L’Italia, paese in continua campagna elettorale, ha appena scavalcato le amministrative ma sullo sfondo si affacciano già le politiche del 2023. Ogni partito ha potuto constatare che le oscillazioni del proprio consenso si misurano in termini di pochi punti percentuali o addirittura di decimi di punto. A questa calma piatta si sottraggono soltanto i partiti protagonisti di crolli verticali, come Lega e M5s, o di impennate ormai consolidate come quella di FdI.
In questa viscosità scoraggiante aumenta l’astensionismo in una misura crescente il che certifica un’allarmante disaffezione verso la politica. Che questo distacco sia dovuto alla delusione provocata dall’operato degli ultimi governi (a partire da quale, poi?) è indubitabile, tant’è che starsene all’opposizione porta consensi elettorali spesso sostanziosi: fu il caso della Lega all’opposizione del governo Monti e lo è oggi quello di FdI al governo Draghi. Solo il PD, che non entrò nel governo giallo-verde Conte 1, non lucrò un consistente vantaggio elettorale.
Esaminiamo dunque l’andamento dei consensi raccolti dal PD nelle più recenti tornate elettorali. Alle politiche del 2008 il PD conseguiva un risultato non malvagio (33,18% alla Camera e 33,69% al Senato) che lo collocò comunque all’opposizione del governo Berlusconi. Nelle successive elezioni del 2013 il PD arretrava al 25,42% alla Camera e al 27,47% al Senato, pagando evidentemente lo scotto di aver sostenuto il governo “lacrime e sangue” di Mario Monti. Alle ultime elezioni, a causa del fallimento su tutta la linea (politica fiscale, abolizione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, referendum costituzionale a dir poco dilettantesco) del governo Renzi, il PD scendeva ai minimi storici della sinistra: 18,76% alla Camera e 19,14% al Senato.
La parabola discendente del PD e l’attuale modesto recupero rilevato dai sondaggi ci dicono molte cose. La prima è che la partecipazione a governi tecnici, siano essi “di salvezza nazionale” o “di rilancio nazionale”, non paga. Un’opposizione ormai virulenta per definizione capovolge ciò che una minoranza più attenta definisce “senso di responsabilità verso il Paese” in “attaccamento vergognoso alle poltrone”. Anche la partecipazione al governo Conte 2, che si è trovato ad affrontare, pur tra molti errori ed ingenuità, la più grande emergenza nazionale dal dopoguerra, la pandemia, è stata aggredita da un’opposizione che ha cavalcato senza ritegno le posizioni no-vax e tutte le proteste delle categorie che si sentivano colpite dal lockdown e dalle restrizioni alle proprie “libertà”. In nessun paese della comunità europea si sono registrate così aspre contestazioni a provvedimenti inediti non privi di errori ma indubbiamente capaci di arrestare efficacemente i contagi. Per non dire del parlamento portoghese in cui le opposizioni, difronte alla gravità della situazione sanitaria, si dissero pronte a collaborare.
L’aver ottenuto i famosi stanziamenti del PNRR, merito del governo Conte 2 e del vigoroso sostegno del PD in sede europea, è ormai quasi dimenticato e chi sospetta che la caduta del governo giallo-rosso, provocata da quel discolo di Renzi, sia stato un colpo basso per scippargliene la gestione non può essere facilmente smentito. Che poi Conte non disponesse di una struttura tecnica adeguata a questo compito è altra cosa, ma è sotto gli occhi di tutti la inadeguatezza delle riforme varate o in corso di approvazione del governo Draghi, elaborate faticosamente sotto la pressione “ricattatoria” delle frange e dei personaggi più spregiudicati che dicono di sostenerlo. Ancora una volta la base più affidabile, più responsabile di questo governo è costituita dal PD e, cosa non trascurabile, da alcune formazioni che si collocano alla sua sinistra dimostrando così di anteporre il buonsenso alle convinzioni ideologiche.
Indagare le ragioni della sostanziale stabilità del consenso elettorale verso il PD è compito arduo nel quale gli stessi politologi non giungono sempre a conclusioni univoche. Ciò non toglie che anche l’elettore “storico” della sinistra possa e debba manifestare le proprie impressioni al riguardo.
Tra queste primeggia senza alcun dubbio il pesantissimo condizionamento dovuto alla discesa in campo di Berlusconi e del suo esercito mediatico. Durante le temporanee interruzioni del dominio berlusconiano, pensiamo ai due governi Prodi, è forse mancato il coraggio di mettere mano al conflitto di interessi, al ritiro delle concessioni accordate a Berlusconi dall’amico Craxi, alla modifica di leggi spesso ignominiose falsamente propagandate come conformi all’interesse nazionale.
