La crisi climatica è a un punto di non ritorno

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Neppure un mese fa si è tenuto a Napoli il vertice del G20 su Clima, Ambiente ed Energia, con al centro dell’agenda temi quali l’uso sostenibile delle risorse attraverso un modello di economia circolare, implementazione dei flussi finanziari rispettando l’accordo di Parigi sul clima, transizione ecologica, decarbonizzazione. Tutto questo in un periodo cruciale come quello che stiamo vivendo: quest’estate stiamo assistendo ad incendi che stanno interessando quasi tutta Europa, temperature record oltre i 40°, alluvioni che hanno causato decine di morti, come quelle di Germania e Belgio, ed un generale campanello d’allarme sui sempre più palesi effetti del cambiamento climatico. Il tutto a pochi mesi dalla COP26 (26^ UN Climate Change Conference of the Parties), che si terrà a novembre a Glasgow, in partnership con l’Italia.

Nel frattempo 66 scienziati, appartenenti all’International Panel on Climate Change delle Nazioni Unite (IPCC), hanno firmato un documento, di ben 234 pagine, in cui esprimono tutta la propria preoccupazione per il nostro pianeta e per la nostra stessa sopravvivenza. Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, lo ha definito un “codice rosso per l’umanità”. In particolare, a causa delle crescenti emissioni di CO2, si assisterà ad un conseguente innalzamento del livello dei mari, scomparsa delle stagioni intermedie, passando da inverni molto rigidi ad estati torride, scioglimento delle calotte polari, temperatura media globale sempre più alta. Proprio i livelli di anidride carbonica sono il maggior campanello d’allarme, essendo i più alti degli ultimi 2 milioni di anni.  

Dunque è lecito chiedersi quali sono le strategie che i governi di tutto il mondo, soprattutto quelli delle maggiori potenze economiche mondiali, stanno mettendo in atto. Durante il G20 su Clima ed Energia dello scorso luglio è stato approvato un documento, definito “un accordo unico” dal ministro della transizione ecologica italiano Roberto Cingolani. Formato da 25 articoli, lungo 7 pagine e diviso in 10 tematiche, si ispira al PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) italiano. Ad incontrare gli ostacoli maggiori è stata proprio la trattativa incentrata su energia ed uso del carbone. Il pomo della discordia ha riguardato due aspetti: il primo è stato l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi entro il 2030 ed il secondo la decarbonizzazione. Sulla volontà di eliminare il carbone dalla produzione energetica entro il 2025 ed eliminare i sussidi alle fonti fossili, una spaccatura all’interno della compagine dei Capi di Stato ha portato inizialmente ad uno stallo, con Unione Europea, Gran Bretagna e Stati Uniti che puntano alla decarbonizzazione ed incentivano l’uso di energie rinnovabili, e dall’altro lato Russia, India e Cina che pongono un freno: si sono infatti mostrati contrari, in quanto trovano difficile adattare le proprie economie e produzioni a questo ambizioso obiettivo, anche se allo stesso tempo hanno confermato il proprio impegno per rimanere nei limiti dell’accordo di Parigi. Di fatto, il summit si è concluso confermando i punti salienti dell’accordo di Parigi, ma non è riuscito a trovare un accordo nè misure vincolanti sugli aspetti più controversi. A tal proposito, numerose associazioni ambientaliste, tra cui Legambiente e WWF si sono espresse in modo critico nei confronti dei risultati “soft” ottenuti nel summit, insistendo sulla necessità di impegnarsi maggiormente per diminuire la produzione di carbone a livello internazionale.

É sempre più evidente, dunque, la necessità di adattare i flussi finanziari allo sviluppo sostenibile: per questo motivo è stata creata una task force sulle informative finanziarie relative alla natura (Task Force on Nature-related Financial Disclosure – TNFD), per coinvolgere sia i decision-makers che le istituzioni finanziarie a tenere maggiormente in considerazione la conservazione e l’uso sostenibile dell’ambiente nel processo decisionale e nella rendicontazione finanziaria e aziendale, anche in base alle peculiarità del contesto locale. Il G20 ha istituito a tal proposito il G20 Sustainable Finance Working Group (SFWG) per creare una Road map per la finanza sostenibile del G20. Ciò che si chiede è di utilizzare maggiori risorse, sia pubbliche che private, per adattare i piani nazionali di ripresa e resilienza a queste nuove linee guida e cercare di creare standard comuni di rendicontazione a livello globale.

Appare chiaro ormai che il cambiamento climatico richiede sforzi concreti e misure tempestive: report, dichiarazioni d’intenti e misure non vincolanti devono cedere il passo a reali cambiamenti. Ne va della sopravvivenza dell’intera umanità. Un codice rosso che speriamo non resti, ancora una volta, inascoltato.

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