Il vero vincitore

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La confusione che aleggia sulla scena politica italiana dovrebbe scoraggiare ogni tentativo di proporre un’analisi attendibile delle elezioni politiche e delle loro conseguenze. Ci provano in molti ma con esiti quasi mai convincenti. Possono risultare invece degne di un minimo di attenzione alcune semplici osservazioni “en passant”, che non pretendono di convincere nessuno ma semmai di suscitare qualche riflessione fuori dagli schemi abituali.

La prima di queste riflessioni spicciole è che, lasciando provvisoriamente da parte le responsabilità pregresse e una campagna elettorale a dir poco balbettante, non si può dire che il PD sia uscito sconfitto dalle urne. Aver ottenuto una percentuale di consensi superiore a quella delle elezioni del 2018 non è un risultato disprezzabile soprattutto se si pensa al fuoco incrociato che il PD ha dovuto subire dai suoi ex alleati Conte, Calenda e Renzi, ben più aggressivi nei suoi riguardi che non con la destra.

Ciò nonostante Letta ha riconosciuto l’insufficienza del risultato raggiunto ed ha immediatamente annunciato il suo ritiro. Non così Salvini, l’unico, vero sconfitto di queste elezioni e la differenza dei loro comportamenti la dice lunga, molto lunga, su che cosa significa essere di sinistra o di destra, almeno con riferimento alle categorie politiche tradizionali. A proposito delle quali non si possono non segnalare due fenomeni uguali e contrari: l’europeismo in zona Cesarini della Meloni e l’altrettanto repentina conversione a sinistra dei 5 Stelle di Conte (o di Grillo?).

Entrambe le inversioni di campo sono lo specchio di un opportunismo che ormai non conosce più limiti e che ha coinvolto anche la convergenza sfacciatamente improvvisata di Calenda e Renzi nella medesima lista elettorale. Il dietrofront della Meloni mostra, per la verità, anche un che di fuorviante perché durante la capriola non ha cessato di strizzare l’occhio a Orban e ai franchisti di Vox.

La giravolta di Conte è stata invece più risoluta e radicale: una sorta di folgorazione sulla via di Damasco che sa tanto di miracolo: come fa un movimento che orgogliosamente si definiva né di destra né di sinistra, col subdolo scopo di beccare consensi da entrambe le parti, un movimento che, per lo stesso motivo, non si è mai pronunciato sull’IMU, sulla patrimoniale, sull’evasione fiscale e neppure sulla mafia, a camuffarsi da vera sinistra? Sorge il dubbio che sinistra e destra siano diventate le due facce apparentemente opposte dello stesso fenomeno politico, il populismo.

Il populismo è ormai definitivamente l’arma vincente nel confronto politico, mostrandosi capace di abbattere in un momento storico cruciale il miglior governo degli ultimi quindici anni. E c’è poco da meravigliarsi perché di populismo è infarcita tutta l’informazione e segnatamente quella televisiva che solletica da anni, quotidianamente, la “pancia” degli elettori o, più esattamente, la loro “tasca”, che alla pancia è direttamente collegata. Da cui la promessa, alla quale ha dovuto piegarsi suo malgrado anche Draghi, “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani” che accompagna qualunque riforma in materia di fisco.

Ed in effetti i populisti non fanno altro che mettere soldi nelle tasche di una parte degli italiani: lo fece Berlusconi abolendo un po’ di imposte, lo fece Renzi con gli 80 euro ed i vari “bonus” concessi a prescindere dalla condizione economica dei destinatari, lo ha fatto Grillo con il reddito di cittadinanza che ha preso il posto del più modesto reddito di inclusione cui avevano messo mano, troppo timidamente, i governi Renzi e Gentiloni. Lo ha fatto anche Salvini proponendosi agli italiani forniti di “tasca” come fiero protettore dei loro interessi dall’assalto degli immigrati e dei rapinatori.

Ormai agli occhi della maggioranza dei nostri connazionali la politica è ridotta a mera elargizione di benefici, possibilmente immediati: sono anni che nei talk show di aprono feroci dibattiti sull’aumento del prezzo della luce e del gas anche se in percentuali irrisorie e comunque alla portata di chi la tasca ce l’ha, cioè del solito ceto medio che lamenta nell’intero mondo occidentale la riduzione del suo potere d’acquisto e quindi della sua capacità di partecipare ciecamente al sistema capitalistico in veste di semplice consumatore.

All’indomani delle ultime elezioni ci si domanda in primo luogo se il probabile governo Meloni, già populista di suo come tutti i sovranismi, soccomberà anche al populismo sgangherato di Berlusconi, che ha promesso protesi dentarie gratuite agli anziani e pensioni minime di mille euro, o a quello scapestrato della Lega che pretende uno scostamento di bilancio di 50 miliardi di euro, affiancandosi in questo alle richieste del M5s, o ad entrambi. Ma soprattutto ci si chiede se il vecchio PD in “articulo mortis” passerà il testimone ad una neoformazione populista per necessità o al partito vicino alle fasce più deboli della società, che attendiamo da un bel po’ di anni.  

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