Ancora sugli esami di Stato

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E siamo ancora qua. Con il caldo che ci opprime e i nostri studenti che cominciano a realizzare che nella vita, e non solo in quella scolastica, gli esami si devono fare. Prima o poi.

Le tracce del compito d’italiano in generale erano più che abbordabili, e condividibili. Tranne Nedda, a mio convinto parere. Francamente mi è sembrata una cattiveria.

Due anni di pandemia con il suo carico di morte, di disagio sociale e sfascio di un’economia; la guerra in Europa che nessuno sa come andrà a finire, e già siamo sufficientemente nei guai per il problema energetico e per la questione del grano bloccato nei porti; la siccità che ha imposto razionamenti e conseguenze gravi sulla nostra agricoltura, solo Verga ci mancava.

Una disperazione senza fine e senza soluzione di continuità.

Credo di avere compreso il ragionamento dei dioscuri di viale Trastevere. Con tutto il trambusto che c’è stato in questi due anni e con un prevedibile ridimensionamento dei programmi a svolgere, certamente, hanno pensato coloro che vegliano sulla scuola pubblica italiana, i nostri baldi giovani, con i loro prof d’italiano, Verga lo hanno affrontato. Va bene, però!

Oltretutto c’è stata anche un po’ di confusione con il verismo, il non verismo, il neoverismo, l’accenno del verismo, e via dicendo. Perché sta’ Nedda non è proprio verista, per così dire. E poi incombeva, o anche no, come contrappunto Manzoni. Alessandro, e ho detto tutto.

Le altre tracce non erano affatto male. Mi riferisco in particolare a quelle sulla rete e la perdita d’identità, sulla diversità come discriminazione e sull’ambiente e della sua necessità di cura.

Solo che sempre nel paese della contraddizione, oltre che della polemica, permanente siamo. E quindi avere la necessaria cura dell’ambiente come giustamente indicato dal premio Nobel per la Fisica, il professore Giorgio Parisi nella traccia proposta, significa secondo illustri e dannosi sconosciuti uno spreco immondo di carta. Cioè di alberi.

Giusto per non infierire, ma per essere consapevoli, per una tonnellata di carta ci vogliono 15 (quindici) alberi; 440.000 (quattrocento quarantamila) litri di acqua; 7600 (settemila seicento) KWh di energia. Tanto che, se mai la pandemia avesse avuto un merito, paradossalmente, è stato quello di aver tolto le prove scritte, in particolare la prova di italiano, dagli esami del quinto anno.

Vorrei ribadire, se non si fosse capito, prima che qualche intelletò superiore e cretino cominci ad accusarmi di cose che non penso neppure lontanamente, che affrontare e svolgere con organicità e compiutezza un tema di italiano è obbligo morale, civile, educativo e formativo. Non si discute. Così come risolvere problemi inerenti alla sicurezza, alla quantità e alla qualità delle emissioni ovvero “progettare” un impianto chimico o biologico deve essere un atto dovuto e doveroso per i miei alunni, futuri periti chimici. Il punto è un altro.

Qualcuno che non è del mestiere, o che non ha mai fatto esami, non ha lontanamente idea di quante fotocopie sia necessario disporre per la prova di italiano. Non può. Quindi, illustro.

Per ogni alunno viene predisposto un fascicolo di un numero di pagine che varia di anno in anno ma che, in ogni caso, assomma a una decina di fogli fronte-retro. O perfino di più, di dieci. Proprio così: per ciascun esaminando bisogna preparare, ogni Commissione di esame in tutta Italia lo deve fare, un appropriato fascicolo. Perché? Perché, come saprete o intuito, il compito di italiano può esplicitarsi in un tema, diciamo, di attualità, e ci sta una parte del fascicolo fotocopiato ad personam che aiuta e indica; in un tema storico, con ovviamente la sua sezione nel fascicolo che aiuta e indica; in un saggio breve, con appropriate pagine fascicolate che aiutano e indicano; nell’analisi di un testo, e lì, nel famoso fascicolo opportunamente fotocopiato, tutto ciò che aiuta e indica per un’analisi degna di questo nome; in un articolo di giornale, e nel previdente fascicolo il giornalista in fieri troverà aiuto e indicazione.

