Fuori centro

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Inserimento di una scheda nell’urna (Immagine di www.unsplash.com).

Elezioni amministrative 2021. A inizio ottobre si vota in tante grandi città e in piccoli comuni. Per i gruppi politici nazionali è un modo come un altro per misurare le proprie forze, il rapporto con i concorrenti, per avere conferma o smentita degli ormai quotidiani sondaggi di opinione sul gradimento di questo o quel partito e dei suoi leader. Sondaggi o voti, tutti si dichiareranno vincitori come sempre alla faccia di ogni evidenza numerica.

In questo gioco perenne già si è consumato il misfatto di sminuire il ruolo delle amministrazioni locali che, nella testa dei vertici romani, dovranno solo svolgere un ruolo di sostegno alle scelte nazionali.

Nella storia repubblicana in Italia si sono affermate due macro realtà, quelle dove le amministrazioni locali hanno amministrato bene nell’interesse della comunità di riferimento, magari costruendo alleanze tutte particolari, e quelle dove non si è affermata una classe dirigente locale all’altezza delle sfide e il ruolo di sindaci e consiglieri comunali è sempre giocato intorno alla continua lamentazione molto prossima ad un vero e proprio accattonaggio politico, che a volte ha sortito risultati positivi per i postulanti ma dannosi per il territorio di riferimento, altre volte ha determinato il loro più mortificante isolamento con altrettanti danni per la popolazione locale.

Come ben descrive Marco Esposito in Zero al Sud, La storia incredibile (e vera) dell’attuazione perversa del federalismo fiscale, pubblicato nel 2019, questo diverso modo di gestire le amministrazioni locali ha provocato la paradossale situazione che tutti i finanziamenti nazionali, e probabilmente anche quelli del PNRR, invece di ridurre le differenze tra diverse aree del Paese, hanno finito e rischiano di finire per acuirle. Già perché si è finanziato ciò che c’era non quello che si sarebbe dovuto fare, rafforzando il virtuosismo amministrativo di alcuni comuni e penalizzando l’ignavia di altri. Il tutto nella totale disattenzione degli amministratori locali. È accaduto per gli asili nido, i servizi per l’infanzia e per le persone anziane ma anche nella gestione dei processi di accoglienza e di inclusione degli immigrati. I comuni gestiti dai più forcaioli dei sindaci a volte hanno saputo sfruttare dei finanziamenti nazionali per centri di accoglienza mentre al sud, salvo straordinarie e uniche esperienze, si è preferito prendere posizione in modo ideologico senza utilizzare strumenti legislativi e finanziamenti per gestire nelle città l’arrivo di migranti.

Nel recente articolo di Felice Zinno, si richiama l’attenzione anche sulle inadempienze delle amministrazioni locali del sud, ed in particolare di quella di Napoli e di quella della Regione Campania, che stanno rischiando di rendere vani i finanziamenti per l’adeguamento a nuovi standard eco ambientali (bonus casa e bonus sisma) perché le amministrazioni locali non hanno adeguato i piani regolatori e hanno uffici tecnici o non adeguati o svuotati fisicamente perché molti tecnici sono andati in pensione e non ci sono state nuove assunzioni.

Con le leggi che hanno portato alla definizione di nuovi ed importanti livelli di autonomia di comuni e regioni è accaduto, come in ambito sanitario, che l’Italia è sempre più un Paese diviso in principati, stati e staterelli: dove, se c’è una classe dirigente locale, le cose funzionano quasi benissimo e in altri malissimo.

Inoltre, il forte accentramento del potere decisionale nella figura del sindaco, ha fatto arretrare tutti quegli esperimenti e importanti esperienze di partecipazione dei cittadini alla vita delle proprie amministrazioni come quella del cosiddetto bilancio partecipato. A Napoli, grande città del mezzogiorno, il decentramento alle Municipalità di poteri amministrativi è rimasto al palo.

È importante ricordare che la tanto vituperata Europa e anche delle riforme della nostra Costituzione per anni hanno puntato sulla creazione di una rete di sussidiarietà delle istituzioni dove centrale era, e sulla carta continua ad esserlo, quello delle istituzioni di prossimità: le politiche europee, le scelte dei governi nazionali dovevano avere negli enti locali il loro essenziale braccio esecutivo, operativo, offrendo ai cittadini strumenti di interlocuzione anche con il più lontano dei livelli di decisione.

