Riserve e risorse

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Consumo di energia nel mondo (Fonte: Wikipedia)

In un momento storico come questo parlare della possibilità del nucleare per scopi pacifici, per produrre cioè energia elettrica, sembra quasi una stupidaggine ovvero una faticata inutile. Dubbi e perplessità sull’opportunità di questo scritto mi assalgono spesso, a volte feroci. Allora penso che la cosa migliore sia considerarlo, scrivere di nucleare, una provocazione e un’opportunità. Una provocazione intelligente per potere riflettere con attenzione e un’opportunità perché la politica abbia un segnale di concretezza. Va bene. Direi di proseguire. Vorrei adesso, in questo breve excursus su un argomento così complesso e impegnativo, scrivere dei costi e dei tempi e delle risorse del nucleare.

I costi per un reattore, per la sua costruzione, ammontano a tre miliardi. Euro più, euro meno. Naturalmente senza tasse né tassi di interesse. Che, ovviamente, fanno lievitare il costo. E parecchio. Perché non solo le tasse ma ugualmente gli interessi sui finanziamenti sono piuttosto alti. Un tasso a doppia cifra non è uno scherzo ― lo sa bene chi prima dell’avvento dell’euro ha dovuto comprare una casa dovendo accendere un mutuo ― anche se non sempre si arriva a tanto. Il motivo di questi tassi di interesse alti lo conosce solo il mondo della finanza. E qui si apre tutto il vaso di Pandora della mia ostilità nei confronti della finanza. Se fosse per me, se in mio potere, per prima cosa chiuderei tutte le Borse del mondo per un periodo indeterminato ma non breve e condannerei a una realistica per quanto non letale fucilazione tutti i Ceo dell’″universo creato″. Anche perché la devono finire di dettare i destini del mondo. E qui c’entra la politica. Cioè noi e chi dovrebbe avere la responsabilità di un destino comune. Del bene comune. Per favore niente pernacchie né sberleffi, vi prego. Perché il bene comune va costruito insieme e, pertanto, ciascuno di noi ne porta parte di responsabilità. Per quello che mi riguarda, la politica ― noi ― non possiamo e non dobbiamo farci asservire da luoghi dove il denaro si vende e si compra come se fossero passate di pomodori. O dove si mandano in rovina interi stati. Per cui fucilazioni ― va bene simulate, ma veritiere ― come se non ci fosse un domani. E ho detto tutto. O anche no. Perché in America, intesa come USA, si sono inventati un’altra bella pensata. Appena il nucleare diventa competitivo sul mercato dei prezzi dell’energia, le centrali devono investire in sicurezza. Ancora. Tu guadagni con la produzione di energia elettrica dall’atomo, benissimo aumenta la sicurezza dei tuoi reattori. Già sicuri. E che significa? Alla sicurezza come all’amore di mammà non c’è mai limite. Investi i soldi che guadagni in sicurezza. Vieppiù. Mi dite a quale industria, che magari produce fertilizzanti che ti fanno saltare il porto di Beirut e con questo mezza città, si impone una cosa del genere? Che naturalmente significa costi e ancora costi, e finanziamenti. Cioè interessi. Una vera schifezza. Alle centrali, da progettazione, sono imposti standard di sicurezza pazzeschi. Tipo una centrale deve resistere a un terremoto dieci volte ― dieci! ― superiore in magnitudo a quello più devastante di tutti i tempi in quella regione. Che uno si domanda con un terremoto così cosa cavolo resta in quella regione? Oppure, che la concentrazione di trizio nell’acqua da sversare deve essere cento volte, avete letto bene, cento volte, inferiore alla concentrazione dovuta perché l’acqua sia ritenuta potabile. Niente da fare, appena la produzione di energia diventa redditizia, più redditizia di altre, nuovi costi aggiuntivi. Mi sa che i petroldollari c’entrino assai con questa storia. Fortunatamente in Europa, con la Tassonomia, non ti obbligano a spendere in ulteriore sicurezza appena ci guadagni, con il nucleare pacifico.

