlando di quel periodo, Ferrone scrive: «È facile dire che c’è un vulnus, che la scuola chiusa è un vulnus. Profondo. Che problema c’è a riconoscerlo? È molto più comune e condiviso tra i docenti di quanto si pensi. La totalità dei professori che conosco è per la didattica in presenza. Sempre. E quindi? Si dovevano aprire le scuole ignorando il virus? Certo che le scuole devono essere aperte ma non era il momento. Era chiaramente il momento della responsabilità. … Noi prof, come tanti e ancora tanti lucidamente sensibili ai disastri e alle sciagure causate da questo stramaledetto virus, abbiamo coerentemente rispettato, e condiviso, una decisione dolorosa e del tutto emergenziale [la DAD].»
Attingendo al cospicuo bagaglio di esperienze personali, con misurata ironia, Ferrone narra i numerosi problemi affrontati dalla scuola in DAD, non risparmiando qualche argomentata critica alla complessa realtà scolastica che l’Autore ripetutamente dimostra di amare. Infatti, facendo il punto su cosa gli sia rimasto di un anno in DAD, il prof Ferrone scrive: «La mia sensazione forte e decisa è stata di non averli mai lasciati, i miei alunni, che la scuola non fosse mai stata interrotta. Ero lì, come sempre. E come sempre mi sono divertito e stancato.»
Mi sento di raccomandare la lettura del libro del prof. Ferrone ad alunni, genitori e personale della scuola (dirigenti, docenti, e personale amministrativo e tecnico) perché si tratta di un diario di un periodo difficile, di “una mescolanza di esperienze, di ricordi, di considerazioni e di riflessioni varie e variamente connesse”: sono pagine ben scritte, spesso ironiche, dal ritmo incalzante, redatte con profonda onestà intellettuale