Come tutti gli italiani anche mia moglie ed io siamo dei grandi esperti di calcio nonché profondi conoscitori dei retroscena che lo condizionano. Abbiamo quindi, oltre alla comune passione per il Napoli, le nostre opinioni e i nostri sospetti.
Da tifosi il nostro sguardo indagatore rovista nelle manovre volte a danneggiare la squadra cittadina: ci chiediamo se per caso non sia forse colpa sua se qualche volta, come in questo inizio di stagione, va a ficcarsi nelle condizioni di diventare un fastidioso granello di sabbia nel meccanismo che regola la vittoria dei campionati, l’ammissione alle coppe europee e tutto il resto. Siamo peraltro consapevoli delle delusioni alle quali siamo da anni condannati: pur di attenuarle abbiamo sempre gioito ogni volta che lo scudetto è finito sulle magliette di squadre non appartenenti all’asse Torino-Milano, come la Lazio, il Verona, la Fiorentina e financo la Roma, nostra avversaria storica. I trionfi conseguiti dal Napoli con Maradona sono così eccezionali da essere entrati nella leggenda.
La scoperta che ci assilla da qualche tempo, e forse tardivamente, è che il calcio sia diventato sempre più nordista. Come non confrontare la versione attuale della “Domenica Sportiva” a quella che andava in onda ogni domenica pomeriggio su Rai2. Per decenni rappresentò una rassegna puntuale e completa dei risultati di calcio della Serie A e della B: poche parole, molte immagini, qualche rara e breve intervista. Era l’epoca in cui tutte le partite venivano giocate la domenica, senza spreco di illuminazione artificiale, nel primo pomeriggio alla stessa ora, il che rendeva possibile anche la messa in onda della gloriosa diretta radiofonica “Tutto il calcio minuto per minuto”. Corollario non secondario: chi aveva fatto 13 lo sapeva già nel tardo pomeriggio.
Poi è sopravvenuta la massiccia devastazione della pubblicità, dei diritti televisivi e delle sponsorizzazioni, che hanno ingigantito il “fenomeno calcio” fino alla dimensione invasiva ed offensiva di arma di distrazione di massa, subentrata, in questa funzione miserabile, al sesso ormai in declino ed insidiata, ma senza tanta speranza, dalla “bolla gourmet”.
Oggi la “Domenica Sportiva” è diventata un talk show di durata inaccettabile per chi dovrà recarsi al lavoro il lunedì. Si apre regolarmente con una comoda, quasi rilassata, presentazione degli ospiti fissi che, a parte due graziose figliole verosimilmente esperte in materia, sono Marco Tardelli, una vita nella Juve, Fulvio Collovati, un buon decennio tra Milan e Inter, ed Eraldo Pecci che, da buon romagnolo, è l’unico che talvolta si dissocia dal percorso dominante. Completa il quadro un onesto “moviolista” spesso contestato da chi, in quanto ex calciatore, sa bene lui se quel fallo era da rigore oppure no.
Questo essendo lo scenario, la cosa che più indispone è che costoro dedicano la maggior parte della trasmissione al Milan, all’Inter e alla Juventus, sempre in corsa per lo scudetto anche quando langue nella parte bassa della classifica: noblesse oblige. Queste tre squadre vengono considerate le protagoniste del campionato: ci si dilunga su caratteristiche, condizione fisica e rendimento di ciascun singolo giocatore, come se li si frequentasse di persona, oltre a tessere le lodi di icone discutibili come Ibrahimovic (che loro chiamano confidenzialmente Ibra). E mentre si cincischia, complice il conduttore che gironzola sorridente e senza fretta, il tempo passa e del Napoli primo in classifica se ne parlerà poco e tardi, così come della Roma, della Fiorentina e della stessa Atalanta la quale, benché lombarda, appare poco accondiscendente agli interessi delle majors corregionali.
Questo ostinato puntare i riflettori sul nord calcistico blasonato a noi risulta oltre che offensivo anche fuorviante perché crea una sudditanza difficile da superare per chi è restato nel cono d’ombra. Vedremo come finirà la partita Inter-Napoli, che si giocherà dopo la pausa degli incontri della nazionale, ma siamo preoccupati e certe malefiche congiunzioni astrali ci fanno temere che non vinceremo questo campionato, anche a causa del “federalismo” calcistico in atto.