Relativismo è una parola che ha assunto un significato progressista, ma con conseguenze spesso negative in prevalenza nei paesi occidentali, dove la smania fuorviante di totemizzare la libertà di espressione sfocia in pericolose e asimmetriche aspirazioni egualitarie. D’altra parte il termine “superiore” si presta a una caratterizzazione più contestuale che generale.
Come si fa a dire che un uomo solo, sperduto in una tempesta di neve a -50°, se la caverebbe meglio di un orso polare?! Per l’argomento che sto per trattare userei il termine “merito”, che mi sembra più appropriato, pur essendo, come vedremo, una qualità non ricercata ma emersa come imprevista conseguenza di un programma voluto per altri scopi. Come i pennacchi di San Marco, meravigliosa metafora della casualità espressa da Stephen Jay Gould in un famoso saggio, in cui delle strutture architettoniche nate per reggere una cupola delimitano degli spazi triangolari usati dagli artisti per decorazioni e bassorilievi.
Nessuno può negare che i progressi scientifici, culturali e civili che ci consentono di vivere meglio e più a lungo, in armonica interdipendenza (non perfetta, ma almeno c’è) che non conoscevamo dagli albori dell’umanità, sono nati e si sono sviluppati in Occidente. Pur riconoscendo che in passato altre culture (Cina, India, Arabia…) hanno conosciuto e sviluppato una scienza innovativa per l’epoca, solo l’Occidente è stato capace di dare un seguito progressivo e cumulativo a ogni conquista che rendeva la vita meno faticosa e più sicura. Qui è nato il motore a scoppio, che ci ha liberati dalla fatica nei campi e da molti usuranti lavori manuali, gli aerei, Internet, gli antibiotici, che ci hanno liberato dalle malattie infettive, principale causa di morte fino al 1945. La scoperta del DNA e delle sue strabilianti applicazioni, per non parlare della sintesi dell’urea da parte di Wohler nel 1828, che riuscì a ottenere il primo composto organico a base di azoto utilizzato come fertilizzante, che ha consentito di sfamare l’umanità intera per il suo potere di aumentare di molto la resa del raccolto, a parità di aree coltivate.
Come e perché queste capacità si sono sviluppate e concentrate in quest’area geografica è stato un argomento di studio e dibattito che ha interessato vari ambiti della conoscenza, dalla psicologia alla sociologia, passando per la geografia, l’ambiente e la storia. Il più interessante sembra l’argomento storico-biologico (proposto da Joseph Henrich, biologo evoluzionista di Harvard) condiviso da buona parte della comunità scientifica, che ha inciso profondamente sulla psicologia delle persone, inducendo un cambiamento di visione della realtà e di se stessi che non aveva precedenti. Un cambiamento che ha messo in risalto una forma di individualismo attivo che è cresciuto, senza interruzioni o sospensioni e riprese (come avvenuto in altre parti del mondo), fino ad esaltarsi con le scoperte della scienza durante l’Illuminismo.
Per millenni, dalla nascita dell’agricoltura (ma anche prima) che ha favorito i primi agglomerati urbani via via sempre più numerosi, le istituzioni e le organizzazioni sociali delle comunità si sono basate sulla parentela intensiva attraverso matrimoni tra cugini e la poliginia, ossia la possibilità dell’uomo di avere più donne, quindi più figli (più rara era la poliandria). E questo, nel gioco evolutivo, aveva la sua convenienza con una maggiore fitness. Un uomo, infatti, producendo spermatozoi fino a tarda età, può avere più figli da più donne. Una donna invece è feconda fino alla menopausa, c’è il tempo della gravidanza, l’allattamento e l’accudimento dei figli e ha perciò una ridotta produttività rispetto all’uomo.
