I neoborbonici e la Nazionale di calcio

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Particolare della statua di Carlo di Borbone – Palazzo reale di Napoli

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Napoli è uno strano posto in cui, purtroppo o per fortuna, molti di noi viviamo per scelta o perché costretti dalle circostanze. Stavolta le mie riflessioni nascono da due situazioni in apparenza lontane, ma strettamente connesse: il movimento meridionalista neoborbonico e la diffusa avversità per la nazionale di calcio italiana.

Cominciamo dal primo argomento. Qualche giorno fa, in piazza del Plebiscito, c’era una manifestazione politica (penso) e ho visto sventolare diverse bandiere bianche con al centro lo stemma borbonico. Detti vessilli erano sostenuti da persona adulte, mature e probabilmente molto consapevoli e informate su ciò che stavano facendo e, pertanto, degne del massimo rispetto. Però la prima distonia balza agli occhi: neoborbonici in una piazza dedicata al Plebiscito del 1946, quello che sancì la nascita della Repubblica Italiana (prima incongruenza)? Lo stesso Plebiscito che a Napoli fu nettamente vinto dalla monarchia sabauda e che successivamente vide molti comizi di Achille Lauro, primo esponente politico italiano del Partito Monarchico vicino ai Savoia? Ai Savoia, non ai Borbone. Agli “invasori” non ai sovrani deposti.

È facile comprendere da questa mia introduzione quanto mi senta lontano, molto lontano, dal movimento neoborbonico, pur essendo profondamente meridionale e meridionalista. Soprattutto perché ho l’impressione, con tutto il rispetto per i pochi veri studiosi del periodo storico, che esso si basi su una serie di bugie, imperfezioni, omissioni, manomissioni, che mettono in dubbio le basi stesse del movimento. Per fare un esempio: da anni circola una serie di primati attribuiti al Regno delle due Sicilie pieno di sciocchezze abissali, facilmente smontabili da chi abbia anche solo rudimentali nozioni di Storia. Molti di questi primati, infatti, sono attribuiti non si sa da chi, visto che all’epoca registri ufficiali di determinati eventi non esistevano e la bibliografia sulla materia è difficilmente reperibile e verificabile. Per fare un esempio si attribuisce al Regno Borbonico la prima ferrovia europea, la famosa Napoli–Portici. Nulla di più vero, se non fosse che la ferrovia nasce da un progetto francese e viene messa in opera da materiale inglese, compresa la locomotiva Longridge. L’unica componente autoctona fu la manodopera. Ma sarebbe un po’ come dire che la prima linea ferroviaria statunitense, la Wells & Fargo, era cinese perché dalla Cina proveniva la gran parte delle maestranze che la costruirono. Insomma, molte di quelle opere elencate dai rivalutatori dei Borbone erano solo dei fiori all’occhiello che i regnanti si apponevano per la loro vanità nella gara “a chi mette sopra” coi loro parenti, regnanti di altri grandi stati europei. Ovviamente con le dovute eccezioni, come Carlo III, grande statista e unico Borbone ad aver regnato in Italia e in Spagna. Ma, una volta evidenziate queste incongruenze, non voglio e non posso andare oltre e dilungarmi su un argomento così spinoso e complesso che ha di fondo un’assoluta verità: l’unità d’Italia è stata un’operazione frettolosa e sbilanciata che ha lasciato una sensazione di incompiutezza, che sopravvive a distanza di 160 anni e nonostante in mezzo ci siano state due guerre mondiali che hanno stravolto l’assetto geopolitico europeo.

La seconda incongruenza l’ho trovata in coloro che prendono le distanze dalla Nazionale di calcio, anzi a volte ne sono addirittura i primi detrattori. Rimando alla prima parte di questo scritto la ricerca delle ragioni e mi soffermo invece sulla contraddizione. Nel 1970 l’Italia perse 4 a 1 la finale dei mondiali messicani contro l’imbattibile Brasile di Pelé. Ebbene, vi assicuro che fino a una trentina di anni fa, molti tifosi napoletani ricordavano quella partita per i 16 minuti giocati da Antonio Juliano, “Totonno” per i tifosi. Questo per far capire ai più giovani come fossero rare le presenze di calciatori napoletani e/o campani in Nazionale. Dopo Juliano ci sono voluti più di 15 anni per rivedere un De Napoli prima e un Montella poi. Ora che di napoletani titolari in squadra ce ne sono tre, ora che l’attacco più forte è composto da Insigne e Immobile, Scarpa d’Oro 2020, ora che il portiere di Castellammare è descritto come il portiere più forte al mondo in un prossimo futuro…ora no, questa Nazionale non ci appartiene, ci è indifferente, anzi meglio che perda. Bene, io capisco che è la squadra che trascina il pubblico all’entusiasmo e non viceversa e capisco che dal mondiale del 2006 in poi la Nazionale ha collezionato una serie di figuracce culminate con la storica vergogna dell’eliminazione dalla fase finale dei mondiali in Russia, perdendo l’affetto di gran parte dei tifosi italiani.

Capisco tutto. Ma vedo che comunque in campo ci sta andando una bella squadretta, motivata e tecnica, imbottita di calciatori napoletani di nascita (Insigne, Immobile, Donnarumma) e di squadra (Meret e Di Lorenzo), che sta dando l’anima per riportare entusiasmo a una tifoseria troppo a lungo mortificata sportivamente e reduce da un periodo storico fra i peggiori dal dopoguerra a oggi. Perché prendere le distanze da ciò che può essere un momento di appartenenza, scegliendo di farsi da parte e continuare a nutrirsi di rancore? A chi giova fare finta di restare impassibili davanti a Bocelli che canta “Dilegua notte, tramontate stelle, all’alba vincerò…”? Perché, dopo tutto quello che abbiamo passato, tutti, da Aosta a Catania, non cerchiamo di rilassarci un momento e, prima di riprendere a incarognirci l’uno contro l’altro, non cerchiamo di vivere un momento di pace, divertimento, passione, seduti sul divano di casa, dividendo con un amico una bella birra fredda? Perché dobbiamo essere sempre così maledettamente autolesionisti.

Bruno Esposito

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