In un recente intervento su www.zonagrigia.it, abbiamo citato un articolo di Michele Serra, apparso a suo tempo sul settimanale Epoca, nel quale il giornalista, rivolgendosi “all’unto del Signore”, lo informava che “non si può comprare tutto. Si rassegni all’ineluttabile”. È con profondo rammarico, e con un senso di smarrimento, che ci sentiamo quasi costretti a smentire quelle parole. In questi giorni, infatti, stiamo assistendo, sgomenti, alla più invereconda “campagna acquisti” della storia della nostra – ancor giovane – democrazia repubblicana.
L’oggetto dell’acquisto non è un calciatore di fama internazionale, né una villa principesca in una località da sogno; è, nientemeno, che la Presidenza della Repubblica, la più alta carica dello Stato, per la quale l’organizzatore del “bunga bunga”, a detta dei suoi servili sostenitori, “ha l’autorevolezza, l’equilibrio, il prestigio internazionale … per rappresentare l’unità della Nazione”. Non c’è italiano di buon senso che, nel sentire descrivere con questi attributi il padrone di Mediaset, non rimanga allibito e disorientato, e che non si ponga la domanda: ma se in Italia “il popolo è sovrano”, in che modo a me, semplice cittadino, viene consentito di esercitare la mia sovranità, esprimendo il mio dissenso e la mia profonda preoccupazione per questa grave ferita che potrebbe essere inferta alla nostra democrazia?
Sebbene democratica, l’Italia non è una repubblica presidenziale, come quella americana, nella quale Abramo Lincoln dichiarò, nel discorso di Gettysburg, che la democrazia è “il governo del popolo, dal popolo, per il popolo”, e che, come recita la Dichiarazione d’Indipendenza, “i governi attingono i loro giusti poteri dal consenso dei governati”. Che il nostro Paese sia una repubblica parlamentare e non presidenziale non vuol dire che il “popolo” non debba avere nessuna voce in capitolo quando è in gioco non solo l’essenza stessa della democrazia, ma il prestigio e la credibilità di un’intera nazione agli occhi del mondo. Non dimentichiamo che alle indimenticabili parole del sedicesimo presidente degli Stati Uniti, più di ottant’anni dopo fecero seguito quelle della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che contiene un esplicito riferimento al popolo sovrano, quando attribuisce a ogni individuo “il diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente eletti … La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo”.
La realtà, purtroppo, a più di settant’anni da quella “Dichiarazione” è che sul palco di non pochi stati democratici prevalgono le oligarchie di governo e di partito, la corruzione della classe politica, la demagogia dei capi e la degradazione della cultura politica ad annunci pubblicitari, come quello apparso sul quotidiano Il Giornale, una volta creatura del grande Indro Montanelli, in una pagina a pagamento (il proprietario paga sé stesso!) del 13 gennaio scorso, che poneva l’inquietante interrogativo in calce alla stessa pagina: “Chi come lui?”, ed elencava 22 (ventidue!) meriti del Cavaliere, “l’eroe della libertà sceso in campo con grande sprezzo del pericolo nel ’94 per evitare un regime autoritario e illiberale”, e che ha, tra le altre imprese, “posto fine alla guerra fredda”. Leggere tutti e ventidue i punti di merito elencati con dovizia di particolari nel quotidiano, oltre a un’insopprimibile esplosione d’ilarità, suscita l’inquietante domanda: che democrazia è la nostra, e che popolo sono gli italiani, se si è potuti arrivare a un punto del genere?
Un errore che può contribuire a spiegare quello che sta accadendo sotto in nostri occhi è quello di pensare che, una volta affermatosi, l’ordinamento democratico sia irreversibile. Ma non è così. Al riguardo sembra pertinente fare riferimento a ciò che, nel 1999, disse Shmuel Noah Eisenstadt, sociologo israeliano, che, riflettendo sul successo dell’onda democratica nell’ultimo quarto di secolo, parlò dei “paradossi della democrazia”, riferendosi alle democrazie rappresentative che, “in epoche diverse, si erano dimostrate a volte molto fragili”. Eisenstadt paventava un “deconsolidamento” delle democrazie nelle società contemporanee, dovuto a diversi fattori che, alla fine, possono generare una diffusa apatia politica e minare la partecipazione, fino a provocare l’erosione o il crollo della fiducia, in merito specialmente ai processi di selezione della leadership, in quanto potrebbero essere selezionati anche capi che non possono contare sulla fiducia e il rispetto di ampie fasce della popolazione e che potrebbero poi abusare dei privilegi garantiti dai loro uffici. Detto in termini semplici, tutto questo può portare – come sta accadendo in Italia – a una sorta di “desovranizzazione” volontaria da parte di un popolo, reso apatico, scettico e sfiduciato da un personale politico che ormai da troppi anni, compresi gli anni devastanti del ventennio berlusconiano, si è rassegnato a svolgere un ruolo di secondo piano, di “comparsa”, sul proscenio politico, convinto che ormai la sua partecipazione al processo democratico, mediante il ricorso alle urne, è una semplice farsa, e quindi sempre meno coinvolgente, com’è dimostrato dalla crescente percentuale di cittadini che vanno disertando il rito democratico delle urne elettorali. Sta accadendo, triste a dirsi, che la nostra democrazia si è ammalata, come con molta perspicacia ebbe a rilevare il politologo inglese Colin Crouch, perché, egli afferma, “il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi ristretti di professionisti esperti nelle tecniche della persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi, mentre la massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, perfino apatico”. In poche parole si sta passando dalla democrazia rappresentativa alla sua sostituzione con la democrazia recitativa, dove i governanti espropriano il popolo della sua sovranità nel momento stesso in cui proclamano di essere i suoi più genuini e devoti rappresentanti. È, per quanto riguarda noi italiani, ciò che sta accadendo in queste ultime, frenetiche settimane, nelle quali la scelta e l’elezione del Capo dello Stato è un affaire che sta passando sopra la testa dei cittadini, impotenti a far sapere come la pensano perché non sono legittimati a farlo; ed anche quando alle orecchie dei “pupari” che lo stanno gestendo, giungesse una eco del disagio degli italiani nel vedere una certa figura rivestire l’alta carica, non ne terrebbero il minimo conto, tutti presi dai “giochi di palazzo” che per protagonista hanno tutti fuorché il “popolo”.