Questo privilegio nelle società tradizionali era appannaggio prevalentemente degli uomini delle élite (gli imperatori avevano fino a 6.000 mogli!) creando così un eccesso di uomini in competizione. Si formarono così dei clan e dei gruppi patrilineari influenti che determinavano le norme istituzionali attraverso questa parentela estesa e attraverso l’alleanza con altri clan per mezzo di altri matrimoni. Le conseguenze culturali e psicologiche di questa società, in cui la competizione delle classi inferiori per salire la scala sociale era costante (perdurando al giorno d’oggi in certi contesti sociali e religiosi, seppure in forma attenuata), sono stati particolari atteggiamenti e propensioni nei processi decisionali e nelle motivazioni.
Questi indicatori psicologici sono: conformismo, obbedienza e deferenza verso l’autorità, maggiore sfiducia verso gli altri e diffidenza verso sconosciuti e organizzazioni o istituti, sviluppo di una moralità di tipo relazionale e distribuzione di responsabilità, colpevolezza e vergogna nel gruppo o nel clan. È quanto accade in molti paesi orientali dove questi orientamenti si manifestano anche con minori (o quasi zero) donazioni di sangue, case di cura per anziani inesistenti, meno depositi bancari e più contanti, con prestiti solo ad amici e parenti. Un conformismo che riduce l’innovazione e l’iniziativa personale, soffocando così il progresso in un’asfittica ampolla di sterile lealtà di gruppo. In tali aree queste condizioni sono durate fino all’inizio del secolo scorso quando il maggior contatto con l’Occidente ha portato alla progressiva e faticosa adozione di nuovi modelli socio-economici, tuttavia accolti ancora con molta diffidenza da vari strati della società, ispirando in altri atteggiamenti radicali spesso sfociati in un fondamentalismo di stampo terroristico.
La Chiesa in questi contesti ha aperto la strada a una nuova visione psicologica, favorendo l’indipendenza e l’individualismo e l’ha asfaltata con nuove istituzioni, portando più innovazione e quindi più progresso. L’occidentale (e accidentale nelle conseguenze) colpo di genio del cristianesimo è stato lo smantellamento di tutte le istituzioni fondate sulla parentela, sui gruppi e sui clan, e quindi il sorgere di una nuova moralità basata su una maggiore indipendenza e individualismo (libero arbitrio), una maggiore fiducia in sé e una moralità di tipo impersonale e universale (non relazionale) che è sfociata in una maggiore fiducia verso gli altri, estranei, individui anonimi, sconosciuti, nell’interscambio fiduciario e in una maggiore integrazione al mercato, favorendo così la nascita di istituzioni rappresentative democratiche e progressiste.
Scoraggiando la poligamia e il matrimonio tra cugini, quindi la competitività, la Chiesa ha determinato anche un importante effetto endocrino nelle persone, riconducibile a una riduzione del testosterone, quindi della competitività, dell’aggressività e dell’accoppiamento, caratteristiche delle società poligamiche. La conferma di una relazione diretta tra ridotta persistenza dei livelli di testosterone e tipo di psicologia la abbiamo nelle società monogamiche.
Si direbbe quindi che la Chiesa ha afferrato gli uomini per i testicoli, inducendo bassi livelli di testosterone quindi meno aggressività, attraverso il rallentamento delle connessioni tra la corteccia prefrontale (sede della pianificazione e delle decisioni, della personalità e del giudizio mentale) e l’amigdala, sede degli stati emozionali stimolati dal testosterone. Infatti con alti livelli di testosterone aumentano le probabilità di commettere crimini, fare uso di droghe, fumare, giocare d’azzardo. Viceversa attraverso una relazione stabile e una condivisione nell’accudimento dei figli si abbassano non solo i livelli del testosterone ma anche quelli del cortisolo, l’ormone dello stress, che scende fino al 20% rispetto alle persone non sposate.
Un merito che però la Chiesa, affrancando i fedeli dai vincoli e dagli obblighi parentali, si è fatto ben pagare attraverso donazioni e lasciti testamentari che l’hanno arricchita e portata ad essere la religione più diffusa. Ma ne è valsa la pena.