I tempi. In Finlandia per costruire la loro bella centrale ci hanno messo un sacco di tempo: dodici anni. In Francia paese nucleare europeo per eccellenza una quindicina. Ergo non ci siamo, dirà qualcuno di voi, anche se, volendo, in entrambi i casi si tratta di due centrali di ultima generazione con tutte le innovazioni tecnologiche da ingegnerizzare e standard di sicurezza ancora più cogenti. Le cose soprattutto in Francia a un certo punto non sono andate bene riguardo ai tempi. Ma il motivo principale è stato un certo rilassamento da parte dei francesi sia nella ricerca sia nella volontà di costruzione di altre centrali. Hanno, se posso dire, saltato una generazione. Siccome però, i francesi, a mio personale giudizio, finiscono sempre per fare la cosa giusta, ricordando quanto un loro presidente ebbe a dire in un’occasione e cioè: “Non abbiamo petrolio, ma idee sì”, si sono messi sotto per recuperare il tempo perduto e con una programmazione degna di uno stato serio stanno recuperando. Ricordando anche che sono stati capaci, ai tempi della guerra del kippur, di costruire venti reattori in quindici anni.

Oltre all’Europa, mi permetto dire, ci sta anche l’Asia sul pianeta terra. Penso siamo d’accordo. La Cina ha costruito il suo ultimo reattore in cinque anni o poco meno. E non ve ne venite sostenendo che gli standard di sicurezza in Cina sono quelli che sono e che, perciò, hanno fatto presto: perché non hanno perso troppo tempo in sicurezza. Non è vero. Racconto. C’è stato un guasto in una centrale ― calma, di quelli che si riparano in quattro e quattr’otto e che non ha minimamente interessato il nocciolo del reattore, pertanto, niente fughe di radiazioni nemmeno per scommessa ― ebbene, lo hanno saputo rapidamente i francesi, perché il reattore era un loro modello, gli americani, perché la componentistica interessata al guasto era di loro produzione e, naturalmente, è intervenuta l’AIEA, organismo internazionale che opera sotto l’autorevole egida dell’ONU. Nel nucleare pacifico non esiste sicurezza che non sia internazionale. Non esiste nessuno sconto sulla sicurezza da parte di nessuno nei confronti di nessuno.

Giusto per saperlo, e magari capire quello che sta effettivamente succedendo, aggiungo che per il 2030 la Cina avrà 120 reattori in più, e per il 2050 hanno programmato la costruzione di ben 350 reattori nuovi.

Sempre in Asia, la Corea del sud ci ha messo quattro anni e mezzo per il suo reattore. Da quelle parti anche l’India è attiva parecchio. Come se non bastasse, esiste anche l’Africa nella geografia terrestre. In molti paesi africani lo stesso si stanno dando da fare per il nucleare di potenza. Forse perché la penetrazione della Cina in Africa è profonda, ampia e ramificata.

Non vorrei sembrare noioso ma la Cina nel nucleare ci sta investendo parecchio e ad ampio spettro. E interessa anche noi, come utenti o compratori, fate voi. Spiego. È la Cina che si sta occupando della raffinazione delle terre rare ― che non sono luoghi ameni e di singolare bellezza, bensì degli elementi chimici regolarmente presenti nella tavola periodica sotto il nome di lantanidi ― per i magneti delle pale eoliche. Le terre rare, poiché vengono praticamente tutti da vari decadimenti, danno allegramente luogo a scarti radioattivi che vanno messi in sicurezza. Sempre la Cina si interessa delle famose batterie di accumulo dove la fanno da padrone il litio, il cobalto e il nichel. Per i quali c’è necessità di un’accorta gestione delle radiazioni per i vari decadimenti. E ancora. Sia per i wafer di silicio, sto parlando del dispositivo che permette la conversione in energia elettrica dell’energia solare, sia per i magneti delle pale eoliche, dipendiamo dalla Cina. Avere a che fare, in una posizione di subalternità, con il Dragone del capitalismo di Stato, non mi pare una buona idea. Con una battuta: non è che passiamo dalla padella nella brace? Da un’invereconda dipendenza dal gas russo a una imprudente dipendenza dal “nucleare cinese”? 

