The final countdown

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L’invasione dell’Ucraina finirà prima o poi e ciascuno ha comunque diritto a farsi un’idea possibilmente equilibrata in proposito, con buona pace degli analisti politici di professione. Affidandosi al solo buon senso è possibile individuare già da adesso più scenari. Il più probabile, anche se non auspicabile, è che lo scempio in atto si concluda con l’annessione da parte della Russia, anzi di Putin, della parte orientale dell’Ucraina se non dell’intero Paese, che perderà così la sua indipendenza. Che Putin si accontenti di una vittoria parziale appare però poco credibile: senza entrare nel merito della tanto discussa corruzione sulla quale poggerebbe il suo ormai cristallizzato potere, Putin interpreta una visione arcaica, integralista e imperialista della Russia, non a caso unico Paese europeo che già prima della rivoluzione si era appropriato del titolo, dal sapore mistico, di Grande Madre.

Il risultato offerto da questo possibile scenario sarà, oltre ad un’Ucraina semidistrutta e ad una popolazione affamata, decimata dai lutti e dall’emigrazione, il capovolgimento di fatto dell’equilibrio geopolitico tra l’occidente europeo e la Federazione Russa in continua espansione: sarà difficile affermare che l’Unione Europea minacci la Russia e non, viceversa, che la Russia stia penetrando in Europa e nel Mediterraneo. D’altra parte chissà quante volte Putin, dando un’occhiata alla carta geografica, avrà pensato che l’Europa occidentale altro non è che una minuscola appendice ingiustamente estranea a quell’immenso continente che è l’Eurasia.

Potrebbe però profilarsi anche una prospettiva più catastrofica: un conflitto allargato dal quale sarebbe difficile tenere fuori l’uso dell’arma nucleare. In un suo recente intervento su la Repubblica, dal titolo “Il narcisismo bellico di Putin”, il noto psicoanalista lacaniano Massimo Recalcati sostiene che l’autocrate russo appartiene alla categoria dei narcisisti paranoici i quali, incapaci di elaborare il lutto, rigettano la responsabilità del dolore sofferto e della perdita subita sullo straniero promuovendolo al ruolo di nemico: nel caso di Putin il lutto sarebbe causato dalla scomparsa dell’Impero zarista e dell’Unione Sovietica che ne prese il posto dissolvendosi poi per l’attrazione fatale esercitata dalle democrazie occidentali sugli ex paesi satelliti divenuti quindi indipendenti. Ora, l’allarmante conclusione cui giunge Recalcati è che in queste forme di paranoia coesistono sia la distruttività che l’autodistruttività, per cui il ricorso alla bomba atomica in caso di allargamento del conflitto non può essere escluso. E, come tutti sappiamo, la declinazione in senso nucleare della guerra mette a rischio la nostra sopravvivenza sul pianeta. Naturalmente nulla ci garantisce che l’ispirazione “lacaniana” di questo giudizio sia quella giusta: magari uno psicoanalista junghiano o un freudiano riterrebbe Putin semplicemente un essere senza scrupoli, patologicamente assetato di potere.

Intanto la guerra convenzionale sta incidendo pesantemente sull’altra minaccia che incombe sul pianeta: le esplosioni, le bombe, le incursioni aeree continue, gli incendi, i danneggiamenti di gasdotti e depositi di combustibili allontanano l’obiettivo di ritardare il surriscaldamento dell’atmosfera. Vi concorrono, in via indiretta, anche l’incremento del consumo di petrolio e di carbon fossile cui le economie vanno assoggettandosi per sottrarsi alla dipendenza dal gas russo. La sostituzione con le fonti rinnovabili non appare dietro l’angolo, ma richiede un tempo superiore alla durata della guerra che tutti ci auguriamo di breve durata.

Riguardo alla conservazione delle condizioni climatiche ed ambientali che rendono vivibile la Terra, torna utile richiamare quanto Umberto Galimberti, filosofo e psicologo di larga fama, va ripetendo ormai da anni in ordine alla gravissima, decisiva responsabilità della religione giudaico-cristiana nello sfruttamento scriteriato della natura. A suo avviso la narrazione della Creazione che ci propone la Bibbia assegna all’uomo il ruolo di dominus della natura che lo circonda, creata apposta perché possa goderne i frutti. La visione biblica, dice Galimberti, sconvolge il rapporto dell’uomo con la natura così come la concepiva e percepiva la civiltà ellenica, cioè come un grande e sacro scenario cui era dovuto il rispetto sia degli uomini che delle stesse divinità. Tale è dunque la premessa che ha gradualmente portato allo sfruttamento abnorme delle risorse terrestri (premessa che va peraltro coniugata con l’altro precetto biblico: crescete e moltiplicatevi).

Riuscirà un’umanità in declino etico e culturale a rallentare la corsa verso le catastrofi che l’attendono o continuerà, sull’onda di una globalizzazione che appare inarrestabile, ad invertire la tendenza o almeno a ritardarne le conseguenze? Difficile dare una risposta affermativa visto che il protagonismo dell’uomo proclamato dalla religione giudaico-cristiana ha coinvolto anche le altre grandi religioni del pianeta ormai interamente occidentalizzato nei costumi e nelle dinamiche del capitalismo.

Non solo dunque le guerre atomiche, sempre dietro l’angolo, ma anche i cataclismi naturali un po’ più remoti fanno paura e lasciano immaginare un’angosciante estinzione di un genere umano che, per la verità, poco conserva di umano. E non dimentichiamo i meteoriti che circolano nelle galassie e potrebbero accidentalmente centrare la Terra. Insomma l’umanità sta messa peggio degli ospiti del Titanic che almeno ballavano e si divertivano ignari di quanto il caso stava loro preparando. Noi invece conosciamo le minacce e dovremmo fare l’impossibile per eluderle o almeno rinviarle, a partire da quelle più prossime come un conflitto nucleare. Diversamente arriveremo a quel “The final countdown” portato al successo in tutto il mondo nel 1987 dagli “Europe”, che limitava però il frettoloso abbandono della Terra a una coppia di innamorati. È più realistico pensare invece che sarà una manciata di miliardari a lasciare il pianeta cercando una salvezza, provvisoria, su Marte.

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