Procedendo su questa strada, la politica e i governi cedono progressivamente terreno cadendo in mano alle élite privilegiate. Queste élite privilegiate, sempre secondo Crouch, favoriscono il dilagare della corruzione che è un indicatore evidente della scarsa salute della democrazia, perché segnala “una classe politica cinica, amorale e avulsa dal controllo e dal rapporto con il pubblico”. Proprio come sta accadendo da noi, dove la persona che vorrebbe sedere nell’ex residenza dei pontefici, possiede metà delle sei reti televisive nazionali, oltre a giornali e case editrici che, oltre a impoverire irrimediabilmente il livello culturale dei loro utenti, sono una fonte continua di propaganda sotto svariate forme e tutte “pro domo sua”; e la stessa persona è stata chiamata ripetutamente alla sbarra per gravi reati fiscali, come lo è stato anche uno dei suoi attuali “sponsor”, chiamato a rispondere di ben 49 milioni di euro incassati illecitamente dal suo partito e sui quali non è mai stata fatta chiarezza.
Che la nostra democrazia abbia potuto prevedere l’accesso al “soglio” quirinalizio di un soggetto del genere, che data la sua storia passata era imprudente anche lasciare da solo in compagnia di giovani minorenni, non è spiegabile. Che si potrebbe far sedere al Quirinale, come disse la sua stessa ex moglie, uno che “Va con le minorenni. È malato” (Piero Colaprico, La Repubblica del 22 gennaio 2011), è altrettanto stupefacente se si tiene conto del fatto che la stessa signora definì anche “ciarpame senza pudore” quello che accadeva alla corte di “papi” ad Arcore, dove “figure di vergini si offrono al drago per rincorrere il successo e la notorietà”.
Ritornando all’analisi di Crouch sullo stato delle democrazie, dove egli parla di una classe politica amorale e cinica, avulsa dal rapporto con il pubblico, quando quest’ultima – che è più appropriato definire “cricca” – presenta il suo candidato, oltre che come un “eroe della libertà con grande sprezzo del pericolo”, e lo definisce anche “cristiano [povero Gesù] e garantista e nonno di quindici nipoti” (non è dato sapere se fra i 15 nipoti è conteggiata anche la “nipotina” di Mubarak), come può il comune elettore, che anche distrattamente ha seguito le vicende giudiziarie del “papi” nazionale, continuare a nutrire rispetto, stima e fiducia in persone che stanno palesemente venendo meno al loro mandato di operare “con onore” nell’interesse esclusivo degli elettori e non, come invece accade, dei gruppi di potere che fanno e disfano a loro piacimento, incuranti della volontà popolare? In realtà, sembra che da noi sia prevalso il pensiero dei padri fondatori della repubblica degli Stati Uniti dove fra alcuni d’essi c’era chi sosteneva che “il popolo era sempre stato e sempre sarà inetto a esercitare il potere con le proprie mani”, e perciò sperava che la gente “si occupasse il meno possibile del governo”. Siamo quindi costretti a convenire con Emilio Gentile che “esistono i governanti e i politici che parlano e operano in nome del popolo sovrano, ma il popolo sovrano non esiste”; e che “se il popolo delega la sua sovranità, il popolo abdica”, come si espresse nel 1850 il filosofo ed economista francese Victor Prosper Considerant.
Desideriamo concludere con un episodio che proprio in questi giorni ha toccato profondamente il cuore di tutte le persone per bene, in Italia, in Europa e nel mondo occidentale: la scomparsa del Presidente del Parlamento Europeo che, secondo molte voci, sarebbe stata la persona più indicata per rivestire il ruolo di Presidente della Repubblica. Fare un confronto fra Sassoli e il “caimano” morettiano è semplicemente offensivo per il primo, che la sua intera vita, personale e politica, identifica come l’esatto opposto del secondo. Noi speriamo con tutta la nostra forza – dato che la speranza è l’ultima a morire – che questa tremenda iattura non si abbatta sul popolo italiano che, in un modo o nell’altro, dovrebbe far sentire la sua voce, riappropriarsi della sua sovranità e dire stentoreamente: BASTA!