Solo qualche settimana fa l’Unione Europea, anche se non all’unanimità, ha deciso che, per riuscire a raggiungere l’obiettivo di ridurre l’emissione nell’atmosfera di gas serra, sarebbe stato necessario procedere velocemente alla decarbonizzazione nei processi di produzione di energia. Per sostituire l’uso del carbone come carburante si è deliberato che il ricorso al gas naturale e alle centrali nucleari sarebbe stato considerato, sia pur come scelta transitoria, compatibile con la più generale svolta ecologica.
Sotto la pressione delle armi, visto che il gas che arriva in Europa proviene principalmente dai giacimenti russi, si sta rapidamente tornando indietro, anzi ad un punto ancor più arretrato: l’Italia ha deciso di sostituire il carburante gassoso con il carburante solido, il vecchio carbone.
Certo i nostri governanti, nazionali ed europei, hanno ancora una volta mostrato la loro totale incapacità di programmare il futuro e in poche settimane rimettono in discussione le proprie decisioni spinti dall’evidenza commerciale dell’insostenibilità di una così forte dipendenza da fonti energetiche da un paese “improvvisamente” diventato il nemico numero uno. Le questioni che queste decisioni sollevano sono tante e di diversa natura.
Era il 1776 quando veniva pubblicato il testo di Adam Smith La ricchezza delle nazioni. Tra le tante tesi esposte in questo testo fondamentale nella storia del pensiero politico ed economico, una ritorna ad avere una incredibile centralità. La tesi, semplificando, è la seguente: è necessario riconoscere l’utilità di una divisione del lavoro tra le nazioni; se un paese, per condizioni climatiche e naturali oltre che sociali e culturali, si mostra in grado di produrre un determinato bene a condizioni e prezzi migliori, oltre che con risultati qualitativi ottimi, è interesse di tutti non provare a fargli concorrenza a condizione che si costruisca e si mantenga in vita un sistema che favorisca lo scambio della ricchezza derivante. Attualizzando la tesi smithiana dovrebbe essere considerato inutile e dannoso ricercare gas in altri giacimenti, con costi aggiuntivi, solo per rendersi indipendenti dalla Russia, mentre sarebbe utile investire il surplus prodotto grazie all’utilizzo del gas a basso costo in altre tecnologie per sostituire la fonte energetica considerata oggi inquinante. Seguendo Smith, gli eventuali risultati conseguiti grazie all’investimento in ricerca e sviluppo dovrebbero però essere resi disponibili nel mercato consentendo anche ai vecchi fornitori, in questo di caso di gas, di poter accedere alle nuove tecnologie. Insomma il contrario delle oggi tanto in voga tesi sovraniste. Quella di Smith è una tesi sviluppata in un contesto mercantilista, prima ancora che capitalista. La sua è una tesi a-valoriale, visto che i “vantaggi competitivi”, la suddivisione del lavoro tra le nazioni non consideravano per esempio se nella produzione di beni venissero utilizzati schiavi o lavoratori ben pagati, se nelle miniere lavorassero bambini donne o anziani e, in genere, quali fossero le condizioni di vita delle popolazioni.
Il sistema di produzione capitalistico si basa su un altro principio, la trasformazione del lavoro in merce, attraverso quel processo ben descritto da Karl Marx in diversi scritti e sintetizzato in Lavoro salariato e capitale. Il capitalismo moderno ha una straordinaria arma in più rispetto alle società puramente mercantiliste: la possibilità di intervenire nei processi produttivi con le innovazioni tecnologiche. Al tempo stesso è quotidianamente sotto i nostri occhi che non viviamo in un sistema di relazioni commerciali e politiche internazionali libere da ideologie e con le armi riposte in forzieri chiusi a chiave con doppia mandata. L’Unione Europea nella sue scelte è stata poco lungimirante sia negli anni precedenti, perché non ha saputo usufruire degli oggettivi vantaggi che aveva acquisito dalla fornitura del gas russo investendo adeguatamente nella ricerca di fonti energetiche alternative, sia perché ha poco curato le relazioni con il suo più prossimo vicino così prezioso per i propri interessi economici ed industriali, sottendendo sempre la possibilità di una contrapposizione di campo riaffermando di continuo la sua fedeltà al Patto Atlantico, all’alleato USA.
In questo scenario la guerra in Ucraina, con la conseguente rottura dei rapporti con la Russia, è una iattura che rischia di ostacolare un percorso ancora tutto da iniziare. Il sistema ideale teorizzato da Adam Smith si fondava sul principio essenziale che, a fronte di una specializzazione in un settore, doveva corrispondere una specializzazione su un altro. Il piano europeo post pandemia aveva, sulla carta, la grande ambizione di riorganizzare l’economia europea avendo come asse strategico quello di una riduzione dell’azione aggressiva a danno dell’ecosistema che hanno le attività umane, nella produzione e nel consumo. Si trattava di essere “fantasiosi”, di avviare processi innovativi, di investire in ricerca e sviluppo per garantire un graduale e definitivo passaggio ad una economia green.
