Oggi non c’è politico che si astenga, nel proclamare le sue prossime iniziative, dal destinarle “al bene degli italiani”. Questa espressione, come ormai molti hanno capito, è un’affermazione astratta, priva di qualunque riferimento alla realtà. Non esiste la comunità nazionale degli italiani, i quali sono diventati nel giro di qualche decennio nient’altro che la somma di tanti particolarismi sociali, familiari e individuali: ci sentiamo tutti italiani solo quando la nostra Nazionale di calcio vince un campionato europeo o mondiale, “stringendoci a coorte” e dichiarandoci addirittura “pronti alla morte” per qualche istante.
Per quanto ormai sia un’entità puramente chimerica, il popolo italiano è stato requisito dai partiti populisti già a partire dall’appello al “Paese che amo”, pronunciato da Berlusconi alla sua discesa in campo e poi gradualmente ereditato dalla Lega da quando ha finto di rinunciare ai suoi progetti separatisti. Salvini non fa che destinare ossessivamente agli italiani ogni suo ambiguo proposito securitario, sia contro gli immigrati che a favore di una pericolosa estensione della legittima difesa. L’indebita appropriazione della rappresentanza di tutti gli italiani si è via via estesa a tutti i partiti, a cominciare dal M5S fino al PD e a Italia Viva, mentre FdI se ne serve di tanto in tanto in alternativa alla “Patria” che usa per evocare, a beneficio degli aderenti più estremisti, l’ombra lunga del purtroppo inestinto ventennio.
In realtà, se pure esistessero gli italiani così come ci lasciano intendere i partiti, ciascuno di loro li rappresenterebbe in misura molto ridotta: se si considera l’astensionismo galoppante, i partiti maggiori possono vantare più o meno dieci elettori ogni cento italiani. La percentuale più elevata degli italiani si astiene infatti sistematicamente dal voto perché non si fida più di nessun partito, non crede nella politica e, forse, neppure nella democrazia.
Assodato dunque che gli italiani, intesi come corpo unico e coeso, non ci sono, tentiamo di capire cosa può significare perseguirne “il bene”. Sarebbe lecito pensare che la Lega si prodighi per il bene del nord-est industrioso e delle partite IVA, che il M5S per quelli che rivendicano trasparenza e onestà, il PD, se abbiamo ben capito, per quelli che si sentono responsabili della stabilità del Paese, mentre FdI debba rappresentare i nostalgici più o meno muscolari e il sottoproletariato trascurato dalla sinistra.
Se guardiamo però al comportamento dei politici attraverso i resoconti che ce ne offrono i media, li vediamo tutti, o quasi, impegnati in schermaglie tattiche volte per lo più a difendere interessi di parte se non alla ricerca, talvolta evidente, di personali posizioni di potere. Spettacolo avvilente dal quale ci sentiamo di poter escludere, in tutta coscienza, solo alcuni esponenti della sinistra e qualche singolo galantuomo presente nelle altre formazioni politiche: in tutti i casi una ristretta minoranza, conseguenza probabilmente delle liste elettorali bloccate.
A questo punto nasce spontanea la domanda: ma quanti parlamentari perseguono concretamente il bene degli italiani, non della generalità dei nostri connazionali, sarebbe troppo, ma almeno di quelli che il loro partito di appartenenza avrebbe il dovere di rappresentare? La risposta rimane avvolta in un mistero per districare il quale possiamo affidarci solo al nostro intuito o al nostro politologo di riferimento, se ce l’abbiamo.
Sappiamo però attraverso i sondaggi di opinione cosa gli italiani vorrebbero dalla politica. Le tematiche sono per lo più legate a problemi economici, di lavoro, di equità fiscale: oggi prevalgono, com’è naturale, quelli sanitari, ambientali e di ripresa economica, temi dei quali tutti, tra l’altro, i partiti dovrebbero farsi carico unitariamente perché interessano l’intera popolazione, ben aldilà dunque delle rispettive basi elettorali.
Ultimamente i sondaggi riguardano soprattutto le preferenze degli italiani circa i personaggi istituzionali più idonei a guidare il Paese fuori dall’emergenza sanitaria e ad imboccare la via della ripresa e dello sviluppo economico. Agli intervistati si chiede in particolare chi vorrebbero alla presidenza della Repubblica e chi alla guida del governo. Le risposte tuttora dominanti con largo margine optano per la permanenza di Mattarella al Quirinale e di Draghi a Palazzo Chigi. Una volta tanto una larga maggioranza degli italiani, in essa compresa anche quella quota, ormai paritaria, di astensionisti, e quindi indipendente dai partiti, ha individuato con chiarezza ciò che è bene.
Sta di fatto che Mattarella non si ricandiderà e la circostanza che Draghi si sia reso disponibile a prenderne il posto non rappresenta certamente una garanzia per la maggioranza degli italiani. In primo luogo perché nessuno è oggi in grado di assicurare che Draghi venga realmente eletto e, in secondo luogo, perché resterebbe scoperta la carica di premier, circostanza questa, non priva di incognite e di pericoli. Meglio sarebbe stato, per il bene degli italiani, che Mattarella si fosse reso disponibile alla rielezione. Salvo problemi personali legati all’età, di cui non è dato sapere, evidentemente ha preferito l’osservanza sostanziale della Costituzione, che non prevede il reincarico pur non vietandolo, alla salvaguardia della stabilità politica così faticosamente costruita. È triste pensare che al suo posto gli italiani potrebbero ritrovarsi un Berlusconi, più vecchio di lui di 5 anni e apparentemente meno in salute, che ci crede e ci sta lavorando malgrado sia da molti considerato impresentabile.