Ma altrettanto dannose sono state le defezioni, irresponsabili e talvolta subdole, di personaggi come Bertinotti, Turigliatto e Rossi, innamorati di se stessi e, forse, dell’integralismo ideologico, che hanno portato alla fine anticipata del primo e, rispettivamente, del secondo governo Prodi. Alla caduta di quest’ultimo una mano, tanto ingenua quanto velleitaria, la dette anche Veltroni: privo di carisma personale e quindi di forza di attrazione e di trascinamento, partecipò alla definitiva sepoltura dell’Ulivo dando vita al PD, mentre il governo andava avanti faticosamente. Era il tempo di De Gregorio e Scilipoti, tanto per intenderci. In tempi più recenti l’ennesimo sabotatore, all’altezza dei precedenti, Renzi.
La mancanza di incisività del PD è un’altra costante. Anche oggi, nel governo Draghi, in cui le destre lo costringono col ricatto delle elezioni anticipate a digerire bocconi amari (riforme del fisco, della giustizia, della concorrenza decisamente annacquate a beneficio dell’elettorato di destra) occorrerebbe proclamare che le posizioni del PD al riguardo sono ben diverse e che saranno realizzate se gli elettori gli daranno maggior forza. Il tutto riconoscendo che il partito teme, per il bene del Paese, una vittoria delle destre in caso di elezioni anticipate. E cosa ci vuole poi a brandire con decisione le bandiere della difesa dell’ambiente (con i verdi ridotti a pochi decimali ed il clima palesemente impazzito) o quelle dei diritti civili, della solidarietà, del lavoro, del sostegno alle fasce più povere su cui incombe quella che molti definiscono la tassa più iniqua, l’inflazione? Con un po’ di coraggio e un’adeguata campagna di informazione, si potrebbe anche riproporre un’imposta patrimoniale, magari minima e temporanea, così come quella sulle successioni. Per non dire dell’europeismo che, aldilà delle divisioni emerse in materia di sanzioni alla Russia, accresce, proprio a seguito dell’invasione dell’Ucraina, la sua estensione geografica ma soprattutto politica a seguito delle richieste di ingresso di numerosi paesi, baltici e non, chiaramente timorosi di future aggressioni russe.
Quand’anche il PD volesse prudentemente tacere sull’introduzione di nuove tasse, quanto gli costerebbe evidenziare, anche brutalmente, che le destre stanno da anni proteggendo gli interessi di chi è ricco, vive di rendita e detiene privilegi ingiustificati se non, in certi casi, addirittura fraudolenti? Perché non condannare ostinatamente, per l’appunto, la contrarietà delle destre ad ogni nuova tassa, la preferenza per la flat tax che privilegia i ricchi a danno dei meno abbienti, l’opposizione feroce alla revisione del catasto degli immobili, la difesa delle concessioni balneari di durata pluridecennale ed a canoni irrisori ed, infine, il sistematico sostegno agli evasori fiscali che, sotto il falso ed ipocrita nome di “pace fiscale”, copre e mantiene in vita un malcostume fraudolento di dimensioni gigantesche?
Ma il PD praticamente non ha voce, non sottolinea né le iniquità propagandate dai suoi avversari né i suoi meriti, che pure esistono, soprattutto in termini di responsabilità verso il Paese. Forse perché al suo interno, con la sola eccezione di Renzi, poi rivelatasi illusoria, non c’è nessun trascinatore, nessuno capace di interloquire in maniera convincente con le folle. Non ci sono i Salvini, le Meloni, eredi di Berlusconi e della sua sconfinata faccia tosta, e non ci sono neppure quei giornalisti fiancheggiatori che trasudano faziosità sia sulla carta stampata che sui teleschermi. Tutto è pacato nel PD che pure vanta una schiera di politici comparativamente ben superiore a quella dei partiti concorrenti: Fabrizio Barca, Gianni Cuperlo, la Serracchiani, Fassino, Minniti, gli emergenti Elly Schlein e Giuseppe Provenzano, solo per citarne alcuni. Ma anche Gentiloni, Letta e tanti altri fuoriusciti dalla DC dopo Tangentopoli. Gente pulita e politicamente preparata ma di estrazione democristiana e quindi, ahinoi, impastata di pacatezza. Riuscirà questo PD ad attivare in tempo utile un flusso di consensi capace di contrastare le destre, prevedibilmente unite, alle prossime elezioni politiche? La risposta non può che essere negativa se non si risvegliano con risolutezza le pulsioni “di sinistra” latenti in una parte di quell’elettorato deluso e forse desideroso di uscire dal limbo dell’astensionismo.