Ciò ad oggi pare saltato, ma ritorna ad essere centrale in questa fase dove si sta puntando alla definizione di una nuova prospettiva di sviluppo che tenga in conto le trasformazioni intervenute nel vivere sociale, dalla diffusione di nuove tecnologie della comunicazione alla sempre più alta propensione alla mobilità territoriale, temporaneamente rallentata dalla pandemia.

In una città come Napoli, che oscilla tra la riproposizione di un modello di vita caratterizzato dalla promiscuità sociale (nel centro storico convivono emarginazione, povertà estrema e grande ricchezza) e dalla netta separazione tra periferie, quartieri degradati e quartieri residenziali però ricchi di servizi, attività commerciali, cinema teatri servizi di ristorazione di medio-alta qualità, come la parte centrale del quartiere Vomero, riprendere un processo al decentramento tecnico amministrativo ritorna ad essere un tema centrale.

Decentramento non vuol dire dispersione, burocratizzazione del processo decisionale ma esattamente il contrario. Le Municipalità devono giocare un ruolo essenziale, aiutarsi a costruire una rete virtuosa che punti all’integrazione reciproca. Da tempo tecnici, urbanisti, economisti concordano su una questione: il problema di Napoli è che la sua periferia è talmente degradata, come anche l’hinterland di piccoli comuni, senza servizi, senza più un cinema o un qualsiasi luogo dove produrre o fruire di prodotti culturali, al punto che le famiglie, se riescono a migliorare la propria condizione economica, tendono a scappare nel centro città e non investono nel loro quartiere d’origine, alimentando così il circolo vizioso: le periferie abbandonate e il centro congestionato che si degrada a sua volta.

Per conformazione geografica gli accessi al centro città, dove continuano a concentrarsi centri importanti di attività economiche e direzionali, uffici centrali di amministrazioni pubbliche, banche, università e altro, sono quotidianamente intasati e quando per un motivo qualsiasi (si veda cosa sta avvenendo con lo scandaloso protrarsi della chiusura della Galleria Vittoria) si interrompe o si rallenta il flusso, il sistema collassa. E ciò nonostante il tentativo di decentrare alcune attività, dal Tribunale all’Università di Monte Sant’Angelo e più recentemente con il centro di eccellenza tecnico scientifica di Barra Ponticelli o con l’Ospedale del Mare. Queste nuove concentrazioni sono piovute dall’alto in contesti urbani degradati e, paradossalmente, ma non tanto, questi centri da attrattori di qualità, essendo grandi catalizzatori di traffico, hanno contribuito a degradarli ulteriormente. Questo anche perché la decisione centralizzata non ha tenuto in conto le realtà di quartiere, realtà a cui si è preferito non dare la giusta voce.

Presupponendo la buona fede dei soggetti politici in campo in questa competizione, è però evidente che queste questioni non sembrano attirare l’attenzione dei concorrenti alla carica di sindaco e dei gruppi politici che li sostengono. Non si tratta di disattenzione ma di una distorsione nel modo di pensare all’amministrazione delle città. La democrazia diffusa non è uno slogan ma è sempre più al centro di una progettazione avanzata, si pensi al modello Industria 4.0 che, se pur criticabile su tanti aspetti, ha l’indubbio merito di porre al centro della incentivazione e della gestione dei processi di innovazione quello del rapporto con il territorio.  Dato lo straordinario patrimonio umano, culturale, tecnico e scientifico di Napoli, non è più possibile ragionare sul suo futuro con la stessa logica con cui si pensa e si progetta il futuro di un piccolo centro montano o agricolo. Napoli è una grande città e, se non si vuole perdere un’altra importante opportunità fornita dallo sblocco dei finanziamenti pubblici, bisogna puntare al pieno coinvolgimento nelle decisioni e nella gestione della macchina pubblica dei cittadini a partire dal decentramento amministrativo, dalle Municipalità.

1 commento su “Fuori centro”

  1. Analisi molto chiara e ben particolareggiata della situazione amministrativa della città di Napoli. La lettura di questo articolo scuotera’ non poco l’animo del lettore facendolo pensare con serietà a chi dare il proprio voto.
    Speriamo!

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