Si è scelta invece la strada più semplice ma di corto respiro. Una incapacità progettuale che ha reso ciechi anche nell’analisi del contesto internazionale. Se è ammissibile che ad un semplice cittadino la guerra in Ucraina possa apparire come un evento inaspettato, magari frutto della “pazzia” del suo dittatore, non è ammissibile che lo stesso atteggiamento lo abbia avuto il Governo dell’Unione Europea, a sua volta condizionato dalle scelte dei governi dei singoli stati membri.
Nella stessa deliberazione si è indicata come utile, auspicabile, finanziabile la possibilità del ricorso all’energia nucleare quale fonte energetica prioritaria, almeno in una “fase transitoria”. Evidenziamo che il termine transitorio ha una legittimità, può essere utilizzato, solo se è chiaro l’obiettivo concreto che si vuole raggiungere mentre si è invece posta la questione dell’uso dell’energia nucleare senza dir niente verso quali diverse fonti ci si volesse indirizzare, quali altri fondi per la ricerca o per la realizzazione di impianti industriali diversi si sarebbero messi in campo. Una efficace progettazione e programmazione industriale – in particolare quando le risorse finanziare da investire sono cospicue, i tempi previsti per realizzare le opere sono medio lunghi, come nel caso delle centrali nucleari – deve essere in grado prefigurare con la maggiore approssimazione possibile gli scenari economici, tecnologici, sociali e politici per un tempo almeno pari a quello necessario per ammortizzare, recuperare l’investimento effettuato. Le centrali nucleari in alcuni paesi, compreso il nostro, sono state messe al bando per delle motivate e concrete ragioni, e gli interrogativi posti dagli oppositori all’utilizzo dell’energia nucleare sono stati del tutto ignorati dai decisori europei. Rivediamole queste ragioni con uno sguardo al nostro presente: a) la difficoltà di progettare una centrale a “rischio zero” dal punto di vista del suo funzionamento (guasti ed errori umani); b) l’imprevedibilità di eventi naturali che potrebbero annullare le misure di sicurezza (si veda il disastro nucleare di Fukushima in Giappone, causato da un terremoto e dal conseguente maremoto); c) la fragilità delle centrali nucleari derivante dal fatto che sarebbero un obiettivo militare strategico troppo esposto ad attacchi di forze armate sia “regolari” che “irregolari”, i gruppi terroristici.
Non è chiaro quali sarebbero le nuove tecnologie alla base della progettazione delle centrali nucleari definite genericamente “di nuova generazione”. Negli ultimi anni anche l’Europa è stata afflitta da inondazioni e tempeste, e le stesse autorità costituite parlano di veloci e drammatici cambiamenti climatici. In questo contesto ambientale in così rapido e devastante cambiamento quali ipotesi sono state messe in campo per garantire la sicurezza delle centrali in caso di nefasti eventi naturali? Veniamo alla terza questione drammaticamente d’attualità. Proviamo solo ad immaginare una Europa cosparsa di centrali nucleari: l’ipotesi paventata da Putin di utilizzare l’arma nucleare sarebbe più che realistica visto che basterebbe colpire una centrale nucleare e la minaccia si concretizzerebbe. Ogni centrale nucleare è una bomba già innescata che rende tutto il territorio dove è collocata a rischio di esplosione. Černobyl’, dove nel 1986 scoppiò l’incidente nucleare, si trova in Ucraina, nella regione di Kiev, dove oggi infuria la guerra.
Le migliori menti scientifiche del pianeta stanno da tempo affrontando la questione di come le scelte e le azioni umane devono tenere in conto il fattore incertezza e che niente può considerarsi del tutto prevedibile. Quanto però sta accadendo in questi giorni in Ucraina non è un avvenimento legato alla imprevedibilità degli eventi. Il tempo passato tra le decisioni europee e lo scoppio della guerra è troppo breve e solo una ottusa e miope visione del mondo ha ignorato quanto già era sotto gli occhi di tutti, a meno che non si voglia sposare la tesi complottista che vede dietro al precipitare della crisi in Ucraina interessi e agenti di paesi stranieri, degli USA e della Russia, che hanno lavorato perché il processo europeo di crescita e di innovazione tecnologica ed industriale si bloccasse. Ciechi o manipolati: due ipotesi una più inquietante dell’altra.
Come sempre, un articolo scritto in modo chiaro, che non lascia nulla alla fantasia. Che dire, non ci sono parole appropriate per definire chi è al potere. Matti? Incapaci? Incoscienti? Forse tutto questo, sicuramente personaggi incapaci di amare non solo i propri simili, ma incapaci di amare se stessi; e senza amore non si va da nessuna parte. Ci resta solo la speranza.