Le scorte. Le riserve di uranio. Esistono due tipi di uranio. Uno più leggero e uno più pesante. L’uranio-235 e l’uranio-238. Sono lo stesso elemento dal punto di vista chimico non cambia nulla, dal punto di vista “fisico” il secondo presenta all’interno del suo nucleo ― ricordate il nucleo, vero? Posto al centro dell’atomo con particelle particolari: i neutroni e i protoni? ― tre neutroni in più, il che lo rende più pesante. In fisica o in chimica i due elementi si chiamano isotopi. Dal greco, “lo stesso posto”. Cioè i due elementi occupano lo stesso posto nella tavola periodica, dove sono elencati gli atomi di tutti gli elementi conosciuti, vale a dire sono lo stesso elemento. In definitiva gli isotopi sono lo stesso atomo con una massa differente. Come uno di noi prima o dopo una dieta, per metterla in un modo. Ora il problema è che se io bombardo, colpisco, con un neutrone l’uranio-238 niente succede (non è proprio così perché qualcosa succede sempre, ma diciamo che dal punto di vista del nostro ragionamento quello che succede non ci interessa); se invece con un neutrone colpisco un atomo di uranio-235, questo si rompe in due, cioè si ha la fissione di cui abbiamo parlato. La fissione produce un sacco di energia perché Einstein nella “Relatività speciale” si è inventata quella famosa equazione dove materia ed energia sono tra loro equivalenti, “scambiabili” con “un tasso di scambio” che è la velocità della luce elevata al quadrato. Cifre da capogiro in termini di energia prodotta. Non solo. La fissione dell’uranio-235 rilascia altri neutroni che colpiscono altri atomi di uranio-235, altra fissione altra energia altri neutroni, e la reazione diventa una “reazione a catena”. Il problema è che l’uranio-235 è raro, più raro dell’uranio-238 che della fissione non ne vuole sapere. Il rapporto è uno ogni centoquaranta, pertanto, per una reazione a catena i due isotopi vanno divisi e bisogna concentrare il 235 per creare una miscela, detta di uranio arricchito. Va da sé che una cosa è la concentrazione dell’uranio per uso civile, tutt’altra, totalmente altra, quella di una bomba atomica. Nel secondo caso, come intuibile, le concentrazioni sono molto, ma molto, più elevate e quindi quando bisogna togliere da mezzo bombe nucleari il problema del deposito per la conservazione è tremendamente più serio. Si tratta di uranio arricchito per esplosioni nucleari e non di combustibile esausto per produrre energia.

La domanda che molti si pongono è quanto uranio abbiamo come riserva mineraria per scopi pacifici? La risposta al momento è: grosso modo centotrenta anni al consumo attuale. Se raddoppi il consumo, la metà. Ma ormai abbiamo imparato che c’è sempre una possibilità e, nel caso in esame, la possibilità è non confondere le riserve di uranio ad oggi conosciute con le risorse possibili. I fautori di questa distinzione ci tengono molto e fanno esempi storici di nuovi giacimenti scoperti per esempio nel campo petrolifero: in tre occasioni sono state scoperte nuove importanti riserve di petrolio e il computo complessivo del petrolio che potevamo estrarre si è così quintuplicato. Lo stesso è avvenuto per il gas dove le quantità a disposizione sono notevolmente aumentate, rispetto a precedenti valutazioni sulle riserve, seppure non con lo stesso scarto quantitativo del petrolio. Ora io non so bene, però questa differenza fra risorse e riserve ha un suo fondamento non solo perché è già successo, e più volte, ma anche perché cambiano, rinnovandosi, le tecnologie di estrazione e, ancora, cambia la “penetrazione” delle indagini geologiche.

E poi, settanta, o anche sessanta, anni non sono affatto pochi perché il sogno di tutti, ma proprio di tutti, è la fusione nucleare che ci darebbe energia pulita senza nulla di pericoloso, o di preoccupante, per le persone e per l’ambiente. E ce ne darebbe quanta ne vogliamo. Un sogno. Per molti un’utopia.

Continua …

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