Nell’interessantissimo saggio “Modus Vivendi: Inferno e Utopia della Società liquida” del sociologo Zygmunt Bauman vengono definiti “refusals of globalization”, rifiuti della globalizzazione, i profughi, gli immigrati, i Rom e i Sinti e tutte le persone che non hanno lo stato di “rifugiati politici”. Esseri umani persi tra le reti del sistema economico mondiale che tutto omologa, inquadra o, altrimenti, spinge verso i margini della società. Margini astrattamente sociali e fisicamente urbani nelle periferie delle metropoli. Già nel secolo scorso il sociologo francese Émile Durkheim diceva: “i muri delle periferie trasudano odio”, “la heine” (l’odio) che é la sensazione provata da chi vive in questi “non luoghi” tanto vicini alla città e pur così lontani dal vivere civile.
La scorsa notte di san Lorenzo, invece di godersi la caduta delle stelle nel cielo che piange, qualcuno ha innescato l’ennesimo rogo in un campo di rifugiati nel quartiere di Barra (la settimana scorsa è bruciato quello di Scampia). Sono occorse diverse ore per domarlo. Tanti i disagi affrontati da tutto il quartiere (il fumo acre che ha invaso le abitazioni, unito al caldo asfissiante della giornata, ha spinto chi ne aveva la possibilità ad allontanarsi chiedendo asilo a chi viveva in altri quartieri): strade, autostrade e trasporto su ferro interrotti.
L’episodio si inserisce nella routine dei disagi mal sopportati da chi non si rassegna ad essere trattato come un cittadino di serie B. (Linee ANM abolite, nessun distributore ATM, immensi parchi urbani sprangati, nessun luogo di aggregazione giovanile). Barra, Ponticelli, San Giovanni (la cosiddetta “zona industriale”) ma anche Secondigliano o Soccavo, fino alla legge fascista del luglio 1926, erano fiorenti paesi dove vivevano oneste e laboriose comunità. Divenuti quartieri periferici di Napoli hanno finito per smarrire la loro natura economica e sociale schiacciati nelle maglie della burocrazia post bellica, diventando serbatoi di voti, spesso di scambio, per i vari partiti che hanno mal governato e mal gestito il problema degli hinterland cittadini. [Per chi volesse approfondire: Gabriella Gribaudi e Luigi Musella, “Il processo alla clientela. Il caso Napoli nelle inchieste giudiziarie degli anni Novanta” in Quaderni storici (vol 33, n°97), aprile 1998, pp. 115-142, ed. Il Mulino].
Nelle terre dove ci si sente sudditi è più facile diventare camorristi e servire l’antistato. Di solito scrivo di arte, di bellezza, di tradizioni dell’amata Partenope, ma con molto rammarico mi sento di affermare che non saranno i murales di Jorit (peraltro bellissimi) a rendere più vivibili queste realtà troppo spesso, come polvere sotto il tappeto, riscoperte solo per tragiche casualità. Ritornando all’inizio, tra i “refusals of globalization” mi ci metterei anche io, neo abitante della periferia, insieme a centinaia di migliaia di persone oneste che ancora lottano e sopportano. Ma fino a quando?
Grazie Antonio, per ricordarci che a questo mondo non c’è bellezza che non incontri la bruttezza. E non c’è verità senza menzogna la sua ancella. Non sono convinta, però, che la barbarie sia un prodotto dell’odio da confinare nei luoghi emarginati. Sono ricorrenti episodi di vandalismi e crudeltà anche in ambienti privilegiati, ai danni di persone animali e cose. In questo caso se ho capito bene gli autori dell’incendio si sono scatenati contro quelli che ritengono essere i responsabili del loro disagio e, piuttosto che cercare in loro alleati, li trasformano in nemici agendo con violenza provocando ulteriori danni al loro ambiente. Lei afferma che “L’episodio si inserisce nella routine dei disagi mal sopportati da chi non si rassegna ad essere trattato come un cittadino di serie B”. E gli atti di vandalismo nelle piazze delle città a cosa li imputiamo”? La stazione della metropolitana di Materdei completamente deturpata, il degrado dell’area intorno allo stadio collana al vomero, per citare solo qualche esempio, anche questi li consideriamo periferia? Purtroppo in questi quartieri, periferici e non, è venuta a mancare l’azione politica che veicolava il disagio verso una attiva progettualità che in passato ha prodotto miglioramenti, alleviando il senso di impotenza che oggi si trasforma in una ridicola farsa di volontà di potenza nei confronti di chi consideriamo più deboli, e nello spregio di ogni forma di bellezza.
Tina Russo