Ancora una volta ci ritroviamo a dover ringraziare il presidente del Napoli. Con le sue dichiarazioni relative alla decisione della Lega calcio di assegnare i diritti televisivi a Dazn, ha chiarito una volta di più, se mai fosse stato necessario, quanto la finanza abbia in considerazione i suoi utenti finali, in questo caso i sostenitori delle squadre di calcio. Infatti si è premurato di sottolineare l’impulso che ciò avrebbe dato allo sviluppo della banda larga, “dimenticando” di menzionare i disservizi che avrebbero patito i “clienti-tifosi” durante il lasso di tempo (pronosticato in … appena tre anni), di cui si avrebbe avuto necessità per mettere a posto le cose.
Il prodotto calcio sembra diventare ancora una volta, da una parte, l’emblema, dall’altra apripista di un certo modo di intendere la vita da parte delle varie componenti sociali (una volta si sarebbe detto classi sociali). Soprattutto qui in occidente, il calcio è stato a lungo accostato a valori come “fedeltà alla maglia, appartenenza, valori sportivi o pseudo tali, amicizia ecc…, in ogni caso popolari nella sua più nobile accezione, tali da sviluppare tutta una letteratura di imprese definite “eroiche” ed affini.
La compenetrazione con i ceti popolari aveva fatto sì che eventi tragici, come il “Grande Torino”, o vicende come la “manina de Dios” restassero nella fantasia popolare e la alimentassero. Alcuni calciatori poi venivano ad identificarsi coi colori sociali indossati, al punto da provocare vere e proprie sollevazioni in caso di cessioni.
Col passar del tempo, il calcio è divenuto sempre più prodotto spettacolo e sempre meno rappresentanza di questi valori, ciò di pari passo con l’aumento del giro di denaro che esso stesso alimenta; fino ad arrivare a “proposte di format indecenti” come la Superlega (a proposito, è di ieri l’accantonamento di ogni procedimento a carico delle società ribelli), che addirittura si prefiggeva di abolire il merito sportivo. Ciò sempre in nome di guadagni maggiori, in spregio anche delle più elementari norme che governano lo stesso capitalismo, visto che a proporlo erano le società macchiatesi di gestioni economiche che definire allegre è un eufemismo.
Ma adesso i rappresentanti moderni del capitalismo stanno andando oltre ogni peggiore fantasia dichiarando praticamente apertamente che l’utente-tifoso altro non è che un numero da sfruttare e basta, seppur pagante anche lautamente, senza che abbia un qualche diritto. Ed ecco che al tifoso non resta che sistemarsi davanti alla tv sperando che il programma non si incanti, (ormai tutti conosciamo il termine buffering), che non arrivi l’audio del gol dieci minuti prima di vederlo o che addirittura preghi nella speranza di poter usufruire del prodotto che ha acquistato.
Il peggio è che, come scritto inizialmente, il prodotto calcio sembra, per molti versi, essere anche “sperimentale” per un modo di “fare capitalismo” che purtroppo presto ci troveremo anche in altri ambiti. Per la verità, purtroppo, già troppo spesso e troppe volte – si pensi alle banche, alle telecomunicazioni, per non parlare delle assicurazioni – ciò già avviene regolarmente. La differenza sta che in questi casi ancora si ammantano con scuse di vario genere le malefatte di questi enti. Il prodotto calcio, invece, sembra voler andare oltre …senza nessun pudore.