La mattina del compito di italiano si scatenano corse, e non solo, da primato olimpico alla fotocopiatrice più vicina ovvero a quella più moderna ed efficiente. E perché il correre sia senza troppi intoppi o impedimenti, i più esperti fra i prof, come primo atto di loro precisa responsabilità, scelgono i ragazzi più capaci e attenti a testimoniare la corretta acquisizione telematica della traccia da parte del collega alla necessità preposto. Con tanto di nomina, sia chiaro.

Una volta che i testimoni hanno testimoniato, cioè firmato che nulla di sospetto è avvenuto allorché il portale del Miur ha permesso di scaricare i temi della prova, i prof scelti mollano tutto e tutti. Con una copia cartacea accaparrata dal sito ufficiale del Ministero, corrono verso le fotocopiatrici e i loro custodi.

Sono successi litigi epici e sono finite amicizie decennali in queste occasioni.

Non sorridete vi prego, perché se le fotocopie non arrivano comincia in ritardo la sessione di esame. Non ci crederete, ma ci sono state commissioni che hanno iniziato a far lavorare i loro ragazzi anche più di un’ora dopo, rispetto a chi aveva cominciato per prima. La scelta dei docenti per ottenere il famoso fascicolo in tempi ragionevoli è scelta decisiva, quindi, non solo complessa e meditata. Perché è indispensabile scegliere quelli veramente bravi ed esperti che conoscono approfonditamente, e senza tentennamenti, il valore dei propri ragazzi, responsabili insieme ai prof della corretta acquisizione delle prove d’esame indicate dal Ministero. Ragazzi ai quali ovviamente manca sempre la penna per firmare la testimonianza. E qui, il professore che sa ne ha almeno una che scrive. Poi, lo stesso insegnante deve conoscere bene il funzionamento delle varie fotocopiatrici e soprattutto sapere per ogni postazione chi è il fotocopiatore, perché fare fotocopie fronte-retro e fascicolarle senza ingarbugliare temi e fogli non è da tutti. Infine, il professore veramente esperto sa che è nei dettagli che si annida il diavolo, pertanto, porta con sé spillette e cucitrice.

Perché mica vuoi dare ai giovanotti e alle fanciulle fogli liberi, non spillati? Avremmo il caos. Primordiale. Un nuovo e più devastante Big Bang si abbatterebbe sulla scuola italiana. Il fatto è che è successo, e succede, che la cucitrice s’inceppi o che la carica di spillette sia esaurita ancora prima di incominciare. Ecco perché chi sa, e non si fida, porta con sé l’occorrente necessario. Così, se il diavolo ci mette la coda, lui è pronto e recupera interi quarti d’ora decisivi affinché i pargoli non comincino a diventare insopportabilmente insofferenti.

Dopodiché, dopo che il prezioso fascicolo è arrivato e distribuito, la docente d’italiano, sì di solito è una prof, cerca di dare una mano spiegando di cosa i temi trattano rispondendo, con una sicurezza che a volte non ha, alle domande di chiarimento e suggerendo comportamenti congrui.

Non ve lo dovrei nemmeno dire ma queste scene da avanspettacolo olimpionico si ripetono anche il giorno dopo, per le prove specifiche di indirizzo. Solo che in questo caso l’impegno cartaceo è nettamente minore. Ed è già un buon risultato per l’ambiente. Che si aggiunge alla felice decisione per cui la commissione non deve preparare più la mitica terza prova. Altra carta risparmiata!

La cosa che ti fa impazzire, a parte questo multiforme ambaradandi prove, è che tutto ciò pare proprio non serva o, comunque, non basti perché ti capita di sentire con frequenza allarmante i famosi esperti televisivi affermare, con cipiglio dolente e dovizia di particolari, che i nostri ragazzi, oltre alla matematica e all’inglese, non conoscono neppure la madre lingua.

Foreste devastate e legioni di analfabeti?

Alla prossima.

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